Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni
Parasubordinati sono quei lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata che hanno redditi derivanti da:
collaborazione coordinata e continuativa o a
progetto
attività professionale
lavoro autonomo occasionale (se il reddito annuo
è superiore a 5.000 euro)
vendita a domicilio (se il reddito annuo è
superiore a 5.000 euro)
associazione in partecipazione
3
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
Collaborazioni coordinate e continuative o a progetto
lavoratori che svolgono la loro attività
con regole stabilite in un contratto di
lavoro individuale con fissata
durata determinata o determinabile
formulazione progetto o programma
corrispettivo del lavoro con modalità e tempi
forme di coordinamento con il committente per l’esecuzione del lavoro
4
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
Collaborazioni coordinate e continuative o a progetto
non prevista automaticamente l’unicità della prestazione, pur potendo prevedere in alcuni casi l’esclusività.
il lavoratore può accedere ad altri contratti di collaborazione, a meno che non ci sia un esplicito divieto dettato da una norma precisa del contratto individuale
la collaborazione coordinata e continuativa non obbliga all’apertura di partita Iva.
5
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
Collaborazioni coordinate e continuative o a progetto
Legge Biagi
Riconduce a uno o + progetti o programmi l’utilizzo dei Co.Co.Co
Progetto
attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un risultato finale
Programma
Attività non direttamente riconducibile ad un risultato finale ma ad uno parziale destinato ad integrarsi con altre lavorazioni
6
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
Collaborazioni coordinate e continuative o a progetto
Se il contratto non prevede l’indicazione di un progetto o programma
Lavoro subordinato a tempo indeterminato
7
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
Collaborazioni coordinate e continuative o a progetto
ESCLUSIONI
Prestazioni occasionali
Durata inferiore ai 30 giorni
Reddito non superiore ai 5.000 € annui
Componenti organi di amministrazione e controllo società e partecipanti a collegi e commissioni
8
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
Collaborazioni coordinate e continuative o a progetto
ESCLUSIONI
Collaborazioni di pensionati di vecchiaia
Collaborazioni con pubbliche amministrazioni
Per tutti questi si applicano ancora le regole dei Co.Co.Co
9
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
Professionisti
Professionisti senza cassa di previdenza
Professionisti esclusi dalla cassa in quanto anche lavoratori dipendenti
Professionisti che pur essendo iscritti alla cassa producono redditi da attività diverse
10
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
lavoratori autonomi occasionali
Sono i lavoratori che svolgono un’attività
Con lavoro proprio
Nella completa autonomia circa il tempo e il modo della prestazione
Senza vincolo di subordinazione
Senza alcun coordinamento con il committente
11
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
lavoratori autonomi occasionali
Obbligo di iscrizione alla gestione separata
Se il reddito annuo a fronte di uno o più rapporti di lavoro supera i 5.000 €
Versamento CTB solo sulla quota eccedente i 5.000€
12
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
incaricati vendite a domicilio
Sono i venditori porta a porta
Coordinamento con il committente
No requisito della continuità (abitualità)
Obbligo di iscrizione alla gestione separata
Se il reddito annuo a fronte di uno o più rapporti di lavoro supera i 5.000 €
Versamento CTB solo sulla quota eccedente i 5.000€
13
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Definizioni :
associati in partecipazione
Sono lavoratori che concludono un contratto di associazione in partecipazione impegnandosi per l’apporto di solo lavoro
I CTB sono a carico
Associante = 55%
Associato = 45%
14
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
quanto si paga di contributi (2007)
23,72% per i non iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria oltre alla gestione separata. Il contributo è comprensivo dell'aliquota dello 0,72%* per finanziare l'indennità di maternità, l'assegno per il nucleo familiare e l’indennità di malattia
* 0,50% + 0.22% (D.M.12/07/2007)
15
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
quanto si paga di contributi (2007)
16% per:
· i collaboratori e i professionisti iscritti
ad altre forme di previdenza
obbligatoria;
· i titolari di pensione diretta, cioè
quella derivante da contributi versati
per il proprio lavoro;
· i titolari di pensione di reversibilità.
16
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
come si pagano i contributi
L’obbligo del pagamento è a carico del committente e la percentuale del contributo varia a seconda se il lavoratore parasubordinato è/non è iscritto ad altra forma di previdenza obbligatoria o pensionato
17
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
% pagamento contributi
Soggetti non iscritti ad altra forma obbligatoria (23.72%):
15,81 a carico del committente
7,91 a carico del collaboratore
Sul massimale = 87.187 € per il 2007
18
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
% pagamento contributi
Soggetti iscritti ad altra forma previdenziale obbligatoria 16%
Pensionati
10,67 a carico del committente
5,33 a carico del collaboratore
Sul massimale = 87.187 € per il 2007
19
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
% pagamento contributi
Associati in partecipazione non iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria : (23.72%)
13.04 a carico dell’associante
10.68 a carico dell’associato
Sul massimale = 87.187 € per il 2007
20
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
% pagamento contributi
Associati in partecipazione iscritti
altra forma di previdenza obbligatoria 16%
Pensionati
8.80 a carico dell’associante
7.20 a carico dell’associato
Sul massimale = 87.187 € per il 2007
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
% pagamento contributi
Liberi professionisti non iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria: (23.72%)
Liberi professionisti iscritti ad altra
forma di previdenza obbligatoria 16%
Pensionati
Il contributo è a totale loro carico con diritto di rivalsa del 4% sul committente
Massimale 2007 = 87.187 €
22
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
% pagamento contributi
23
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
DIRITTO ASTENSIONE OBBLIGATORIA
DIVIETO ADIBIRE AL LAVORO
due mesi precedenti
DATA DEL PARTO
tre mesi dopo
In caso di parto “anticipato” i giorni “non goduti” vengono aggiunti ai tre mesi dopo
24
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
Astensione obbligatoria
Estensione del diritto
I contributi aumenteranno di un
+ 0.22%
25
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
LIBERE PROFESSIONISTE
L’obbligo è disciplinato ancorando l’effettiva astensione all’erogazione dell’indennità
Dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata dall’interessata
26
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
ASTENSIONE ANTICIPATA
gravi complicanze della gravidanza
preesistenti forme morbose
condizioni di lavoro pregiudizievoli per la salute della donna e/o del nascituro
impossibilità ad essere adibita ad altre mansioni
su autorizzazione dell’ispettorato del lavoro
27
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
ASTENSIONE ANTICIPATA professioniste
Solo in caso di maternità a rischio in relazione alle condizioni di salute della donna e del nascituro
su autorizzazione dell’ispettorato del lavoro
28
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
I periodi di astensione obbligatoria o anticipata saranno coperti da contribuzione figurativa utili sia per
Diritto
Misura
della pensione
29
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
Il congedo darà diritto alla proroga del contratto di lavoro per
180 giorni
30
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
Indennità economica
80% del reddito prodotto nei 12 mesi precedenti l’astensione
Reddito annuo/ 365 gg = reddito giornaliero
80 % redd. giornaliero X gg.astensione
indennità corrisposta dall’INPS a domanda
31
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
REQUISITI
Ante DM 12 luglio 2007
Tre mesi di contribuzione nei dodici mesi precedenti i 2 mesi anteriori alla data del parto
Dopo il DM 12 luglio 2007
Essendo resa obbligatoria l’astensione dall’attività lavorativa non è richiesto alcun requisito contributivo se non quello precedente o di essere iscritto alla data dell’astensione ovviamente per l’aspetto economico valgono le regole precedenti
32
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Minimale per accredito contributivo
33
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
Casi particolari
ADOZIONE O AFFIDAMENTO PRE-ADOTTIVO
TRE MESI dalla data dell’ingresso in famiglia purchè IL BAMBINO NON ABBIA SUPERATO I SEI ANNI DI ETA’
34
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
Casi particolari
ADOZIONE INTERNAZIONALE
TRE MESI dalla data dell’ingresso in famiglia anche se IL BAMBINO HA SUPERATO I SEI ANNI DI ETA’
E FINO AL COMPIMENTO DELLA MAGGIORE ETA’
35
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Prestazioni non pensionistiche: MATERNITA’
Casi particolari
L’indennità spetta al padre per i tre mesi successivi al parto o per il periodo residuo che sarebbe spettato alla madre, in caso di:
Morte della madre
Grave infermità della madre
Abbandono da parte della madre
Adozione o affidamento esclusivo al padre o
se la madre non ne faccia richiesta
36
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA
Lavoratori parasubordinati, Co.Co.Co, assimilati, lavoratori a progetto
Spetta l’indennità
malattia (giorni di prognosi)
degenza ospedaliera
37
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA - ricovero
Lavoratori
Associati in partecipazione
Lavoratori autonomi occasionali
Liberi professionisti
Incaricati vendita a domicilio
Solo indennità in caso di degenza ospedaliera
38
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA -ricovero
REQUISITI
REDDITUALE
reddito non superiore al 70% del massimale CTB (per il 2007 € 61.031)
CONTRIBUTIVO
Almeno tre mensilità
RICOVERO OSPEDALIERO
Per le categorie per cui è richiesto
39
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA -ricovero
Durata
180 giorni nell’anno solare
Misura
8% massimale se accreditati 4 mesi di CTB
12% “ “ 8 “ “
16% “ “ 12 “ “
40
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA - ricovero
Calcolo indennità giornaliera
Massimale 2007 = 87.187,00 €
87.187,00 : 365 = 238,87 € (base giornaliera)
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA -ricovero
Base giornaliera 2007 = 238,87 €
Indennità per CTB da 3 a 4 mesi ( 8%) = 19,11 €
Indennità per CTB da 5 a 8 mesi (12%) = 28,66 €
Indennità per CTB da 9 a 12 mesi (16%) = 38,22 €
Le indennità sono giornaliere
42
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Vale solo
Lavoratori a progetto e assimilati
che versino la quota aggiuntiva dello 0,72%
Dal 1 gennaio 2007
Per malattie di durata > a quattro giorni
43
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Adempimenti del lavoratore
Presentazione al
Committente
All’INPS competente
della certificazione di malattia entro 2 giorni dal rilascio
44
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Adempimenti del lavoratore
obbligo di invio del certificato all’INPS anche per malattie di durata < quattro giorni
obbligo di reperibilità per visite controllo
dalle ore 10.00 alle ore 12.00
tutti i giorni anche
festivi
dalle ore 17.00 alle ore 19.00
45
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Visite di controllo
Possono essere disposte:
d’ufficio dall’INPS
su richiesta del committente
Per malattia di durata inferiore ai quattro giorni
Solo su richiesta del committente
46
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Domanda
Il lavoratore deve inoltrare domanda all’INPS per ottenere l’indennità
47
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Requisiti (uguali a quelli per la degenza ospedaliera)
REDDITUALE
reddito non superiore al 70% del massimale CTB (per il 2007 € 61.031)
CONTRIBUTIVO
Almeno tre mensilità nei dodici mesi precedenti l’evento
48
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Misura
Pari al 50% dell’importo corrisposto in caso di degenza ospedaliera
4% massimale se accreditati 4 mesi di CTB
6% “ “ 8 “ “
8% “ “ 12 “ “
49
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Base giornaliera 2007 = 238,87 €
Indennità per CTB da 3 a 4 mesi ( 4%) = 9,55 €
Indennità per CTB da 5 a 8 mesi ( 6%) = 14,33 €
Indennità per CTB da 9 a 12 mesi (8%) = 19,11 €
Le indennità sono giornaliere
50
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Durata dell’indennità
Pari ad 1/6 della durata complessiva del rapporto di lavoro
Durata = n^ giornate lavorate o retribuite nei vari rapporti di collaborazione in essere nei 12 mesi precedenti l’inizio della malattia
Max annuale = 61 giorni (1/6 di 365 gg)
51
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Durata dell’indennità
Caso particolare
per chi ha lavorato meno di 120 gg
nell’anno precedente
20 gg max indennizzati
52
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Durata dell’indennità
L’indennità spetta per tutte le giornate di malattia comprese le festività fino
al raggiungimento del limite indennizzabile per evento o anno solare
53
Nuove tutele per lavoratori parasubordinati
Prestazioni non pensionistiche: MALATTIA – no ricovero
Le giornate di malattia pur indennizzate non sono coperte da contribuzione figurativa né
Per il diritto
Per la misura
delle prestazioni pensionistiche
giovedì 25 marzo 2010
Nuove tutele per le lavoratrici parasubordinate
Antonio Pocobello Il problema affrontato da Mussolini nell’ultimo decennio della vita .
Chiudendo così il cerchio tra capitale e lavoro che si trascinava, come oggi continua sempre ad essere a favore del solo capitale, dalla lontana rivoluzione industriale.
I comunisti ed il loro sindacato CGIL hanno sempre fatti richiami speculativi alla nostra Costituzione ma mai si sono sognati di dare seguito a questi articoli per favorire i lavoratori e di elevarsi e di migliorarsi:
Articolo 41 L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Articolo 42 La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti, a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a lutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.La legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Articolo 43 A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Articolo 44 Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione
secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.
Articolo 45 La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini dì speculazione privala. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.
Articolo 46 Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti
stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Dicono che la nostra costituzione é antifascista ma se il vero signicato del fascismo è stata la socializzazione mi pare che la costituzione sia pù fascista di quanto si possa credere.
Se a qualcuno è dubbio ne quest'altro articolo ne accerta la veridicità:
Articolo 99 Il Consiglio Nazionale dell'economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. E' organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie i secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge.Ha iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.
http://pocobello.blogspot.com/search/label/Socializzazione%20-%20OGGI%20-%20DOPO%20IL%2025%20APRILE%201945
Vi spiego in termini pratici la "socializzazione dell'economia"
http://pocobello.blogspot.com/search/label/socializzazione%20-%20Renzaglia%20un%27impresa%20per%20tutti
Pochi sanno che Nicola Bombacci fondatore del PCI e artefice del logo falce e martello, amico e consigliere di Lenin, si rese conto del fallimento della rivoluzione comunista in Russia perchè non era riuscita a dare potere ai "soviet" cioè alla base dei lavoratori.
Per questo ideò insieme a Mussolini ed alla RSI la socializzazione.
Trucidato dai comunisti italiani, che rispondevano agli interessi degli industriali e degli anglo-americani, venne appeso a Piazzale Loreto.
http://pocobello.blogspot.com/search/label/Biografie%20-%20Nicola%20Bombacci
Chiudendo così il cerchio tra capitale e lavoro che si trascinava, come oggi continua sempre ad essere a favore del solo capitale, dalla lontana rivoluzione industriale.
I comunisti ed il loro sindacato CGIL hanno sempre fatti richiami speculativi alla nostra Costituzione ma mai si sono sognati di dare seguito a questi articoli per favorire i lavoratori e di elevarsi e di migliorarsi:
Articolo 41 L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Articolo 42 La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti, a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a lutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.La legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Articolo 43 A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Articolo 44 Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione
secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.
Articolo 45 La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini dì speculazione privala. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.
Articolo 46 Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti
stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Dicono che la nostra costituzione é antifascista ma se il vero signicato del fascismo è stata la socializzazione mi pare che la costituzione sia pù fascista di quanto si possa credere.
Se a qualcuno è dubbio ne quest'altro articolo ne accerta la veridicità:
Articolo 99 Il Consiglio Nazionale dell'economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. E' organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie i secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge.Ha iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.
http://pocobello.blogspot.com/search/label/Socializzazione%20-%20OGGI%20-%20DOPO%20IL%2025%20APRILE%201945
Vi spiego in termini pratici la "socializzazione dell'economia"
http://pocobello.blogspot.com/search/label/socializzazione%20-%20Renzaglia%20un%27impresa%20per%20tutti
Pochi sanno che Nicola Bombacci fondatore del PCI e artefice del logo falce e martello, amico e consigliere di Lenin, si rese conto del fallimento della rivoluzione comunista in Russia perchè non era riuscita a dare potere ai "soviet" cioè alla base dei lavoratori.
Per questo ideò insieme a Mussolini ed alla RSI la socializzazione.
Trucidato dai comunisti italiani, che rispondevano agli interessi degli industriali e degli anglo-americani, venne appeso a Piazzale Loreto.
http://pocobello.blogspot.com/search/label/Biografie%20-%20Nicola%20Bombacci
Crisi del capitale e sindacato di classe
Rossi Anna Maria Occorre prendere atto che all'interno della Cgil non è più possibile costruire una alternativa al sindacato della concertazione. E' necessario trovare altre strade. E' la stessa crisi catastrofica in cui è precipitato nuovamente il capitale a imporre questa necessità.
La crisi economica mette in discussione un capitalismo che non riesce più a dare né sviluppo, né benessere, ma solo crisi, miseria e guerra anche se apparentemente domina incontrastato su di un mondo che ormai da decenni è interamente sottomesso alle leggi del mercato e della concorrenza.
Mette in discussione il ruolo della oligarchia capitalista che in questi ultimi trent'anni è riuscita ad impadronirsi del mondo intero mettendo al lavoro miliardi di uomini e donne e saccheggiando tutte le risorse naturali in cambio della promessa di un futuro di prosperità, che puntualmente non arriva mai.
Mette in discussione il modo di produzione capitalista che è in crisi per le proprie contraddizioni senza che sia possibile addebitarne la responsabilità a nessuna causa esterna.
Questa stessa crisi, nel suo sviluppo, metterà in discussione anche quelle organizzazioni sindacali che si sono rese complici di questo stato di cose, mettendo al centro della loro azione sindacale la salvaguardia del sistema di sfruttamento e delle sue compatibilità invece che l'interesse dei lavoratori.
L'unica via di uscita dalla crisi che il padronato è in grado di concepire è quella che è già sotto gli occhi di tutti: licenziamenti, disoccupazione di massa, un attacco ancora più violento ai salari e ai diritti dei lavoratori.
In questa prospettiva quello di cui i lavoratori e le lavoratrici hanno bisogno non sono altre mediazioni, ma un sindacato che invece difenda salari e diritti a prescindere.
Un sindacato che sia in grado di riaffermare che non sono i lavoratori ad avere bisogno del capitale, ma che invece è vero l'esatto contrario, e che da questo sistema di miseria e di sfruttamento se ne esce solo mettendo al centro il lavoro come unica fonte di sviluppo e progresso sociale.
Non c'è bisogno di nessun sacrificio, la crisi non è nata perché le merci sono rimaste invendute, ma al contrario perché si sono prodotte merci che non potevano essere vendute perché non rispondevano a nessun bisogno reale ma solo a quelli fittizi creati dalla guerra di concorrenza tra gruppi capitalisti, alimentata dalla globalizzazione, dal liberismo e dalle privatizzazioni.
I capitalisti hanno creato la crisi tentando di imporsi uno sull'altro, producendo di più per impadronirsi di fette maggiori di mercato, salvo poi disinvestire e chiudere le fabbriche, per salvare i propri capitali dalla guerra di mercato che loro stessi avevano scatenato.
Questa crisi non significa carestia, non significa "privazione", ma il suo esatto contrario e cioè "sovrabbondanza" di merci, di macchinari, di capitale, di ricchezza che non vengono più utilizzati.
Quello di cui hanno bisogno i lavoratori e le lavoratrici oggi è di un soggetto sindacale che difenda realmente ed esclusivamente i loro interessi salariali e normativi.
Il progresso, lo sviluppo, la conquista di una vita dignitosa per tutte sono un obiettivo troppo importante per essere rinchiuso in un congresso della Cgil.
Occorre ripartire dal basso, dai lavoratori, dalla ricostruzione dei consigli, dal processo di formazione collettivo e di autogoverno della classe per contribuire alla costruzione di un nuovo sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, della classe.
La crisi economica mette in discussione un capitalismo che non riesce più a dare né sviluppo, né benessere, ma solo crisi, miseria e guerra anche se apparentemente domina incontrastato su di un mondo che ormai da decenni è interamente sottomesso alle leggi del mercato e della concorrenza.
Mette in discussione il ruolo della oligarchia capitalista che in questi ultimi trent'anni è riuscita ad impadronirsi del mondo intero mettendo al lavoro miliardi di uomini e donne e saccheggiando tutte le risorse naturali in cambio della promessa di un futuro di prosperità, che puntualmente non arriva mai.
Mette in discussione il modo di produzione capitalista che è in crisi per le proprie contraddizioni senza che sia possibile addebitarne la responsabilità a nessuna causa esterna.
Questa stessa crisi, nel suo sviluppo, metterà in discussione anche quelle organizzazioni sindacali che si sono rese complici di questo stato di cose, mettendo al centro della loro azione sindacale la salvaguardia del sistema di sfruttamento e delle sue compatibilità invece che l'interesse dei lavoratori.
L'unica via di uscita dalla crisi che il padronato è in grado di concepire è quella che è già sotto gli occhi di tutti: licenziamenti, disoccupazione di massa, un attacco ancora più violento ai salari e ai diritti dei lavoratori.
In questa prospettiva quello di cui i lavoratori e le lavoratrici hanno bisogno non sono altre mediazioni, ma un sindacato che invece difenda salari e diritti a prescindere.
Un sindacato che sia in grado di riaffermare che non sono i lavoratori ad avere bisogno del capitale, ma che invece è vero l'esatto contrario, e che da questo sistema di miseria e di sfruttamento se ne esce solo mettendo al centro il lavoro come unica fonte di sviluppo e progresso sociale.
Non c'è bisogno di nessun sacrificio, la crisi non è nata perché le merci sono rimaste invendute, ma al contrario perché si sono prodotte merci che non potevano essere vendute perché non rispondevano a nessun bisogno reale ma solo a quelli fittizi creati dalla guerra di concorrenza tra gruppi capitalisti, alimentata dalla globalizzazione, dal liberismo e dalle privatizzazioni.
I capitalisti hanno creato la crisi tentando di imporsi uno sull'altro, producendo di più per impadronirsi di fette maggiori di mercato, salvo poi disinvestire e chiudere le fabbriche, per salvare i propri capitali dalla guerra di mercato che loro stessi avevano scatenato.
Questa crisi non significa carestia, non significa "privazione", ma il suo esatto contrario e cioè "sovrabbondanza" di merci, di macchinari, di capitale, di ricchezza che non vengono più utilizzati.
Quello di cui hanno bisogno i lavoratori e le lavoratrici oggi è di un soggetto sindacale che difenda realmente ed esclusivamente i loro interessi salariali e normativi.
Il progresso, lo sviluppo, la conquista di una vita dignitosa per tutte sono un obiettivo troppo importante per essere rinchiuso in un congresso della Cgil.
Occorre ripartire dal basso, dai lavoratori, dalla ricostruzione dei consigli, dal processo di formazione collettivo e di autogoverno della classe per contribuire alla costruzione di un nuovo sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, della classe.
La detassazione degli straordinari è una misura sbagliata e ingiusta
Rossi Anna Maria La detassazione degli straordinari al posto della riduzione delle tasse sulla busta paga di tutti i lavoratori e' una misura sbagliata e ingiusta e i sindacalisti che l'approvano hanno semplicemente perso la bussola.
Questo perche':
Si privilegiano i lavoratori che possono lavorare di piu', una minoranza, e si dicriminano innanzitutto le donne. Si danneggia l occupazione soprattutto dei giovani.
Si incentiva il peggioramento delle condizioni di lavoro con danni certi alla salute e alla sicurezza di chi lavora.
Si dimentica che il lavoro dipendente paga la grande maggioranza delle tasse e aspetta ancora la restituzione del drenaggio fiscale che ha falcidiato le gia' magre buste paga.
Questa misura e' gia' stata adottata in francia e si e' gia' rivelata un chiaro fallimento. Fallira' anche da noi e chiederemo il conto non solo al governo, ma anche a chi nel sindacato, smarrendo i fondamentali, l'ha appoggiata.
Questo perche':
Si privilegiano i lavoratori che possono lavorare di piu', una minoranza, e si dicriminano innanzitutto le donne. Si danneggia l occupazione soprattutto dei giovani.
Si incentiva il peggioramento delle condizioni di lavoro con danni certi alla salute e alla sicurezza di chi lavora.
Si dimentica che il lavoro dipendente paga la grande maggioranza delle tasse e aspetta ancora la restituzione del drenaggio fiscale che ha falcidiato le gia' magre buste paga.
Questa misura e' gia' stata adottata in francia e si e' gia' rivelata un chiaro fallimento. Fallira' anche da noi e chiederemo il conto non solo al governo, ma anche a chi nel sindacato, smarrendo i fondamentali, l'ha appoggiata.
E' ORA DI DIRE BASTA AL MONOPOLIO DI CGIL CISL UIL

Rossi Anna Maria Sino al 1997, le norme richiedevano alle organizzazioni sindacali del settore pubblico il raggiungimento della soglia del 5% dei voti validi nelle elezioni di categoria (Consigli di Amministrazione dei Ministeri e Consigli della Pubblica Istruzione, nazionale e provinciali, per la Scuola). Nel periodo intercorrente fra un'elezione e l'altra il calcolo veniva, con un tetto analogo, operato sui sindacalizzati. Il raggiungimento del 5% su lista nazionale significava per le organizzazioni di comparto poter sedere al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di categoria e per le contrattazioni decentrate di primo livello; una soglia analoga su lista provinciale garantiva la partecipazione alle trattative decentrate locali o di singola "unità produttiva".
La legge n.° 396 del 4 Novembre 1997, ha stravolto ogni regola. Innanzitutto con un meccanismo elettorale farsesco che impedisce la presentazione di liste nazionali, imponendo unicamente liste decentrate e delegando alle OOSS "maggiormente rappresentative" la scelta dei tempi e del rito. Così, ad esempio nella Scuola (12.000 sedi centrali), CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda impongono la presentazione di una lista per istituto, e meno liste si presentano, meno voti si possono raccogliere. Il confronto democratico fra "maggiormente rappresentativi" e sindacati di recente istituzione è del tutto viziato: ai primi – oltre la fruizione monopolistica di aspettative annue pagate dallo stato, permessi, diritto all'informazione ed alla propaganda – viene accordato il diritto di indire assemblee retribuite in orario di servizio; agli altri tale possibilità è assolutamente interdetta. Va da sé che la "maggiore rappresentatività è irraggiungibile ai sindacati di recente istituzione, che non possono neppure presentare il proprio programma agli elettori.
Vengono perciò elette "Rappresentanze Sindacali Unitarie" unicamente nei luoghi di lavoro, titolate a trattare solo su questioni minimali, sulla falsa riga di contratti nazionali e provinciali decisi dai rappresentanti nominati dalle burocrazie sindacali senza alcun controllo elettivo. Di contro, i firmatari del contratto nazionale hanno comunque titolo alle contrattazioni decentrate a livello regionale e provinciale, nonché di singola unità funzionale o produttiva (anche a voti zero!). Nel privato, peraltro, con accordi specifici si sono dotati della riserva del 33%, percentuale garantita indipendentemente dai risultati elettorali.
Si rende praticamente impossibile alle organizzazioni di nuova istituzione e che adottano una differente filosofia associativa, alle quali è negato a priori ogni strumento di sostegno (persino brevi permessi sindacali), la competizione con le vecchie strutture confederali, che possiedono nel pubblico impiego un esercito di circa 5.000 "distaccati". Inoltre le OOSS non "maggiormente rappresentative", con l'interdizione rispetto alla convocazione di assemblee in orario di servizio, non solo non possono farsi campagna elettorale, ma neppure trovare i candidati ed i sottoscrittori necessari a presentare le liste nei posti di lavoro. La cosa è persino ridicola, visto che la somma delle firme richieste per validare le liste raggiunge numeri strabilianti (nella scuola occorrerebbero 65.000 presentatori: più dei voti richiesti per raggiungere il 9.5% nei risultati finali e più di quanto sia necessario per proporre al Parlamento una legge di iniziativa popolare).
Si tratta di numeri congrui per le singole unità amministrative (2% degli aventi diritto), ma assolutamente improponibili nell'ottica di una sommatoria nazionale. Sarebbe come se – nelle elezioni politiche – i partiti fossero obbligati a presentare una lista per ogni seggio elettorale, dovendo così raccogliere almeno 600.000 firme per coprire tutto il territorio nazionale.
In realtà diventerebbe imbarazzante per quelli che oggi sono stimati quali sindacati "maggiormente rappresentativi", competere ad armi pari, come le regole democratiche invece imporrebbero. Con elezioni nazionali significherebbe passare dal monopolio al pluralismo ed essere, in più, costrette a far scegliere direttamente dai lavoratori anche le proprie delegazioni trattanti.
Ma il marchingegno illiberale non si conclude qui. Al fine di favorire i sindacati consolidati ed esistenti dal dopoguerra a scapito di quelli di recente istituzione, è stato inventato un meccanismo ulteriore, assolutamente indecente. Si tratta della cosiddetta "media": il 5% non viene infatti calcolato più sui voti o sugli iscritti, ma facendo media fra i due parametri. In tal modo la soglia sul dato elettorale sale automaticamente, dovendo i sindacati nuovi compensare la ovvia carenza di iscritti a fronte delle organizzazioni esistenti da almeno quarant'anni. Se si fosse adottato qualcosa di simile per accedere al Parlamento si sarebbe gridato al colpo di stato, anche perché così non si consentirebbe di fatto la nascita di alcun nuovo partito. Nessuno accetterebbe mai il computo spurio fra voti ed iscrizioni elevato a regime. Significativo è che il 10% dei sindacalizzati (35%) equivale alla metà esatta del 10% sui votanti (70%), utile ad un sindacato di nuova formazione per ottenere la media del cinque per cento richiesta (e se non il 10%, sarà l'8 o il 9%). In tal modo, CGIL, CISL e UIL, che in decenni si sono garantite comunque il 10% dei sindacalizzati, resterebbero "rappresentative" anche qualora non raccogliessero voti!
I sindacati che non raggiungono tali folli parametri vengono privati di ogni diritto e spazzati via persino dal piano decentrato, anche se, come l'Unicobas Scuola, possiedono comunque il 10% dei voti nelle elezioni per il Consiglio Scolastico Provinciale ed il 5% delle deleghe nell'ambito di numerose province - come a Roma dove questo sindacato rappresenta il doppio dei lavoratori rispetto a UIL e Gilda - e regioni. Un sindacato può anche avere il 60% delle deleghe su base provinciale e non essere ammesso a nessuna trattativa decentrata.
In Italia si dibatte molto di federalismo, ma il federalismo viene espunto dalla democrazia del lavoro. L'unica possibilità di sopravvivenza a livello locale che venne prevista dal legislatore solo per l'anno 2000, in prima applicazione, venne legata al requisito dell'affiliazione di almeno il 10% dell'intera forza lavoro. Cosa che, in una zona di media sindacalizzazione (35%) come il pubblico impiego, non era e non è data in Italia in nessuna provincia neanche alle due più forti Confederazioni: CGIL o CISL. Se per far parte di un Consiglio Comunale fosse obbligatoria l'iscrizione del 10% degli aventi diritto al voto, non esisterebbero liste locali in grado di competere. Le norme nazionali sulla rappresentanza sindacale, se traslate in politica, avrebbero come effetto per i partiti che non possedessero da Canicattì a Bolzano un quorum nazionale calcolato sul 5% di media fra voti ed iscritti (sic!), non solo l'esclusione dal Parlamento, ma anche da ogni consiglio regionale, provinciale, comunale o municipale e, di concerto, da ogni permesso per fare propaganda, manifestare, tenere comizi ed ottenere qualsivoglia rimborso elettorale, visto che in campo sindacale vengono negati tutti i diritti, anche quello d'affissione all'interno dell'unità funzionale o produttiva. Altro che par condicio !!! Eppure, in ambito sindacale, non si dà luogo alla creazione di "governi" e non è quindi in gioco la "stabilità" dell'esecutivo. Un sindacato, al quale la Costituzione non richiede altro che uno statuto registrato, esiste per far valere i diritti dei rappresentati, non per legiferare. Si ricorda che, differentemente, per entrare in Parlamento sono richieste percentuali ben più basse (4%, ma solo sui voti validi), così come per aver accesso al finanziamento pubblico dei partiti (1%).
Mentre in Europa sindacati come l'Unicobas hanno pieni diritti, nel "Bel Paese" non viene fornita ai sindacati "sufficientemente rappresentativi" neanche un'ora di permesso retribuito. In Francia, ad esempio, con un'analoga percentuale di voti riportata nelle elezioni professionali – che nel nostro Paese sono state soppresse ed i cui risultati la legge italiana oggi esclude comunque per il calcolo della rappresentanza – verrebbero concesse 21 aspettative annue a carico dello stato. L'Italia, sotto il profilo dei diritti sindacali, è più prossima alla Polonia dei tempi del generale Jaruzelskij, quando venne messa fuorilegge "Solidarnosc" o al Cile di Pinochet.
Come accennato, per paura che CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda perdessero ugualmente l'egemonia sindacale sul mondo dell'istruzione (retribuito al livello più basso del ventaglio europeo), all'Unicobas (ed ai sindacati di base) viene negato dall'Ottobre '99 persino il diritto di tenere assemblee in orario di servizio in qualsiasi scuola (anche laddove questo sindacato dispone nel singolo istituto di un seguito di 50 iscritti con trattenuta alla fonte su 100 docenti). Persino in quelle scuole ove, avendo presentato una lista, il sindacalismo di nuova istituzione abbia una o più RSU elette. Tutto ciò avviene in aperta violazione di quanto stabilisce lo Statuto dei Lavoratori, che assegna la facoltà di indire assemblee in orario di servizio alle Rappresentanze singolarmente o disgiuntamente (RSA alle quali, per effetto del D.L.vo 29 / 93, sono subentrate le RSU con medesimi diritti).
Trattasi di una vera e propria operazione "di regime" statuita per contratto dalle OOSS firmatarie dei principali CCNL nazionali di categoria, in pieno conflitto d'interessi perché eliminano ogni diritto per i sindacati di nuova istituzione. Operazione che, seppur sanzionata dalla magistratura con almeno 14 sentenze di condanna per comportamento antisindacale in capo ai dirigenti scolastici responsabili del diniego opposto all'Unicobas relativamente all'indizione di un'assemblea in orario di servizio, viene reiterata di accordo in accordo. Le OOSS hanno di fatto assunto la facoltà di sostituirsi alla legge: le norme sulla privatizzazione del rapporto di lavoro nel P.I. garantiscono comunque l'applicazione degli istituti contrattuali, anche se contra legem (e le sentenze hanno in Italia purtroppo valore applicativo solo una tantum e per le singole istituzioni scolastiche alle quali si riferiscono).
Il caso della scuola è emblematico di norme ritagliate sugli interessi dei Confederali: nei comuni di Roma, Milano e Napoli (50.000 addetti ognuno), i Confederali organizzano elezioni che prevedono la presentazione di un'unica lista con 200 firmatari (la concorrenza del sindacalismo di base è troppo bassa...). Nei provveditorati corrispondenti, che annoverano una pari quantità di dipendenti, occorre invece produrre almeno 600 / 700 liste (una per scuola), con 3.500 firme ed altrettanti candidati (quando difficilmente si raggiungeranno 35.000 votanti complessivi).
Per quanto sopra indicato, il presente disegno di legge prevede il calcolo della rappresentatività per il tramite di elezioni alle quali si concorre mediante liste nazionali, quindi regionali, provinciali (per la delegazione trattante di tali livelli) e di singolo istituto, unità produttiva o funzionale, in questo caso con l'elezione di rappresentanze sindacali unitarie (per il contratto decentrato di ultimo livello).
Per le motivazioni su ascritte, il presente disegno di legge prevede il calcolo della rappresentatività solo sul dato elettorale puro Un altro elemento inaccettabile è rappresentato dalla disparità di trattamento fra sistema pubblico e privato, come per esempio nel caso delle aspettative sindacali a carico delle OOSS (ma con contributi pensionistici pagati dallo stato), concesse dalla L. 300/70 a chiunque, ma oggi riservate (persino quelle...!) nel pubblico dalla legge vigente sulla rappresentanza sindacale solo ai "maggiormente rappresentativi". Per tale motivo, nel presente ddl si prevede di restituire piena vigenza alla L. 300/70 pur su tale aspetto, superando così un'assurda sperequazione, anche questa già sanzionata da specifiche sentenze.
Va poi segnalato che i pensionati italiani possono iscriversi unicamente alle OOSS che sono interne al CNEL, organismo al quale si accede solo per nomina politica e senza calcolo alcuno della rappresentatività. Vale a dire che persino il segretario nazionale di una sigla non presente nel CNEL, quando andrà in pensione, non potrà decidere di iscriversi al proprio sindacato, poiché – contro la sua volontà – col sistema attuale potrà scegliere solo una delle organizzazioni alle quali lo Stato assegna il monopolio sui pensionati (che sono, guarda caso, la maggioranza fra gli affiliati a CGIL, CISL e UIL...!). Si tratta di una palese violazione della libertà associativa sancita dalla Costituzione. Con il presente ddl si liberalizza l'iscrizione del personale in quiescenza.
L'elemento principe per la determinazione della rappresentanza è, in uno stato democratico e di diritto, il meccanismo elettorale. In ogni settore del mondo del lavoro è prevista, nel presente disegno di legge, la realizzazione di elezioni di categoria specificatamente per la rappresentanza sindacale, tramite le quali vengono chiamati al voto gli addetti, ivi compresi i lavoratori con contratto a tempo determinato, precari e prestatori d'opera. Da tali consultazioni emergerà triennalmente, il piano dei sindacati rappresentativi, categoria per categoria, a seconda dei suffragi ricevuti. Viene così restituita alla base del mondo del lavoro la decisionalità nella scelta delle organizzazioni sindacali riconosciute istituzionalmente.
La titolarità a trattare ed a godere delle libertà sindacali costituzionalmente tutelate, trattandosi della rappresentanza di tesi, obiettivi e bisogni dei lavoratori, va estesa in termini di espressione plurale e pluralistica: per tale motivo si propone la sostituzione della dizione, presente nello statuto dei lavoratori, di "maggiore rappresentatività" con quello di "sufficiente rappresentatività". La rappresentazione di interessi collettivi è necessariamente variegata e poliedrica e non può, né deve, essere ricondotta al regime di monopolio cui è stata assoggettata dalle grandi centrali sindacali, oggi peraltro non più in grado di rappresentare da sole tutto e tutti a conseguenza delle profonde mutazioni avvenute nel mondo produttivo e della grande complessità delle moderne democrazie.
Al fine di scongiurare un irrigidimento senza sbocchi delle tensioni e delle esigenze nel mondo del lavoro, occorre realizzare una sintesi ad un livello più alto, tramite il confronto di rappresentanze democraticamente elette riportate ad un tavolo comune di dialogo. Cosa che non è possibile con l'esclusione aprioristica della formalizzazione di tesi legittime, espressioni di contraddizioni non sopprimibili, ma solo mediabili.
Il livello della "sufficiente rappresentatività", l'unico che risponde ai criteri del pluralismo e della democrazia del lavoro (in campo sindacale non si tratta di assicurare stabilità di "governo", ma la completezza nella rappresentazione di interessi legittimi), va quindi definito in modo certo, perché sia espressione di interessi reali e suffragati.
Per questo motivo, anche per evitare una eccessiva frammentazione, si è stabilita una soglia minima per l'acquisizione della piena titolarità sindacale, identificata nel 3 per cento dei voti validi nelle elezioni di categoria per l'accesso alle contrattazioni nazionali, eliminando ogni altro ostacolo che non sia quello della volontà elettorale dei lavoratori.
Dal livello nazionale discende quello provinciale e decentrato, sino alla singola unità produttiva o funzionale. Anche a tali livelli è necessario garantire adeguata rappresentanza alle istanze dei lavoratori. Per il livello decentrato, sicuramente più "raggiungibile", la soglia della rappresentanza è fissata nel 4 per cento dei voti validi, raccolti in specifiche elezioni, collaterali a quelle nazionali. Lo "schema" elettorale è mutuato dalle votazioni già previste in passato nel pubblico impiego per l'elezione degli organismi quali i soppressi consigli di amministrazione o, nella scuola, per il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, i consigli scolastici provinciali (organismi ancora in carica ma non più eletti dal 1997) e quelli distrettuali (eliminati).
Le elezioni di categoria per la rappresentanza, con scansioni improrogabili sia per il pubblico impiego che per il privato, sono poste sotto il diretto controllo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e si espletano tramite la costituzione di apposite commissioni elettorali, cui hanno titolo a partecipare, tramite propri rappresentanti, tutte le liste presentate.
Altra possibilità, per colmare il vuoto di controllo della rappresentanza fra una elezione e l'altra, è quella del raggiungimento, ai vari livelli (nazionale 3 per cento e decentrato 4 per cento), di una percentuale di iscritti pari ad analoghe percentuali rispetto al totale dei sindacalizzati del relativo bacino di riferimento.
La "sufficiente rappresentatività" di primo livello raggiunta in due comparti/categorie di contrattazione afferma una "maggiore rappresentatività" di fatto che determina un riconoscimento ulteriore dei sindacati, ma tale condizione non può essere un "lasciapassare" per ogni comparto/categoria a chi risulti privo di una "minima rappresentatività", testimoniata da una diffusione territoriale appropriata, specificatamente anche negli altri settori. Per questo motivo può venire convocato a trattare su altri comparti/categorie chi ne ha già due di diritto, ma solo se dimostra una consistenza associativa nazionale relativa al nuovo settore che escluda la tentazione di una presenza strumentale senza interessi diretti alla difesa dei lavoratori della nuova area professionale. Viene così contemperato il disposto della Corte costituzionale, che intende "premiare" i sindacati estesi ed intercategoriali, nella presunzione di una maggiore tutela degli interessi generali, senza per questo imporre diktat di una categoria sull'altra, esercitati tramite una rappresentanza "virtuale" in contrattazioni relative a settori ove non si è per nulla presenti.
Le organizzazioni intercategoriali maggiormente rappresentative, proprio perché espressione di una più alta sintesi di interessi collettivi, devono anzi fruire del diritto, garantito per legge, di venire convocati dal Governo in occasione di grandi manovre economiche o normative che investono contemporaneamente più ambiti lavorativi.
In ogni caso, ogni disparità di trattamento va eliminata anche per l'ingresso nel CNEL, fino ad oggi ottenuto in modo del tutto discrezionale e qui concesso a tutte le OOSS maggiormente rappresentative. Va ancora segnalato che le organizzazioni sindacali rappresentate nel CNEL godono di privilegi di rappresentanza dai quali le altre sono escluse: in particolare, l'iscrizione dei pensionati può essere attivata solo ed unicamente dalle organizzazioni sindacali presenti nel CNEL. Specialmente tale diritto deve essere esteso erga omnes, perché la situazione attuale determina una palese violazione del diritto del lavoratore in quiescenza di scegliere senza condizionamenti a chi associarsi.
Nelle categorie del settore pubblico e privato, in ogni scuola, ufficio o unità produttiva, si prevede – come già attualmente disposto per legge solo per il sistema pubblico – l'elezione di rappresentanze sindacali unitarie, anche queste secondo la formula "ogni testa un voto", secondo la logica democratica che impone che tutti i lavoratori elettori siano anche eleggibili. Questo per garantire, accanto alle rappresentanze sindacali aziendali previste dalla legge n. 300 del 1970, un consiglio con poteri trattanti e che assegna agli eletti, secondo il criterio proporzionale e senza le quote di salvaguardia oggi concesse da accordi pattizi alle organizzazioni sindacali "maggiormente rappresentative", i pieni poteri sindacali e la libertà di espressione e critica anche rispetto al consiglio stesso. Concordemente con quanto previsto dalla L. 300/70, ogni singolo componente delle RSU dovrà poter fruire del diritto di convocare assemblee in orario di servizio, nonché del diritto-dovere di esprimere la propria opinione, differentemente da quanto prevedono invece i vigenti accordi pattizi, che dispongono un falso ed appiattente unanimismo.
Scopo del presente disegno di legge è, in ultima analisi, quello di ampliare la democrazia sindacale e la parità di trattamento fra le diverse posizioni sindacali; di riconsegnare finalmente ai lavoratori la piena titolarità a decidere chi li rappresenta, siano sindacati o liste spontanee che abbiano dimostrato elettoralmente la propria consistenza associativa, nello spirito di un'autorappresentazione della democrazia del lavoro, finalmente sottratta sia a logiche burocratiche che ad ingiuste tutele monopolistiche fuori da ogni controllo democratico.
La tutela si estende, anche dopo la prima sigla dei contratti, nell'automatismo del referendum, disposto per legge e vincolante sulla validità degli accordi stessi. Onde evitare la validazione di accordi tramite referendum-farsa, gli effetti intervengono solo a fronte di una partecipazione pari a più del 50 per cento degli aventi diritto.
La titolarità dei diritti sindacali viene estesa direttamente ai lavoratori, segnatamente per la possibilità d'indizione di assemblee in orario di lavoro, diritto che con la presente legge viene doverosamente restituito anche a tutte le OOSS senza distinzioni determinate dalla rispettiva rappresentatività, nonché concesso tramite raccolta di firme nelle unità produttive o funzionali. Relativamente al monte ore annuo, che oggi in molti settori viene esaurito indipendentemente dalla partecipazione o meno del lavoratore alle assemblee indette, si prevede che deve essere invece il soggetto a decidere a quali assemblee partecipare, gestendo così il proprio monte ore a sua disposizione. La ratio di tale previsione normativa è elementare: la pluralità dei soggetti titolata ad indire assemblee retribuite in orario di servizio non determina infatti alcun aumento del monte ore annuo stabilito in sede di contratto nazionale per ogni singolo appartenente ad una categoria. La parte datoriale continuerà a provvedere, esattamente come è oggi previsto, al conteggio delle ore utilizzate da ogni lavoratore, che potrà fruire del diritto solo sino all'esaurimento del monte ore stesso. Quanto viene qui sancito ha una grande importanza nel ristabilire democratiche relazioni sindacali, dal momento che allo stato attuale la titolarità di fruizione del monte ore, assegnata dalla L. 300/70 in capo al singolo lavoratore, è stata surrettiziamente negata da una prassi indotta da contratti di categoria che negano il diritto di scelta. Se, infatti, il Contratto Collettivo Nazionale Quadro del 7.8.1998 "sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi, nonché delle altre prerogative sindacali" (CCNQ) nel pubblico impiego, siglato dalle OOSS "maggiormente rappresentative" rispetta (titolo II, art. 2, comma 2; parte II, art. 10, comma 1) quanto disposto in merito dalla L. 300/70, affermando testualmente che il diritto di indire assemblee in orario di servizio spetta alle RSU "congiuntamente o disgiuntamente", le stesse OOSS hanno – nei contratti di categoria che pur si rifanno per gerarchia delle fonti a detto CCNQ – imposto come unica possibilità la convocazione di assemblee da parte delle RSU "congiuntamente". Viene così negato il diritto del singolo eletto di convocare assemblee retribuite in orario di servizio. In tal modo s'afferma un monopolio assoluto in capo alle OOSS "maggiormente rappresentative", che concentrano sia il diritto di convocare assemblee in proprio, come sigla, anche quando sono minoritarie (o non hanno alcun eletto fra le RSU), sia quello di esercitare un assurdo potere di veto sulle assemblee che intenderebbero convocare eletti in liste di sindacati non maggioritari ma che nella singola unità funzionale sono evidentemente rappresentativi. Viene infatti loro negato il placet dagli altri, persino quando questi non rappresentano che un membro su tre: in tal modo non possono mai interloquire con i propri elettori. Viceversa, se la minoranza è eletta nelle liste di un sindacato "maggiormente rappresentativo", questa può convocare assemblee in proprio agendo come sigla sindacale.
Nella presente legge, l'agibilità sindacale di base è stata lasciata a tutte le organizzazioni (ex articolo 14, della legge n. 300 del 1970): la libertà associativa, costituzionalmente tutelata, non può venire eliminata.
Al sindacato di nuova costituzione deve essere consentito di poter far conoscere il proprio programma e di propagandarlo, né si può permettere che non gli vengano neppure effettuate le trattenute alla fonte liberamente sottoscritte dai lavoratori se queste vengono praticate agli altri sindacati (come avviene nel settore privato).
Infine s'intende ribadire – a fronte di inique previsioni normative recentemente avanzate provvisoriamente nel settore dei trasporti – l'ineludibilità del diritto di sciopero per tutti i lavoratori, riaffermando che esso può solo essere normato, ma mai subordinato a coefficienti di rappresentatività, neppur richiesti come "gradimento" verso lo sciopero da indire. Il diritto di sciopero è diritto indisponibile e come tale costituzionalmente tutelato e non può essere assoggettato a criteri legati alla rappresentatività del sindacato che lo indice, tanto più che tale previsione non avrebbe ratio alcuna, visto che un sindacato debole produce di norma uno sciopero debole ed il "gradimento" all'astensione dal lavoro lo si esprime con l'aderirvi o meno. Le norme, che pure esistono, sulla regolamentazione del diritto di sciopero, come la L. 146/90 e successive modificazioni, non possono e non devono divenire un pretesto per selezionare la rappresentatività sindacale, cosa che invece è materia di tutt'altro livello, come ribadisce la presente legge.
Solo garantendo nel contempo il pluralismo sindacale e le libertà sindacali per i singoli lavoratori, può realizzarsi l'obiettivo di una più alta civiltà del lavoro nel nostro Paese
Giovani per la pensione, vecchi per lavorare: 350mila a rischio con la crisi
Giovani per la pensione, vecchi per lavorare: 350mila a rischio con la crisi
Con la crisi che picchia duro e ogni giorno si arricchisce di una nuova cattiva notizia da ogni angolo del pianeta, è umano che i “lavoratori maturi” siano terrorizzati dal futuro. Anche ieri il ministro Sacconi ha ricordato l’impegno del governo di destinare 4 miliardi proprio per i lavoratori meno tutelati ma loro temono che i posti di lavoro destinati al rogo somigliano a una medaglia: su una faccia l’esercito dei giovani con contratto a termine che aspettano con il fiato sospeso il giorno della scadenza nel timore che non arriverà il rinnovo. Si sa che, da gennaio, ogni mese ne scadono circa 315mila. Per molti significherà la disoccupazione. Il 13% dei lavoratori atipici è di “lunga durata”, ha di media tra i 40 e i 50 anni ma non mancano gli ultracinquantenni, usciti dai processi produttivi per colpa della crisi. Per loro, con un Welfare State ai minimi termini, la prospettiva è il Welfare familiare e aspettare che “passi la nuttata”.
L’ALTRA FACCIA del dramma sono proprio gli over 50: per loro scarse prospettive di riqualificazione professionale, poca attitudine a familiarizzare con nuovi processi produttivi e nuove tecnologice. Lo stesso uso del computer è spesso sconosciuto. E così trovare una nuova occupazione diventa impresa difficile. Quando esiste il sostegno della cassa integrazione non è l’ipotesi peggiore, in caso di difficoltà dell’azienda: l’incubo è il licenziamento tout court perchè il mercato del lavoro lascia poche speranze agli over 50. Cosa fare? Esistono ammortizzatori sociali e programmi di riqualificazionedi settori, aziende e anche personali ma la crisi batte anche sui conti pubblici del Belpaese, per nulla brillanti. Però, non basta “aspettare che passi la nottata”, sperare solo nella fine della crisi: sarebbe la strategia peggiore. Con 350mila famiglie in seria difficoltà il rischio è quello di stravolgere le basi della coesione sociale del Paese.
Con la crisi che picchia duro e ogni giorno si arricchisce di una nuova cattiva notizia da ogni angolo del pianeta, è umano che i “lavoratori maturi” siano terrorizzati dal futuro. Anche ieri il ministro Sacconi ha ricordato l’impegno del governo di destinare 4 miliardi proprio per i lavoratori meno tutelati ma loro temono che i posti di lavoro destinati al rogo somigliano a una medaglia: su una faccia l’esercito dei giovani con contratto a termine che aspettano con il fiato sospeso il giorno della scadenza nel timore che non arriverà il rinnovo. Si sa che, da gennaio, ogni mese ne scadono circa 315mila. Per molti significherà la disoccupazione. Il 13% dei lavoratori atipici è di “lunga durata”, ha di media tra i 40 e i 50 anni ma non mancano gli ultracinquantenni, usciti dai processi produttivi per colpa della crisi. Per loro, con un Welfare State ai minimi termini, la prospettiva è il Welfare familiare e aspettare che “passi la nuttata”.
L’ALTRA FACCIA del dramma sono proprio gli over 50: per loro scarse prospettive di riqualificazione professionale, poca attitudine a familiarizzare con nuovi processi produttivi e nuove tecnologice. Lo stesso uso del computer è spesso sconosciuto. E così trovare una nuova occupazione diventa impresa difficile. Quando esiste il sostegno della cassa integrazione non è l’ipotesi peggiore, in caso di difficoltà dell’azienda: l’incubo è il licenziamento tout court perchè il mercato del lavoro lascia poche speranze agli over 50. Cosa fare? Esistono ammortizzatori sociali e programmi di riqualificazionedi settori, aziende e anche personali ma la crisi batte anche sui conti pubblici del Belpaese, per nulla brillanti. Però, non basta “aspettare che passi la nottata”, sperare solo nella fine della crisi: sarebbe la strategia peggiore. Con 350mila famiglie in seria difficoltà il rischio è quello di stravolgere le basi della coesione sociale del Paese.
Rischio di collasso per pagare le pensioni.....
"Una parte sempre più cospicua del bilancio nazionale è assorbito dalle pensioni, che nel 2000 rappresentavano il 18,3 % del bacino dei salariati, mentre nel 2010 rappresenteranno il 22,8%, pari ad un aumento del 21% in dieci anni".
Questa l'analisi del WIFO, l'Istituto di referenza del Governo austriaco che oggi ha lanciato l'allarme pensioni in un paese che vede 260 pensionati l'anno ogni mille lavoratori che, peraltro, vanno in pensione sempre più giovani, con una longevità di vita sempre crescente.
Un dato comunea molti paesi europei.
Secondo il settimanale "Profil" l'Austria spenderà quest'anno 13 miliardi di euro in pensioni, più di quanto investa nelle scuole e nelle università, per esempio.
Con i suoi 8 milioni e 300 mila abitanti, nel 2008 l'Austria contava 2 milioni di cittadini sopra i 60 anni d'età (di cui 1,5 tra i 60 e gli 80 anni) e l'invecchiamanto della popolazione è destinato ad aumentare secondo le previsioni demografiche, in quanto il tasso di natalità è assai debole, pari a 1,42 bambini per ogni donna.
Le previsioni più a lungo termine, inoltre, pronosticano 560 pensionati ogni 1000 lavoratori, mentre dall'inizio dell'anno sono oltre 15 mila i lavoratori cinquantenni che hanno chiesto il pre-pensionamento.
Il pre-pensionamento ha goduto di benefici di legge varati poco prima delle legislative dello scorso 28 settembre: oggi un pre-pensionato di 55 anni anni prende 1.877 euro al mese di pensione, mentre un medesimo pensionato uscito dal lavoro nei tempi corretti ne prende 1.096.
Ma la palma spetta ai pensionati del servizio pubblico con 2.600 euro al mese.
Questa l'analisi del WIFO, l'Istituto di referenza del Governo austriaco che oggi ha lanciato l'allarme pensioni in un paese che vede 260 pensionati l'anno ogni mille lavoratori che, peraltro, vanno in pensione sempre più giovani, con una longevità di vita sempre crescente.
Un dato comunea molti paesi europei.
Secondo il settimanale "Profil" l'Austria spenderà quest'anno 13 miliardi di euro in pensioni, più di quanto investa nelle scuole e nelle università, per esempio.
Con i suoi 8 milioni e 300 mila abitanti, nel 2008 l'Austria contava 2 milioni di cittadini sopra i 60 anni d'età (di cui 1,5 tra i 60 e gli 80 anni) e l'invecchiamanto della popolazione è destinato ad aumentare secondo le previsioni demografiche, in quanto il tasso di natalità è assai debole, pari a 1,42 bambini per ogni donna.
Le previsioni più a lungo termine, inoltre, pronosticano 560 pensionati ogni 1000 lavoratori, mentre dall'inizio dell'anno sono oltre 15 mila i lavoratori cinquantenni che hanno chiesto il pre-pensionamento.
Il pre-pensionamento ha goduto di benefici di legge varati poco prima delle legislative dello scorso 28 settembre: oggi un pre-pensionato di 55 anni anni prende 1.877 euro al mese di pensione, mentre un medesimo pensionato uscito dal lavoro nei tempi corretti ne prende 1.096.
Ma la palma spetta ai pensionati del servizio pubblico con 2.600 euro al mese.
CAUSE E IDEALI
Rossi Anna Maria A volte mi sembra inutile la battaglia impari dato le forze messe in campo. I Sindacati canonici per riconosciuti tali, sono agglomerazioni di potere precostituito e vantano schiere di tesserati anche inattivi e di simpatizzanti votarli solo per la loro superficie visibile posta in propaganda! Come diceva qualcuno: Tutti gridano al cambiamento e nessuno lo vuole! Ho l’impressione di cavalcare un destriero nel senso di armatevi e partite, che noi assistiamo a quello che fate, poi se siete bravi, va bene, altrimenti siete inutili! Conseguenza credo lecita per chi si espone in prima fila e soprattutto vi s’impegna, è considerare che i più non lo meritino. Che anche gli vada bene l’andazzo a prescindere. C’è poi chi si pone agli estremi, li considero utopici e penso vadano ad allontanare la gente che in maggioranza vive una vita, diciamo normale. Non sono quindi soddisfatta dei risultati. Ma di un idea che piano si concretizza, si! Questa si individua nel sogno di molti e a cui Vi chiedo di partecipare fattivamente! Cioè vedere una continuità ideologica, applicarsi alla nostra attualità e nel rispetto della civiltà e della legalità! Solo parole? Si, fino a quando le coscienze non diventeranno attive! Bisogna seguire dei passi obbligati per costruire realtà radicarsi nel territorio! Dobbiamo aumentare i nostri adepti vertiginosamente e continuare ad insistere in questo! Abbiamo il diritto di dire la nostra e senza prevaricazioni! Poco tempo e neanche tutti i giorni di partecipazione ed invisibilità, possono smuovere quei diti che celano all’occhio le montagne!
Cominciare tangibilmente dall’invitare le proprie amicizie; sono a conoscenza che in tanti raccogliete nelle vostre sfere personali, tante occasioni in ambito di malumori, a cui insieme potremo dare risposte positive!
A NOI!!!
La Segretaria Nazionale ( Facente Funzioni) di A.L.I. Associazione Lavoratori Italiani...Anna Maria B.
Cominciare tangibilmente dall’invitare le proprie amicizie; sono a conoscenza che in tanti raccogliete nelle vostre sfere personali, tante occasioni in ambito di malumori, a cui insieme potremo dare risposte positive!
A NOI!!!
La Segretaria Nazionale ( Facente Funzioni) di A.L.I. Associazione Lavoratori Italiani...Anna Maria B.
Si alla socializzazione
Rossi Anna Maria Cantonetti Antonello: L'esportazione di posti di lavoro, sia legati alle fasi produttive che alla fornitura di servizi, verso paesi a basso costo della manodopera è ormai una caratteristica distintiva del
processo produttivo e rappresenta una fonte di vulnerabilità per i singoli lavoratori.
Possiamo e dobbiamo appellarci agli art. 43 e 46 del...la Costituzione che recitano
1) Art. 43 " A fini di utilità generale la legge può riservare
originariamente o trasferire, mediante espropriazione
e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici
o a comunità di lavoratori o di utenti determinate
imprese o categorie di imprese, che si riferiscano
a servizi pubblici essenziali o a fonti di
energia o a situazioni di monopolio ed abbiano
carattere di preminente interesse generale."
2) Art. 46 "Ai fini della elevazione economica e sociale del
lavoro e in armonia con le esigenze della produzione,
la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori
a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti
dalle leggi, alla gestione delle aziende."
In sintesi chiederemo che siano espropriate quelle aziende in odore di delocalizzazione. Quelle aziende che, pur avendo usufruito di aiuti di Stato (vedi FIAT), concessi per la tutela del posto di lavoro per migliaia di persone, hanno o stanno per trasferire all'estero la propria attività produttiva. Chiederemo, dunque, che le stesse siano date in gestione ai lavoratori, con la supervisione dello Stato.
Ricordiamo, inoltre, che gli effetti negativi della delocalizzazione non riguardano solo quei lavoratori che hanno visto chiudere i cancelli della propria azienda, ma anche quelli la cui azienda continua ad operare.
Infatti, la frammentazione del processo produttivo ha penalizzato le fasce più deboli della forza lavoro
e incrementato il wage premium dei lavoratori qualificati, creando, di fatto, disparità salariali.
processo produttivo e rappresenta una fonte di vulnerabilità per i singoli lavoratori.
Possiamo e dobbiamo appellarci agli art. 43 e 46 del...la Costituzione che recitano
1) Art. 43 " A fini di utilità generale la legge può riservare
originariamente o trasferire, mediante espropriazione
e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici
o a comunità di lavoratori o di utenti determinate
imprese o categorie di imprese, che si riferiscano
a servizi pubblici essenziali o a fonti di
energia o a situazioni di monopolio ed abbiano
carattere di preminente interesse generale."
2) Art. 46 "Ai fini della elevazione economica e sociale del
lavoro e in armonia con le esigenze della produzione,
la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori
a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti
dalle leggi, alla gestione delle aziende."
In sintesi chiederemo che siano espropriate quelle aziende in odore di delocalizzazione. Quelle aziende che, pur avendo usufruito di aiuti di Stato (vedi FIAT), concessi per la tutela del posto di lavoro per migliaia di persone, hanno o stanno per trasferire all'estero la propria attività produttiva. Chiederemo, dunque, che le stesse siano date in gestione ai lavoratori, con la supervisione dello Stato.
Ricordiamo, inoltre, che gli effetti negativi della delocalizzazione non riguardano solo quei lavoratori che hanno visto chiudere i cancelli della propria azienda, ma anche quelli la cui azienda continua ad operare.
Infatti, la frammentazione del processo produttivo ha penalizzato le fasce più deboli della forza lavoro
e incrementato il wage premium dei lavoratori qualificati, creando, di fatto, disparità salariali.
Pensioni
Ci sono giorni in cui basta un nulla per accorgersi delle grandi differenze tra due paesi, ad esempio tra l'Italia e gli Stati Uniti.
Mentre Barack Obama mette un limite ai bonus per i dirigenti di Aig, da noi il limite già posto dal precedente governo Prodi sui maxi stipendi, dopo esser stato bloccato da Berlusconi appena insediato, esce dall'agenda politica. berlusconi%20triste.bmp(definitivamente?)
In particolare, un emendamento prevedeva che non potesse superare il limite di 350.000 euro annui il trattamento economico dei dirigenti di banche o istituti di credito che beneficiano in materia diretta o indiretta di aiuti anti-crisi.
Come dire, l'azienda prende gli aiuti statali perchè è in crisi, ma il manager si intasca centinaia di migliaia di euro. E incredibilmente viene bloccato anche il provvedimento che stanziava fondi per i precari, quello tanto decantato nei giorni scorsi, grazie al quale il sussidio di disoccupazione sarebbe stato raddoppiato dal 10 al 20%. Addirittura!
Solo questo provvedimento non è stato approvato? No, bocciati ben 11 emendamenti del pacchetto precari.
Riguardano: un aumento dal 10 al 20% dell'ultimo reddito percepito per la determinazione dell'indennita' di disoccupazione; le modifiche all'elenco delle prestazioni di lavoro occasione di tipo accessione per consentire a coloro che percepiscono prestazioni integrative del salario di ''arrotondare'' fino ad un limite di 3.000 euro; il pagamento diretto da parte dell'Inps del trattamento straordinario di integrazione salariale per accelerare le procedure; l'autorizzazione all'Inps, in via sperimentale, di anticipare i trattamenti di integrazione salariale sulla base della domanda corredata dagli accordi tra le parti sociali; norme sulla presentazione delle domande per la Cig in deroga; interventi sui requisiti per l'accesso alla Cig; la concessione da parte dell'Inps di incentivi in favore dei datori di lavoro che assumano volontariamente lavoratori che stanno percependo ammortizzatori sociali o che siano stati licenziati o sospesi; modifiche alle norme per i trattamenti di cassa integrazione di mobilita'; il trasferimento al ministro del lavoro delle funzioni dell'Isfol per il supporto e l'assistenza tecnica alle amministrazioni pubbliche.
Tra le modifiche avanzate del Governo che non hanno superato il vaglio di ammissibilita' e che non riusciranno ad essere messe in votazione c'e' anche l'intervento sul trattamento pensionistico per i lavoratori esposti all'amianto, lo stanziamento di risorse per la distruzione delle armi chimiche, la modifica alle norme relative al servizio di noleggio con conducente, che nel recente passato ha visto la categoria protestare in piazza a Roma.
Come dire, guarda caso, gli unici che ci guadagnano sono i tassisti di Roma e i dirigenti che prendono stipendi d'oro.
Proprio come negli Stati Uniti
Mentre Barack Obama mette un limite ai bonus per i dirigenti di Aig, da noi il limite già posto dal precedente governo Prodi sui maxi stipendi, dopo esser stato bloccato da Berlusconi appena insediato, esce dall'agenda politica. berlusconi%20triste.bmp(definitivamente?)
In particolare, un emendamento prevedeva che non potesse superare il limite di 350.000 euro annui il trattamento economico dei dirigenti di banche o istituti di credito che beneficiano in materia diretta o indiretta di aiuti anti-crisi.
Come dire, l'azienda prende gli aiuti statali perchè è in crisi, ma il manager si intasca centinaia di migliaia di euro. E incredibilmente viene bloccato anche il provvedimento che stanziava fondi per i precari, quello tanto decantato nei giorni scorsi, grazie al quale il sussidio di disoccupazione sarebbe stato raddoppiato dal 10 al 20%. Addirittura!
Solo questo provvedimento non è stato approvato? No, bocciati ben 11 emendamenti del pacchetto precari.
Riguardano: un aumento dal 10 al 20% dell'ultimo reddito percepito per la determinazione dell'indennita' di disoccupazione; le modifiche all'elenco delle prestazioni di lavoro occasione di tipo accessione per consentire a coloro che percepiscono prestazioni integrative del salario di ''arrotondare'' fino ad un limite di 3.000 euro; il pagamento diretto da parte dell'Inps del trattamento straordinario di integrazione salariale per accelerare le procedure; l'autorizzazione all'Inps, in via sperimentale, di anticipare i trattamenti di integrazione salariale sulla base della domanda corredata dagli accordi tra le parti sociali; norme sulla presentazione delle domande per la Cig in deroga; interventi sui requisiti per l'accesso alla Cig; la concessione da parte dell'Inps di incentivi in favore dei datori di lavoro che assumano volontariamente lavoratori che stanno percependo ammortizzatori sociali o che siano stati licenziati o sospesi; modifiche alle norme per i trattamenti di cassa integrazione di mobilita'; il trasferimento al ministro del lavoro delle funzioni dell'Isfol per il supporto e l'assistenza tecnica alle amministrazioni pubbliche.
Tra le modifiche avanzate del Governo che non hanno superato il vaglio di ammissibilita' e che non riusciranno ad essere messe in votazione c'e' anche l'intervento sul trattamento pensionistico per i lavoratori esposti all'amianto, lo stanziamento di risorse per la distruzione delle armi chimiche, la modifica alle norme relative al servizio di noleggio con conducente, che nel recente passato ha visto la categoria protestare in piazza a Roma.
Come dire, guarda caso, gli unici che ci guadagnano sono i tassisti di Roma e i dirigenti che prendono stipendi d'oro.
Proprio come negli Stati Uniti
L'ULTIMA TROVATA NON CI BASTAVA BRUNETTA ....... PURE ROTONDI....
Rossi Anna Maria Milano - Abolire la pausa pranzo dei lavoratori per "redistribuirla meglio" nell’arco della giornata. È il ministro Gianfranco Rotondi, responsabile dell’Attuazione del programma del governo, a prospettarlo, ben attento però a non essere tacciato, "brunettismo". Motivo per cui la prima mensa che chiede di chiudere non è quella di un ufficio pubblico ma quella dei parlamentari: la buvette di Montecitorio. "Le ore più produttive - dice il ministro ospite del programma tv web KlausCondicio - sono proprio quelle in cui ci si accinge a pranzare. Chiunque svolga un’attività in modo autonomo, abolirebbe la pausa pranzo. Casomai sarebbe meglio distribuirla in modo diverso, come avviene negli altri Paesi".
Danno per il lavoro Dall’auspicio alla proposta, per Rotondi il passo è breve: "La pausa pranzo è un danno per il lavoro, ma anche per l’armonia della giornata. Non mi è mai piaciuta questa ritualità che blocca tutta l’Italia. Non possiamo imporre ai lavoratori quando mangiare, ma ho scoperto che le ore più produttive sono proprio quelle in cui ci si accinge a pranzare - sostiene il ministro - Chiunque svolga un’attività in modo autonomo, abolirebbe la pausa pranzo. Casomai sarebbe meglio distribuirla in modo diverso, come avviene negli altri Paesi".
Risparmio "Non sono mai salito su un aereo di Stato - racconta ancora di sé il ministro della componente neodc del Pdl -, uso pochissimo l’auto di servizio, sono parsimonioso col denaro pubblico e faccio attenzione anche alle spese minute. Come il presidente del Consiglio, vado in giro persino a spegnere le luci negli uffici. Sono assolutamente in linea con le idee degli italiani sul risparmio del denaro pubblico".
Danno per il lavoro Dall’auspicio alla proposta, per Rotondi il passo è breve: "La pausa pranzo è un danno per il lavoro, ma anche per l’armonia della giornata. Non mi è mai piaciuta questa ritualità che blocca tutta l’Italia. Non possiamo imporre ai lavoratori quando mangiare, ma ho scoperto che le ore più produttive sono proprio quelle in cui ci si accinge a pranzare - sostiene il ministro - Chiunque svolga un’attività in modo autonomo, abolirebbe la pausa pranzo. Casomai sarebbe meglio distribuirla in modo diverso, come avviene negli altri Paesi".
Risparmio "Non sono mai salito su un aereo di Stato - racconta ancora di sé il ministro della componente neodc del Pdl -, uso pochissimo l’auto di servizio, sono parsimonioso col denaro pubblico e faccio attenzione anche alle spese minute. Come il presidente del Consiglio, vado in giro persino a spegnere le luci negli uffici. Sono assolutamente in linea con le idee degli italiani sul risparmio del denaro pubblico".
. 1204/71 tutela delle lavoratrici madri(1°parte)
Rossi Anna Maria
TITOLO I - Norme protettive
Art. 1 Art. 2 Art. 3 Art. 4 Art. 4-bis Art. 5 Art. 6 Art. 7 Art. 8 Art. 9 Art. 10 Art. 11 Art. 12
TITOLO II - Trattamento economico
Art. 13 Art. 14 Art. 15 Art.16 Art. 17 Art. 18 Art. 19 Art. 20 Art. 21 Art. 22
TITOLO III - Corresponsione di un assegno di natalità alle coltivatrici dirette, alle lavoratrici artigiane e alle lavoratrici esercenti attività commerciali (artt. 23 - 27)
TITOLO IV - Disposizioni varie, vigilanza e penalità
Art. 28 Art. 29 Art. 30 Art. 31 Art. 32 Art. 33 Art. 34 Art. 35
--------------------------------------------------------------------------------
TITOLO I
Norme protettive
Art. 1
Le disposizioni del presente titolo si applicano alle lavoratrici, comprese le apprendiste, che prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di lavoro, nonché alle dipendenti dalle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli altri enti pubblici e dalle società cooperative, anche se socie di queste ultime.
Alle lavoratrici a domicilio si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 2, 4, 6 e 9.
Alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 4, 5, 6, 8 e 9.
Il diritto di astenersi dal lavoro di cui all'articolo 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l'altro genitore non ne ha diritto. Le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 e al comma 2 dell'articolo 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell'articolo 7 e dal comma 2 dell'articolo 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino.
Sono fatte salve, in ogni caso, le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti, e da ogni altra disposizione.
Art. 2
Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall'articolo 4 della presente legge, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.
Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, ha diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro mediante presentazione, entro novanta giorni dal licenziamento, di idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza, all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano licenziate a norma della lettera b) del terzo comma del presente articolo, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, alla ripresa dell'attività lavorativa stagionale e, sempreché non si trovino in periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, alla precedenza nelle riassunzioni.
Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale.
Al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall'articolo 4 della presente legge le lavoratrici hanno diritto, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all'inizio del periodo di gestazione o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.
Art. 3
E' vietato adibire al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri le lavoratrici durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi dopo il parto. In attesa della pubblicazione del regolamento di esecuzione della presente legge, i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri restano determinati dalla tabella annessa al decreto del Presidente della Repubblica 21 maggio 1953, n. 568.
Le lavoratrici saranno addette ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto di cui al comma precedente.
Le lavoratrici saranno, altresì, spostate ad altre mansioni durante la gestazione e fino a sette mesi dopo il parto nei casi in cui l'Ispettorato del lavoro accerti che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.
Le lavoratrici che vengano adibite a mansioni inferiori a quelle abituali conservano la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale.
Si applicano le norme di cui all'articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora le lavoratrici vengano adibite a mansioni equivalenti o superiori.
Art. 4
E' vietato adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto.
L'astensione obbligatoria dal lavoro è anticipata a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le Organizzazioni sindacali.
Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto.
La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto
Art. 4-bis
Ferma restando la durata complessiva dell'astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro
Art. 5
L'Ispettorato del lavoro può disporre, sulla base di accertamento medico, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di astensione di cui alla lettera a) del precedente articolo, per uno o più periodi, la cui durata sarà determinata dall'ispettorato stesso, per i seguenti motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gestazione o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo il disposto del precedente articolo 3.
Art. 6
I periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi degli articoli 4 e 5 della presente legge devono essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.
Art. 7
Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all'articolo 4, primo comma, lettera c), della presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla lettera b) del comma 1 è elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori di cui al medesimo comma è conseguentemente elevato a undici mesi.
Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni.
Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresì, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni ovvero di età compresa fra tre e otto anni, in quest'ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.
I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo.
Art. 8
Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non possono essere godute contemporaneamente ai periodi di astensione obbligatoria dal lavoro di cui agli articoli 4 e 5, nonché a quelli di assenza facoltativa di cui all'articolo 7 della presente legge.
Art. 9
Alle lavoratrici spetta l'assistenza di parto da parte dell'Istituto presso il quale sono assicurate per il trattamento di malattia, anche quando sia stato interrotto il rapporto di lavoro, purché la gravidanza abbia avuto inizio quando tale rapporto era ancora sussistente.
Alle lavoratrici spetta, altresì, l'assistenza ospedaliera anche nei casi di parto normale nelle forme e con le modalità previste dalle norme vigenti.
Le lavoratrici gestanti possono sottoporsi a visite sanitarie periodiche gratuite a cura dell'Istituto presso il quale sono assicurate.
Le norme di cui al presente articolo si applicano anche alle familiari dei lavoratori aventi diritto all'assistenza sanitaria.
Art. 10
Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.
I periodi di riposo di cui al precedente comma hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.
I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno, e in tal caso non comportano il diritto ad uscire dall'azienda, quando la lavoratrice voglia usufruire della camera di allattamento o dell'asilo nido, istituiti dal datore di lavoro nelle dipendenze dei locali di lavoro.
I riposi di cui ai precedenti commi sono indipendenti da quelli previsti dagli articoli 18 e 19 della legge 26 aprile 1934, n. 653, sulla tutela del lavoro delle donne.
Ai periodi di riposo di cui al presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonché di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell'articolo 15.
In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre.
Art. 11
In sostituzione delle lavoratrici assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni della presente legge, il datore di lavoro pur assumere personale con contratto a tempo determinato in conformità al disposto dell'articolo 1, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230, sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e con l'osservanza delle norme della legge stessa.
Art. 12
In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma del precedente articolo 2, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.
TITOLO II
Trattamento economico
Art. 13
Le disposizioni del presente titolo si applicano alle lavoratrici di cui all'articolo 1, comprese le lavoratrici a domicilio e le addette ai servizi domestici e familiari, salvo quanto previsto dal successivo comma.
Alle dipendenti dalle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti pubblici si applica il trattamento economico previsto dai relativi ordinamenti salve le disposizioni di maggior favore risultanti dalla presente legge.
Art. 14
A decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di entrata in vigore della presente legge, al fine di consentire nel periodo immediatamente precedente e seguente il parto, l'astensione delle lavoratrici mezzadre e colone dal lavoro dei campi e la buona coltivazione del fondo, il mezzadro e il concedente, nei casi di provata necessità, sono tenuti a concordare l'assunzione di una unità lavorativa, la cui spesa sarà ripartita a metà tra mezzadro e concedente.
A partire dalla stessa data, alle lavoratrici mezzadre e colone spetta, per tutto il periodo di astensione obbligatoria precedente e successivo al parto previsto per le salariate e braccianti agricole, una indennità giornaliera, che verrà erogata dall'INAM in misura pari all'80 per cento del reddito medio giornaliero colonico. Tale reddito viene stabilito, in via presuntiva, per ogni due anni, con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le Organizzazioni sindacali di categoria; per la prima applicazione della presente legge tale reddito è fissato in lire 1.300 giornaliere.
Trova applicazione anche nei confronti delle colone e mezzadre la norma di cui all'articolo 9 della presente legge.
Art. 15
Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge. Tale indennità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia.
Per i periodi di astensione facoltativa di cui all'articolo 7, comma 1, ai lavoratori e alle lavoratrici è dovuta:
a) fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi; il relativo periodo, entro il limite predetto, è coperto da contribuzione figurativa;
b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino al compimento dell'ottavo anno di vita del bambino, e comunque per il restante periodo di astensione facoltativa, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, nell'ipotesi in cui il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria; il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell'assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facoltà di integrazione da parte dell'interessato, con riscatto ai sensi dell'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi contributi secondo i criteri e le modalità della prosecuzione volontaria.
Per i periodi di astensione per malattia del bambino di cui all'articolo 7, comma 4, è dovuta:
a) fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, la contribuzione figurativa;
b) successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell'ottavo anno, la copertura contributiva calcolata con le modalità previste dal comma 2, lettera b).
Il reddito individuale di cui al comma 2, lettera b), è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo.
Le indennità di cui al presente articolo sono corrisposte con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie dall'ente assicuratore della malattia presso il quale la lavoratrice o il lavoratore è assicurato e non sono subordinate a particolari requisiti contributivi o di anzianità assicurativa
TITOLO I - Norme protettive
Art. 1 Art. 2 Art. 3 Art. 4 Art. 4-bis Art. 5 Art. 6 Art. 7 Art. 8 Art. 9 Art. 10 Art. 11 Art. 12
TITOLO II - Trattamento economico
Art. 13 Art. 14 Art. 15 Art.16 Art. 17 Art. 18 Art. 19 Art. 20 Art. 21 Art. 22
TITOLO III - Corresponsione di un assegno di natalità alle coltivatrici dirette, alle lavoratrici artigiane e alle lavoratrici esercenti attività commerciali (artt. 23 - 27)
TITOLO IV - Disposizioni varie, vigilanza e penalità
Art. 28 Art. 29 Art. 30 Art. 31 Art. 32 Art. 33 Art. 34 Art. 35
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TITOLO I
Norme protettive
Art. 1
Le disposizioni del presente titolo si applicano alle lavoratrici, comprese le apprendiste, che prestano la loro opera alle dipendenze di privati datori di lavoro, nonché alle dipendenti dalle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dagli altri enti pubblici e dalle società cooperative, anche se socie di queste ultime.
Alle lavoratrici a domicilio si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 2, 4, 6 e 9.
Alle lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari si applicano le norme del presente titolo di cui agli articoli 4, 5, 6, 8 e 9.
Il diritto di astenersi dal lavoro di cui all'articolo 7, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l'altro genitore non ne ha diritto. Le disposizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7 e al comma 2 dell'articolo 15 sono estese alle lavoratrici di cui alla legge 29 dicembre 1987, n. 546, madri di bambini nati a decorrere dal 1° gennaio 2000. Alle predette lavoratrici i diritti previsti dal comma 1 dell'articolo 7 e dal comma 2 dell'articolo 15 spettano limitatamente ad un periodo di tre mesi, entro il primo anno di vita del bambino.
Sono fatte salve, in ogni caso, le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti, e da ogni altra disposizione.
Art. 2
Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall'articolo 4 della presente legge, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino.
Il divieto di licenziamento opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza e puerperio, e la lavoratrice, licenziata nel corso del periodo in cui opera il divieto, ha diritto di ottenere il ripristino del rapporto di lavoro mediante presentazione, entro novanta giorni dal licenziamento, di idonea certificazione dalla quale risulti l'esistenza, all'epoca del licenziamento, delle condizioni che lo vietavano.
Il divieto di licenziamento non si applica nel caso:
a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Le lavoratrici addette ad industrie e lavorazioni che diano luogo a disoccupazione stagionale, di cui alla tabella annessa al decreto ministeriale 30 novembre 1964, e successive modificazioni, le quali siano licenziate a norma della lettera b) del terzo comma del presente articolo, hanno diritto, per tutto il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, alla ripresa dell'attività lavorativa stagionale e, sempreché non si trovino in periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, alla precedenza nelle riassunzioni.
Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale.
Al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall'articolo 4 della presente legge le lavoratrici hanno diritto, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all'inizio del periodo di gestazione o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; hanno altresì diritto di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.
Art. 3
E' vietato adibire al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri le lavoratrici durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi dopo il parto. In attesa della pubblicazione del regolamento di esecuzione della presente legge, i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri restano determinati dalla tabella annessa al decreto del Presidente della Repubblica 21 maggio 1953, n. 568.
Le lavoratrici saranno addette ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto di cui al comma precedente.
Le lavoratrici saranno, altresì, spostate ad altre mansioni durante la gestazione e fino a sette mesi dopo il parto nei casi in cui l'Ispettorato del lavoro accerti che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.
Le lavoratrici che vengano adibite a mansioni inferiori a quelle abituali conservano la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale.
Si applicano le norme di cui all'articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora le lavoratrici vengano adibite a mansioni equivalenti o superiori.
Art. 4
E' vietato adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto.
L'astensione obbligatoria dal lavoro è anticipata a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le Organizzazioni sindacali.
Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti di astensione obbligatoria prima del parto vengono aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto.
La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto
Art. 4-bis
Ferma restando la durata complessiva dell'astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro
Art. 5
L'Ispettorato del lavoro può disporre, sulla base di accertamento medico, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di astensione di cui alla lettera a) del precedente articolo, per uno o più periodi, la cui durata sarà determinata dall'ispettorato stesso, per i seguenti motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gestazione o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo il disposto del precedente articolo 3.
Art. 6
I periodi di astensione obbligatoria dal lavoro ai sensi degli articoli 4 e 5 della presente legge devono essere computati nell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie.
Art. 7
Nei primi otto anni di vita del bambino ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. Le astensioni dal lavoro dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di astensione obbligatoria di cui all'articolo 4, primo comma, lettera c), della presente legge, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
b) al padre lavoratore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.
Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il limite di cui alla lettera b) del comma 1 è elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori di cui al medesimo comma è conseguentemente elevato a undici mesi.
Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al comma 1, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro secondo le modalità e i criteri definiti dai contratti collettivi, e comunque con un periodo di preavviso non inferiore a quindici giorni.
Entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto, altresì, di astenersi dal lavoro durante le malattie del bambino di età inferiore a otto anni ovvero di età compresa fra tre e otto anni, in quest'ultimo caso nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno per ciascun genitore, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. La malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.
I periodi di astensione dal lavoro di cui ai commi 1 e 4 sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia. Ai fini della fruizione del congedo di cui al comma 4, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione rilasciata ai sensi dell'articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo.
Art. 8
Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non possono essere godute contemporaneamente ai periodi di astensione obbligatoria dal lavoro di cui agli articoli 4 e 5, nonché a quelli di assenza facoltativa di cui all'articolo 7 della presente legge.
Art. 9
Alle lavoratrici spetta l'assistenza di parto da parte dell'Istituto presso il quale sono assicurate per il trattamento di malattia, anche quando sia stato interrotto il rapporto di lavoro, purché la gravidanza abbia avuto inizio quando tale rapporto era ancora sussistente.
Alle lavoratrici spetta, altresì, l'assistenza ospedaliera anche nei casi di parto normale nelle forme e con le modalità previste dalle norme vigenti.
Le lavoratrici gestanti possono sottoporsi a visite sanitarie periodiche gratuite a cura dell'Istituto presso il quale sono assicurate.
Le norme di cui al presente articolo si applicano anche alle familiari dei lavoratori aventi diritto all'assistenza sanitaria.
Art. 10
Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.
I periodi di riposo di cui al precedente comma hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.
I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno, e in tal caso non comportano il diritto ad uscire dall'azienda, quando la lavoratrice voglia usufruire della camera di allattamento o dell'asilo nido, istituiti dal datore di lavoro nelle dipendenze dei locali di lavoro.
I riposi di cui ai precedenti commi sono indipendenti da quelli previsti dagli articoli 18 e 19 della legge 26 aprile 1934, n. 653, sulla tutela del lavoro delle donne.
Ai periodi di riposo di cui al presente articolo si applicano le disposizioni in materia di contribuzione figurativa, nonché di riscatto ovvero di versamento dei relativi contributi previsti dal comma 2, lettera b), dell'articolo 15.
In caso di parto plurimo, i periodi di riposo sono raddoppiati e le ore aggiuntive rispetto a quelle previste dal primo comma del presente articolo possono essere utilizzate anche dal padre.
Art. 11
In sostituzione delle lavoratrici assenti dal lavoro, in virtù delle disposizioni della presente legge, il datore di lavoro pur assumere personale con contratto a tempo determinato in conformità al disposto dell'articolo 1, lettera b), della legge 18 aprile 1962, n. 230, sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e con l'osservanza delle norme della legge stessa.
Art. 12
In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma del precedente articolo 2, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.
TITOLO II
Trattamento economico
Art. 13
Le disposizioni del presente titolo si applicano alle lavoratrici di cui all'articolo 1, comprese le lavoratrici a domicilio e le addette ai servizi domestici e familiari, salvo quanto previsto dal successivo comma.
Alle dipendenti dalle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti pubblici si applica il trattamento economico previsto dai relativi ordinamenti salve le disposizioni di maggior favore risultanti dalla presente legge.
Art. 14
A decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di entrata in vigore della presente legge, al fine di consentire nel periodo immediatamente precedente e seguente il parto, l'astensione delle lavoratrici mezzadre e colone dal lavoro dei campi e la buona coltivazione del fondo, il mezzadro e il concedente, nei casi di provata necessità, sono tenuti a concordare l'assunzione di una unità lavorativa, la cui spesa sarà ripartita a metà tra mezzadro e concedente.
A partire dalla stessa data, alle lavoratrici mezzadre e colone spetta, per tutto il periodo di astensione obbligatoria precedente e successivo al parto previsto per le salariate e braccianti agricole, una indennità giornaliera, che verrà erogata dall'INAM in misura pari all'80 per cento del reddito medio giornaliero colonico. Tale reddito viene stabilito, in via presuntiva, per ogni due anni, con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le Organizzazioni sindacali di categoria; per la prima applicazione della presente legge tale reddito è fissato in lire 1.300 giornaliere.
Trova applicazione anche nei confronti delle colone e mezzadre la norma di cui all'articolo 9 della presente legge.
Art. 15
Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennità giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro stabilita dagli articoli 4 e 5 della presente legge. Tale indennità è comprensiva di ogni altra indennità spettante per malattia.
Per i periodi di astensione facoltativa di cui all'articolo 7, comma 1, ai lavoratori e alle lavoratrici è dovuta:
a) fino al terzo anno di vita del bambino, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo tra i genitori di sei mesi; il relativo periodo, entro il limite predetto, è coperto da contribuzione figurativa;
b) fuori dei casi di cui alla lettera a), fino al compimento dell'ottavo anno di vita del bambino, e comunque per il restante periodo di astensione facoltativa, un'indennità pari al 30 per cento della retribuzione, nell'ipotesi in cui il reddito individuale dell'interessato sia inferiore a 2,5 volte l'importo del trattamento minimo di pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria; il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa, attribuendo come valore retributivo per tale periodo il 200 per cento del valore massimo dell'assegno sociale, proporzionato ai periodi di riferimento, salva la facoltà di integrazione da parte dell'interessato, con riscatto ai sensi dell'articolo 13 della legge 12 agosto 1962, n. 1338, ovvero con versamento dei relativi contributi secondo i criteri e le modalità della prosecuzione volontaria.
Per i periodi di astensione per malattia del bambino di cui all'articolo 7, comma 4, è dovuta:
a) fino al compimento del terzo anno di vita del bambino, la contribuzione figurativa;
b) successivamente al terzo anno di vita del bambino e fino al compimento dell'ottavo anno, la copertura contributiva calcolata con le modalità previste dal comma 2, lettera b).
Il reddito individuale di cui al comma 2, lettera b), è determinato secondo i criteri previsti in materia di limiti reddituali per l'integrazione al minimo.
Le indennità di cui al presente articolo sono corrisposte con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie dall'ente assicuratore della malattia presso il quale la lavoratrice o il lavoratore è assicurato e non sono subordinate a particolari requisiti contributivi o di anzianità assicurativa
L. 1204/71 tutela delle lavoratrici madri (2° parte)
Rossi Anna Maria Art. 16
Agli effetti della determinazione della misura delle indennità previste nell'articolo precedente, per retribuzione s'intende la retribuzione media globale giornaliera percepita nel periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l'astensione obbligatoria dal lavoro per maternità.
Al suddetto importo va aggiunto, eccezion fatta per l'indennità di cui al secondo comma dell'articolo precedente, il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità eventualmente erogati alla lavoratrice.
Concorrono a formare la retribuzione gli stessi elementi che vengono considerati agli effetti della determinazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
Nei confronti delle operaie dei settori non agricoli, per retribuzione media globale giornaliera s'intende:
a) nei casi in cui, o per contratto di lavoro o per la effettuazione di ore di lavoro straordinario, l'orario medio effettivamente praticato superi le otto ore giornaliere, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero dei giorni lavorati o comunque retribuiti;
b) nei casi in cui, o per esigenze organizzative contingenti dell'azienda o per particolari ragioni di carattere personale della lavoratrice, l'orario medio effettivamente praticato risulti inferiore a quello previsto dal contratto di lavoro della categoria, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero delle ore di lavoro effettuato e moltiplicando il quoziente ottenuto per il numero delle ore giornaliere di lavoro previste dal contratto stesso.
Nei casi in cui i contratti di lavoro prevedano, nell'ambito di una settimana, un orario di lavoro identico per i primi cinque giorni della settimana e un orario ridotto per il sesto giorno, l'orario giornaliero è quello che si ottiene dividendo per sei il numero complessivo delle ore settimanali contrattualmente stabilite;
c) in tutti gli altri casi, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati, o comunque retribuiti, risultanti dal periodo stesso.
Nei confronti delle impiegate, per retribuzione media globale giornaliera si intende l'importo che si ottiene dividendo per trenta l'importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l'astensione.
Art. 17
L'indennità di cui al primo comma dell'art. 15 è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall'articolo 2, lettera b) e c), che si verifichino durante i periodi di interdizione dal lavoro previsti dagli articoli 4 e 5 della presente legge.
Le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità di cui al primo comma dell'articolo 15 purché tra l'inizio della sospensione, dall'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di 60 giorni. Ai fini del computo dei predetti 60 giorni, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali.
Qualora l'astensione obbligatoria dal lavoro abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio della astensione obbligatoria, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione, essa ha diritto all'indennità giornaliera di maternità anziché all'indennità ordinaria di disoccupazione.
La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel precedente comma ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché nell'ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all'obbligo dell'assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all'indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell'astensione obbligatoria dal lavoro non siano trascorsi più di 180 giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nell'ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore ai fini dell'assicurazione di malattia 26 contributi settimanali.
La lavoratrice che, nel caso di astensione obbligatoria dal lavoro iniziata dopo 60 giorni dalla data di sospensione dal lavoro, si trovi, all'inizio dell'astensione obbligatoria, sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, ha diritto, in luogo di tale trattamento, all'indennità giornaliera di maternità.
Art. 18
Durante il periodo di assenza obbligatoria dal lavoro di cui all'articolo 4 della presente legge, spetta alle lavoratrici a domicilio, a carico dell'INAM, l'indennità giornaliera di cui al precedente articolo 15 in misura pari all'80 per cento del salario medio contrattuale giornaliero, vigente nella provincia per i lavoratori interni, aventi qualifica operaia, della stessa industria.
Qualora, per l'assenza nella stessa provincia di industrie similari che occupano lavoratori interni, non possa farsi riferimento al salario contrattuale provinciale di cui al comma precedente, si farà riferimento alla media dei salari contrattuali provinciali vigenti per la stessa industria nella regione, e, qualora anche ciò non fosse possibile, si farà riferimento alla media dei salari provinciali vigenti nella stessa industria nel territorio nazionale.
Per i settori di lavoro, a domicilio per i quali non esistono corrispondenti industrie che occupano lavoratori interni, con apposito decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le Organizzazioni sindacali interessate, si prenderà a riferimento il salario medio contrattuale giornaliero vigente nella provincia per i lavoratori aventi qualifica operaia dell'industria che presenta maggiori caratteri di affinità.
La corresponsione dell'indennità di cui al primo comma del presente articolo è subordinata alla condizione che, all'inizio della astensione obbligatoria, la lavoratrice riconsegni al committente tutte le merci e il lavoro avuto in consegna, anche se non ultimato.
Art. 19
Per le lavoratrici addette ai servizi domestici familiari, l'indennità di maternità di cui all'articolo 15 ed il relativo finanziamento sono regolati secondo le modalità e le norme stabilite dal decreto delegato emanato ai sensi dell'articolo 35, lettera d), della legge 30 aprile 1969, n. 153.
Fino al momento in cui entreranno in vigore le norme del decreto delegato indicato nel comma precedente, continuano ad applicarsi le disposizioni del titolo III della legge 26 agosto 1950, n. 860, relative alle lavoratrici domestiche.
Art. 20
L'interruzione della gravidanza, spontanea o terapeutica, esclusa quella procurata, è considerata a tutti gli effetti come malattia, salvo quanto disposto dall'articolo 12 del D.P.R. 21 maggio 1953, n. 568.
Art. 21
Per la copertura degli oneri derivanti dalle norme di cui ai titoli primo e secondo della presente legge, di competenza degli enti che gestiscono l'assicurazione contro le malattie, è dovuto dai datori di lavoro agli enti predetti un contributo sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti nelle seguenti misure:
a) dello 0,53 per cento sulla retribuzione per il settore dell'industria;
b) dello 0,31 per cento sulla retribuzione per il settore del commercio;
c) dello 0,20 per cento sulla retribuzione per il settore del credito, assicurazione e servizi tributari appaltati;
d) di lire 2,43 per ogni giornata di uomo e di lire 1,95 per ogni giornata di donna o ragazzo per i salariati fissi; di lire 2,95 per ogni giornata di uomo e di lire 2,32 per ogni giornata di donna o ragazzo per i giornalieri di campagna e compartecipanti per il settore dell'agricoltura.
Il contributo è dovuto per ogni giornata di lavoro accertata ai fini dei contributi unificati in agricoltura di cui al decreto - legge 28 novembre 1938, n. 2138, e successive modificazioni, ed è riscosso unitamente ai contributi predetti.
A partire dal 10 gennaio 1973 è dovuto all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie un contributo annuo di lire 25.000 milioni da parte della Cassa unica assegni familiari.
Per gli apprendisti è dovuto un contributo di lire 32 settimanali.
Per i lavoratori a domicilio tradizionali è dovuto un contributo di lire 120 settimanali.
Per i giornalisti iscritti all'Istituto nazionale di previdenza per i giornalisti italiani <> è dovuto un contributo pari allo 0,15 per cento della retribuzione.
Per i lavoratori iscritti all'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i lavoratori dello spettacolo è dovuto un contributo pari allo 0,53 per cento della retribuzione.
Per i lavoratori iscritti all'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per gli impiegati dell'agricoltura è dovuto un contributo pari allo 0,50 per cento della retribuzione.
Per i lavoratori iscritti alle Casse di soccorso di cui al regio decreto 8 gennaio 1931, numero 148, e successive modificazioni, è dovuto un contributo pari allo 0,53 per cento della retribuzione. Tale contributo non è dovuto per il personale addetto alle autolinee extraurbane in concessione iscritto alle Casse di soccorso istituite per effetto della legge 22 settembre 1960, n. 1054, per le quali il contributo previsto a carico dei datori di lavoro dall'articolo 2, n. 2), dei rispettivi statuti è comprensivo dell'onere derivante dalla erogazione del trattamento economico per le lavoratrici madri.
Le eventuali eccedenze fra il gettito dei contributi e le prestazioni erogate saranno devolute, nell'ambito di ciascun istituto, ente o cassa, all'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
Riguardo al versamento del contributo di cui al presente articolo, alle trasgressioni degli obblighi relativi ed a quanto altro concerne il contributo medesimo, si applicano le norme relative ai contributi per l'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con quello per il tesoro, la misura dei contributi stabiliti dalla presente legge può essere modificata in relazione alle effettive esigenze delle relative gestioni.
Art. 22
L'assicurazione di maternità per le lavoratrici a domicilio tradizionali e per le addette ai servizi domestici familiari, gestita dall'INPS, è trasferita con i relativi avanzi di gestione all'INAM.
TITOLO III
Corresponsione di un assegno di natalità alle coltivatrici dirette, alle lavoratrici artigiane e alle lavoratrici esercenti attività commerciale
[…]
TITOLO IV
Disposizioni varie, vigilanza e penalità
Art. 28
28. Prima dell'inizio dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'articolo 4, lettera a), della presente legge le lavoratrici di cui all'articolo 1 della presente legge dovranno consegnare al datore di lavoro e all'istituto erogatore delle indennità giornaliere di maternità il certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione.
Art. 29
Tutti i documenti occorrenti per l'applicazione della presente legge sono esenti da ogni imposta, tassa, diritto o spesa di qualsiasi specie e natura.
Art. 30
La vigilanza sulla presente legge è demandata al Ministero del lavoro e della previdenza sociale che la esercita attraverso l'Ispettorato del lavoro.
Al rilascio dei certificati medici di cui alla presente legge sono abilitati gli ufficiali sanitari, i medici condotti, i medici dell'Istituto presso il quale la lavoratrice è assicurata per il trattamento di maternità, salvo quanto previsto dai commi successivi.
Qualora i certificati siano redatti da medici diversi da quelli di cui al precedente comma, il datore di lavoro o l'Istituto presso il quale la lavoratrice è assicurata per il trattamento di maternità hanno facoltà di accettare i certificati stessi ovvero di richiederne la regolarizzazione alla lavoratrice interessata.
I medici dell'Ispettorato del lavoro hanno facoltà di controllo.
Il certificato medico attestante la malattia del bambino, di cui al secondo comma dell'articolo 7 della presente legge, può essere redatto da un medico di libera scelta della lavoratrice.
L'astensione dal lavoro di cui all'articolo 5, lettera a), della presente legge è disposta dall'ispettorato del lavoro in base ad accertamento medico, per il quale l'Ispettorato del lavoro ha facoltà di delegare gli ufficiali sanitari o di avvalersi dei servizi ispettivi degli Istituti previdenziali competenti o di enti pubblici e di Istituti specializzati di diritto pubblico. In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice.
L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) dell'articolo 5 della presente legge è disposta dall'Ispettorato del lavoro, oltreché su istanza della lavoratrice, anche di propria iniziativa, qualora nel corso della propria attività di vigilanza constati l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima.
Parimenti, lo spostamento delle lavoratrici ad altre mansioni, di cui al terzo comma dell'articolo 3 della presente legge, è disposto dall'Ispettorato del lavoro sia di propria iniziativa, sia su istanza della lavoratrice.
Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale di cui all'ultimo comma dell'articolo 4 della presente legge, l'anticipazione dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui al secondo comma dell'articolo sopracitato è disposta dall'Ispettorato del lavoro.
I provvedimenti dell'ispettorato del lavoro in ordine a quanto previsto dai commi sesto, settimo, ottavo e nono del presente articolo sono definitivi.
Art. 31
L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 3, primo, secondo e terzo comma, 4 e 5 è punita con l'arresto fino a sei mesi.
L'inosservanza delle disposizioni contenute nell'articolo 2 è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni.
L'inosservanza delle disposizioni contenute nell'articolo 10 e il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo all'esercizio dei diritti di assenza dal lavoro di cui all'art. 7 della presente legge sono puniti con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni.
L'autorità competente a ricevere il rapporto per le violazioni amministrative previste dal presente articolo e ad emettere l'ordinanza di ingiunzione è l'Ispettorato del lavoro.
Art. 32
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, entro 90 giorni, saranno emanate norme regolamentari per l'applicazione della presente legge.
Art. 33
Sono abrogate le disposizioni della legge 26 agosto 1950, n. 860, sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri e successive modificazioni in contrasto con le norme della presente legge.
Art. 34
Le disposizioni contenute negli articoli 11, 12 e 13 della legge 26 agosto 1950, n. 860, continuano ad applicarsi in via transitoria ai datori di lavoro che, ai sensi della legge stessa, abbiano istituito camere di allattamento o asili nido aziendali funzionanti alla data del 15 dicembre 1971.
L'ispettorato del lavoro, sentite le Organizzazioni sindacali aziendali, può autorizzare la chiusura delle camere di allattamento e degli asili nido aziendali di cui al precedente comma in relazione alle effettive esigenze delle lavoratrici occupate nell'azienda ed all'attuazione del piano quinquennale per l'istituzione di asili nido comunali con il concorso dello Stato.
Art. 35
La presente legge entra in vigore alla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, salvo le diverse decorrenze fissate dagli articoli precedenti e salvo quanto previsto dal successivo comma.
Alle lavoratrici che al momento dell'entrata in vigore della presente legge sono assenti dal lavoro ai sensi dell'articolo 5, lettera a), della legge 26 agosto 1950, n. 860, si continua ad applicare la norma citata fino all'esaurimento del periodo di cui alla lettera stessa.
Agli effetti della determinazione della misura delle indennità previste nell'articolo precedente, per retribuzione s'intende la retribuzione media globale giornaliera percepita nel periodo di paga quadrisettimanale o mensile scaduto ed immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l'astensione obbligatoria dal lavoro per maternità.
Al suddetto importo va aggiunto, eccezion fatta per l'indennità di cui al secondo comma dell'articolo precedente, il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità eventualmente erogati alla lavoratrice.
Concorrono a formare la retribuzione gli stessi elementi che vengono considerati agli effetti della determinazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
Nei confronti delle operaie dei settori non agricoli, per retribuzione media globale giornaliera s'intende:
a) nei casi in cui, o per contratto di lavoro o per la effettuazione di ore di lavoro straordinario, l'orario medio effettivamente praticato superi le otto ore giornaliere, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero dei giorni lavorati o comunque retribuiti;
b) nei casi in cui, o per esigenze organizzative contingenti dell'azienda o per particolari ragioni di carattere personale della lavoratrice, l'orario medio effettivamente praticato risulti inferiore a quello previsto dal contratto di lavoro della categoria, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero delle ore di lavoro effettuato e moltiplicando il quoziente ottenuto per il numero delle ore giornaliere di lavoro previste dal contratto stesso.
Nei casi in cui i contratti di lavoro prevedano, nell'ambito di una settimana, un orario di lavoro identico per i primi cinque giorni della settimana e un orario ridotto per il sesto giorno, l'orario giornaliero è quello che si ottiene dividendo per sei il numero complessivo delle ore settimanali contrattualmente stabilite;
c) in tutti gli altri casi, l'importo che si ottiene dividendo l'ammontare complessivo degli emolumenti percepiti nel periodo di paga preso in considerazione per il numero di giorni lavorati, o comunque retribuiti, risultanti dal periodo stesso.
Nei confronti delle impiegate, per retribuzione media globale giornaliera si intende l'importo che si ottiene dividendo per trenta l'importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio l'astensione.
Art. 17
L'indennità di cui al primo comma dell'art. 15 è corrisposta anche nei casi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dall'articolo 2, lettera b) e c), che si verifichino durante i periodi di interdizione dal lavoro previsti dagli articoli 4 e 5 della presente legge.
Le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità di cui al primo comma dell'articolo 15 purché tra l'inizio della sospensione, dall'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di 60 giorni. Ai fini del computo dei predetti 60 giorni, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali.
Qualora l'astensione obbligatoria dal lavoro abbia inizio trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio della astensione obbligatoria, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione, essa ha diritto all'indennità giornaliera di maternità anziché all'indennità ordinaria di disoccupazione.
La lavoratrice, che si trova nelle condizioni indicate nel precedente comma ma che non è in godimento della indennità di disoccupazione perché nell'ultimo biennio ha effettuato lavorazioni alle dipendenze di terzi non soggette all'obbligo dell'assicurazione contro la disoccupazione, ha diritto all'indennità giornaliera di maternità, purché al momento dell'astensione obbligatoria dal lavoro non siano trascorsi più di 180 giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nell'ultimo biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore ai fini dell'assicurazione di malattia 26 contributi settimanali.
La lavoratrice che, nel caso di astensione obbligatoria dal lavoro iniziata dopo 60 giorni dalla data di sospensione dal lavoro, si trovi, all'inizio dell'astensione obbligatoria, sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, ha diritto, in luogo di tale trattamento, all'indennità giornaliera di maternità.
Art. 18
Durante il periodo di assenza obbligatoria dal lavoro di cui all'articolo 4 della presente legge, spetta alle lavoratrici a domicilio, a carico dell'INAM, l'indennità giornaliera di cui al precedente articolo 15 in misura pari all'80 per cento del salario medio contrattuale giornaliero, vigente nella provincia per i lavoratori interni, aventi qualifica operaia, della stessa industria.
Qualora, per l'assenza nella stessa provincia di industrie similari che occupano lavoratori interni, non possa farsi riferimento al salario contrattuale provinciale di cui al comma precedente, si farà riferimento alla media dei salari contrattuali provinciali vigenti per la stessa industria nella regione, e, qualora anche ciò non fosse possibile, si farà riferimento alla media dei salari provinciali vigenti nella stessa industria nel territorio nazionale.
Per i settori di lavoro, a domicilio per i quali non esistono corrispondenti industrie che occupano lavoratori interni, con apposito decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le Organizzazioni sindacali interessate, si prenderà a riferimento il salario medio contrattuale giornaliero vigente nella provincia per i lavoratori aventi qualifica operaia dell'industria che presenta maggiori caratteri di affinità.
La corresponsione dell'indennità di cui al primo comma del presente articolo è subordinata alla condizione che, all'inizio della astensione obbligatoria, la lavoratrice riconsegni al committente tutte le merci e il lavoro avuto in consegna, anche se non ultimato.
Art. 19
Per le lavoratrici addette ai servizi domestici familiari, l'indennità di maternità di cui all'articolo 15 ed il relativo finanziamento sono regolati secondo le modalità e le norme stabilite dal decreto delegato emanato ai sensi dell'articolo 35, lettera d), della legge 30 aprile 1969, n. 153.
Fino al momento in cui entreranno in vigore le norme del decreto delegato indicato nel comma precedente, continuano ad applicarsi le disposizioni del titolo III della legge 26 agosto 1950, n. 860, relative alle lavoratrici domestiche.
Art. 20
L'interruzione della gravidanza, spontanea o terapeutica, esclusa quella procurata, è considerata a tutti gli effetti come malattia, salvo quanto disposto dall'articolo 12 del D.P.R. 21 maggio 1953, n. 568.
Art. 21
Per la copertura degli oneri derivanti dalle norme di cui ai titoli primo e secondo della presente legge, di competenza degli enti che gestiscono l'assicurazione contro le malattie, è dovuto dai datori di lavoro agli enti predetti un contributo sulle retribuzioni di tutti i lavoratori dipendenti nelle seguenti misure:
a) dello 0,53 per cento sulla retribuzione per il settore dell'industria;
b) dello 0,31 per cento sulla retribuzione per il settore del commercio;
c) dello 0,20 per cento sulla retribuzione per il settore del credito, assicurazione e servizi tributari appaltati;
d) di lire 2,43 per ogni giornata di uomo e di lire 1,95 per ogni giornata di donna o ragazzo per i salariati fissi; di lire 2,95 per ogni giornata di uomo e di lire 2,32 per ogni giornata di donna o ragazzo per i giornalieri di campagna e compartecipanti per il settore dell'agricoltura.
Il contributo è dovuto per ogni giornata di lavoro accertata ai fini dei contributi unificati in agricoltura di cui al decreto - legge 28 novembre 1938, n. 2138, e successive modificazioni, ed è riscosso unitamente ai contributi predetti.
A partire dal 10 gennaio 1973 è dovuto all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie un contributo annuo di lire 25.000 milioni da parte della Cassa unica assegni familiari.
Per gli apprendisti è dovuto un contributo di lire 32 settimanali.
Per i lavoratori a domicilio tradizionali è dovuto un contributo di lire 120 settimanali.
Per i giornalisti iscritti all'Istituto nazionale di previdenza per i giornalisti italiani <> è dovuto un contributo pari allo 0,15 per cento della retribuzione.
Per i lavoratori iscritti all'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i lavoratori dello spettacolo è dovuto un contributo pari allo 0,53 per cento della retribuzione.
Per i lavoratori iscritti all'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per gli impiegati dell'agricoltura è dovuto un contributo pari allo 0,50 per cento della retribuzione.
Per i lavoratori iscritti alle Casse di soccorso di cui al regio decreto 8 gennaio 1931, numero 148, e successive modificazioni, è dovuto un contributo pari allo 0,53 per cento della retribuzione. Tale contributo non è dovuto per il personale addetto alle autolinee extraurbane in concessione iscritto alle Casse di soccorso istituite per effetto della legge 22 settembre 1960, n. 1054, per le quali il contributo previsto a carico dei datori di lavoro dall'articolo 2, n. 2), dei rispettivi statuti è comprensivo dell'onere derivante dalla erogazione del trattamento economico per le lavoratrici madri.
Le eventuali eccedenze fra il gettito dei contributi e le prestazioni erogate saranno devolute, nell'ambito di ciascun istituto, ente o cassa, all'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
Riguardo al versamento del contributo di cui al presente articolo, alle trasgressioni degli obblighi relativi ed a quanto altro concerne il contributo medesimo, si applicano le norme relative ai contributi per l'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con quello per il tesoro, la misura dei contributi stabiliti dalla presente legge può essere modificata in relazione alle effettive esigenze delle relative gestioni.
Art. 22
L'assicurazione di maternità per le lavoratrici a domicilio tradizionali e per le addette ai servizi domestici familiari, gestita dall'INPS, è trasferita con i relativi avanzi di gestione all'INAM.
TITOLO III
Corresponsione di un assegno di natalità alle coltivatrici dirette, alle lavoratrici artigiane e alle lavoratrici esercenti attività commerciale
[…]
TITOLO IV
Disposizioni varie, vigilanza e penalità
Art. 28
28. Prima dell'inizio dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui all'articolo 4, lettera a), della presente legge le lavoratrici di cui all'articolo 1 della presente legge dovranno consegnare al datore di lavoro e all'istituto erogatore delle indennità giornaliere di maternità il certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione.
Art. 29
Tutti i documenti occorrenti per l'applicazione della presente legge sono esenti da ogni imposta, tassa, diritto o spesa di qualsiasi specie e natura.
Art. 30
La vigilanza sulla presente legge è demandata al Ministero del lavoro e della previdenza sociale che la esercita attraverso l'Ispettorato del lavoro.
Al rilascio dei certificati medici di cui alla presente legge sono abilitati gli ufficiali sanitari, i medici condotti, i medici dell'Istituto presso il quale la lavoratrice è assicurata per il trattamento di maternità, salvo quanto previsto dai commi successivi.
Qualora i certificati siano redatti da medici diversi da quelli di cui al precedente comma, il datore di lavoro o l'Istituto presso il quale la lavoratrice è assicurata per il trattamento di maternità hanno facoltà di accettare i certificati stessi ovvero di richiederne la regolarizzazione alla lavoratrice interessata.
I medici dell'Ispettorato del lavoro hanno facoltà di controllo.
Il certificato medico attestante la malattia del bambino, di cui al secondo comma dell'articolo 7 della presente legge, può essere redatto da un medico di libera scelta della lavoratrice.
L'astensione dal lavoro di cui all'articolo 5, lettera a), della presente legge è disposta dall'ispettorato del lavoro in base ad accertamento medico, per il quale l'Ispettorato del lavoro ha facoltà di delegare gli ufficiali sanitari o di avvalersi dei servizi ispettivi degli Istituti previdenziali competenti o di enti pubblici e di Istituti specializzati di diritto pubblico. In ogni caso il provvedimento dovrà essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice.
L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) dell'articolo 5 della presente legge è disposta dall'Ispettorato del lavoro, oltreché su istanza della lavoratrice, anche di propria iniziativa, qualora nel corso della propria attività di vigilanza constati l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima.
Parimenti, lo spostamento delle lavoratrici ad altre mansioni, di cui al terzo comma dell'articolo 3 della presente legge, è disposto dall'Ispettorato del lavoro sia di propria iniziativa, sia su istanza della lavoratrice.
Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale di cui all'ultimo comma dell'articolo 4 della presente legge, l'anticipazione dell'astensione obbligatoria dal lavoro di cui al secondo comma dell'articolo sopracitato è disposta dall'Ispettorato del lavoro.
I provvedimenti dell'ispettorato del lavoro in ordine a quanto previsto dai commi sesto, settimo, ottavo e nono del presente articolo sono definitivi.
Art. 31
L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 3, primo, secondo e terzo comma, 4 e 5 è punita con l'arresto fino a sei mesi.
L'inosservanza delle disposizioni contenute nell'articolo 2 è punita con la sanzione amministrativa da lire due milioni a lire cinque milioni.
L'inosservanza delle disposizioni contenute nell'articolo 10 e il rifiuto, l'opposizione o l'ostacolo all'esercizio dei diritti di assenza dal lavoro di cui all'art. 7 della presente legge sono puniti con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni.
L'autorità competente a ricevere il rapporto per le violazioni amministrative previste dal presente articolo e ad emettere l'ordinanza di ingiunzione è l'Ispettorato del lavoro.
Art. 32
Con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, entro 90 giorni, saranno emanate norme regolamentari per l'applicazione della presente legge.
Art. 33
Sono abrogate le disposizioni della legge 26 agosto 1950, n. 860, sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri e successive modificazioni in contrasto con le norme della presente legge.
Art. 34
Le disposizioni contenute negli articoli 11, 12 e 13 della legge 26 agosto 1950, n. 860, continuano ad applicarsi in via transitoria ai datori di lavoro che, ai sensi della legge stessa, abbiano istituito camere di allattamento o asili nido aziendali funzionanti alla data del 15 dicembre 1971.
L'ispettorato del lavoro, sentite le Organizzazioni sindacali aziendali, può autorizzare la chiusura delle camere di allattamento e degli asili nido aziendali di cui al precedente comma in relazione alle effettive esigenze delle lavoratrici occupate nell'azienda ed all'attuazione del piano quinquennale per l'istituzione di asili nido comunali con il concorso dello Stato.
Art. 35
La presente legge entra in vigore alla data della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, salvo le diverse decorrenze fissate dagli articoli precedenti e salvo quanto previsto dal successivo comma.
Alle lavoratrici che al momento dell'entrata in vigore della presente legge sono assenti dal lavoro ai sensi dell'articolo 5, lettera a), della legge 26 agosto 1950, n. 860, si continua ad applicare la norma citata fino all'esaurimento del periodo di cui alla lettera stessa.
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