mercoledì 22 giugno 2011

" L' ESCLUSIONE DEI GIOVANI "






























































 La difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è un problema comune a molti Paesi, ma in Italia è più acuto che altrove. Stiamo rischiando di compromettere permanentemente il futuro di un’intera generazione. Non è troppo tardi per intervenire, ma non si può perdere altro tempo. Per capire come affrontare il problema bisogna individuarne la natura. In Italia, nella fascia d’età fra i 16 e i 24 anni, solo un ragazzo su quattro lavora: in Germania, negli Stati Uniti e nella media dei Paesi europei, uno su due. I ragazzi italiani lavorano meno di altri per due ragioni: sono meno quelli che cercano lavoro (cioè la partecipazione alla forza lavoro è più bassa che in altri Paesi), e tra quelli che lo cercano in meno lo trovano (cioè il tasso di disoccupazione è più alto). La partecipazione alla forza lavoro in questa fascia di età è il 30 per cento in Italia, contro il 51 per cento in Germania, 41 in Francia, 56 negli Stati Uniti. La disoccupazione giovanile è oltre il 25 per cento in Italia a fronte del 19 per cento nell’area Euro, 18 per cento negli Stati Uniti, 10 in Germania. Questo divario impressionante non dipende dal fatto che i giovani italiani studiano di più, e quindi non lavorano perché stanno investendo nel loro futuro. Nella fascia d’età 25-34 anni, gli italiani che hanno una laurea sono 18 su cento, meno della metà che in Francia, Svezia e Stati Uniti. Naturalmente c’è molta differenza tra Nord e Sud. La disoccupazione giovanile al Centro-Nord è vicina alla media europea, mentre è molto più alta al Sud. Ma non è solo Sud. Anche al Nord la partecipazione dei giovani alla forza lavoro è più bassa rispetto al resto d’Europa. Un secondo aspetto importante emerge confrontando il tasso di disoccupazione dei giovani (fra i 15 e i 24 anni) con quello degli adulti (25-64). La peculiarità dell’Italia non è solo l’elevata disoccupazione giovanile, ma il divario fra giovani e adulti. Il rapporto tra il livello di disoccupazione dei giovani e quello degli adulti è 4 in Italia (cioè per ogni disoccupato adulto ci sono 4 disoccupati giovani) contro il 2,4 dell’area Euro, 1,4 in Germania. Questa differenza si riscontra ovunque in Italia, sia al Nord sia al Sud. Anzi, in qualche regione del Nord è più alta che al Sud. Ad esempio, il rapporto fra disoccupati giovani e adulti è 4,8 in Emilia Romagna e 3,2 in Sardegna. Questo rapporto è una misura di quanto il mercato del lavoro protegga chi un lavoro ce l’ha, cioè gli adulti. Più il rapporto è elevato, più i giovani sono esclusi. In altre parole, il mercato del lavoro in Italia è molto più chiuso ai giovani che in altri Paesi europei e lo è forse di più al Nord che al Sud. È un’osservazione importante perché ci dice che il mancato lavoro dei giovani non è solo un problema collegato specificamente al Mezzogiorno: dipende da regole e istituzioni nazionali, che escludono i giovani sia a Napoli che a Torino. Non solo i giovani in Italia lavorano poco, ma sempre più sono impiegati con contratti temporanei che raramente sfociano in un contratto a tempo indeterminato. In Veneto ad esempio (dati pubblicati sul sito www. lavoce. info, vedi anche l’articolo di Ugo Trivellato sul medesimo sito) la percentuale di assunzioni (al di sotto dei 40 anni) con contratti a tempo indeterminato è scesa, negli ultimi 12 anni, dal 35 al 15 per cento; le assunzioni a tempo determinato sono salite dal 40 al 60 per cento. Sono quasi scomparsi anche gli inserimenti tramite contratti di apprendistato(sempre in Veneto) è scesa dal 25 al 10 per cento. Altrove al Nord è ancora più bassa. Non conosciamo dati per il Sud. Evidentemente le imprese ritengono altre forme di «assunzione» più convenienti dell’apprendistato. Il fatto è che le aziende sono comprensibilmente restie a trasformare i giovani assunti temporaneamente in «illicenziabili» . Preferiscono i contratti a tempo determinato perché consentono loro di aggirare le rigidità dei rapporti a tempo indeterminato. Le conseguenze di questo mercato del lavoro «duale» sono innumerevoli. I giovani vivono con i genitori più a lungo, si sposano più tardi, fanno meno figli, non accumulano contributi per la loro pensione. Non solo, ma molti studi dimostrano che lunghi periodi di disoccupazione da giovani hanno conseguenze permanenti sulla carriera lavorativa perché rendono le persone meno impiegabili. In Italia l’attesa media per trovare il primo lavoro è 33 mesi contro 5 negli Stati Uniti. Il Testo Unico sull’apprendistato, approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri fa un passo avanti, consentendo l’apprendistato agli studenti delle scuole superiori. Il testo prevede che questa forma di inserimento nel mondo del lavoro sia utilizzabile per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione di ragazzi che abbiano compiuto quindici anni. In questo caso la durata del contratto non può estendersi oltre il termine del ciclo di studi, con un limite di tre anni. Ma il Testo Unico non fa nulla per ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro. Infatti prevede anche che «se, al termine del periodo di apprendistato, nessuna delle parti esercita la facoltà di recesso, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato» , cioè l’apprendista diventa da un giorno all’altro illicenziabile. Poche imprese rinunceranno all’opzione di esercitare unilateralmente il recesso. Le idee su come riformare il nostro mercato del lavoro per facilitare l’inserimento dei giovani non mancano, ma qualunque proposta si scontra con un ostacolo politico apparentemente insormontabile: l’elettore medio italiano, cioè colui (o colei) che determinano chi vince le elezioni, è sempre più anziano. L’età media degli italiani è la terza più alta al mondo, ed è quella che sta crescendo più rapidamente. Se le riforme che favoriscono i giovani richiedono qualche sacrificio agli adulti, è difficile che siano sostenute da partiti e sindacati la cui fortuna dipende dal voto e dall’influenza degli anziani. Ciò ovviamente non significa che i genitori italiani non siano interessati al futuro dei propri figli. Ma si è creato un equilibrio per cui i genitori si occupano del benessere dei figli attraverso la famiglia, mentre come società adottiamo politiche che rendono difficile ai giovani rendersi economicamente indipendenti. La famiglia è diventata il meccanismo di protezione dei giovani. Il lavoro sicuro (prima) e la pensione (dopo) del padre assicurano un minimo di supporto per figli precari. La loro sopravvivenza è assicurata, la crescita, il dinamismo ed il futuro dei giovani stessi no. Cosa fare dunque? Alcune cose si possono fare subito e darebbero risultati immediati. Prima di tutto, e di questo si è molto parlato, bisogna riformare radicalmente il mercato del lavoro abolendo la separazione fra contratti a tempo determinato e indeterminato, e sostituendoli con un contratto unico con protezioni e garanzie che crescono con l’anzianità sul posto di lavoro. Tutte le proposte, di questo governo e dei precedenti, hanno finora riguardato solo i contratti a tempo determinato: modificandoli marginalmente, e introducendo nuove modalità di precariato. Nessuno ha avuto il coraggio di smantellare il dualismo e passare al contratto unico. La resistenza degli anziani si potrebbe superare non toccando i vecchi contratti e applicando il contratto unico solo ai nuovi assunti. Se lo si fosse fatto quindici anni fa, ai tempi del Pacchetto Treu, durante il primo governo Prodi, la transizione si sarebbe già completata. Nessun governo né di destra, né di sinistra ha avuto la lungimiranza di farlo. Un’altra idea è modulare le aliquote delle imposte sul reddito in funzione dell’età, abbassando le tasse per i più giovani. La perdita di gettito si dovrebbe recuperare con riduzioni di spesa. Ciò aumenterebbe il reddito disponibile dei giovani e li renderebbe più indipendenti e più impiegabili perché al lordo delle imposte costerebbero meno alle imprese. L’idea di modulare le aliquote fiscali in funzione dell’età è stata studiata negli Stati Uniti da una commissione presieduta dal recente premio Nobel Peter Diamond. A ciò si potrebbero aggiungere sgravi fiscali per le imprese che offrono lavori ai giovani, ma solo dopo aver riformato il sistema dei contratti come discusso sopra. Altrimenti le imprese continuerebbero a offrire ai giovani contratti temporanei. Ma si dovrebbe pensare anche a qualche provvedimento più radicale che sblocchi la gerontocrazia che domina l’Italia. Per esempio, perché non abbassare a 16 o 17 anni l’età minima per votare? O porre dei limiti di età (ad esempio 72 anni) ai politici, ai burocrati, ai membri dei consigli di amministrazione delle società quotate? In questi consigli si vorrebbero introdurre le quote rosa: perché non pensare anche ai giovani (uomini e donne), oltre che alle donne di ogni età? Il problema dei giovani in Italia non è solo economico. Stiamo creando una generazione sfiduciata, disillusa che non s’impegna perché non trova sbocchi e non vede per sé un futuro. Perdiamo molti bravi giovani che se ne vanno all’estero. Non solo i cosiddetti «cervelli» , ma anche giovani che non trovando un normalissimo lavoro in Italia lo cercano, e lo trovano, altrove. Una generazione di scoraggiati non si riproduce né economicamente, né demograficamente e crea un pericoloso circolo vizioso. Queste spirali si possono arrestare, ma solo se si interviene presto. Se accelerano diventa impossibile fermarle.
A.L.I. Associazione Lavoratori Italiani
in collaborazione con Federazione Nazionalista Italiana  Milano

domenica 19 giugno 2011

La delocalizzazione in Cina e il suicidio industriale dell’occidente

 Ho nuovamente l’onore di pubblicare un post scritto da un italiano che vive e lavora inCina: Gaolin. Chi meglio di lui può spiegarci in modo realistico la vera situazione dell’economia cinese e le drammatiche evoluzioni a sfavore dell’economie occidentali?? Inoltre il buon Gaolin approfitta della piovosa giornata e trova l’ispirazione con un post “dei suoi”.
Comunicazione di servizio: l’autore mi riferisce che IntermarketAndMore ora è visibile inCina ed è uno dei pochi visibili. Chissà se è merito anche proprio di Gaolin…
Lascio la parola all’amico Giorgio, ringraziandolo nuovamente.
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Il titolo dell’articolo inizialmente prevedeva un termine più soft:  declino al posto disuicidio.
Questo cambio, effettuato in corso di stesura, rappresenta però molto meglio la situazione in corso, il cui sviluppo procede con costanza, in una sorta di indifferenza collettiva che sconcerta non poco gli addetti ai lavori, ovvero gli operatori che direttamente sono coinvolti in questi processi
Il fenomeno della delocalizzazione produttiva “normale” è ben spiegato in Wikipedia.Quello che da nessuna parte viene spiegato invece è che la delocalizzazione in Cina è stato ed è qualcosa di profondamente diverso dalla suddetta definizione.
Proprio così, la delocalizzazione verso la Cina ha un fondamentale valore aggiunto in più in quanto, oltre alla produzione viene di solito delocalizzato anche il know-how che la riguarda. Questo know-how può essere poca cosa, come accadeva una volta ma oggi quasi sempre rappresenta il valore vero della delocalizzazione.
Della delocalizzazione dall’occidente verso la Cina mi ero impegnato a scrivere qualcosa per I&M  già da un po’ di tempo. Finora però la giusta ispirazione non era mai arrivata, visto che lo scrivere non è il mio mestiere. In questi giorni mi trovo in Cina, che è un luogo dove invece è facile, per un motivo o per l’altro, avere gli spunti e gli stimoli necessari per sviluppare un discorso sul tema.
Addirittura questa volta non ho avuto neppure il bisogno di atterrare in questo immenso e straordinario paese per trovare la giusta motivazione. Infatti, leggendo durante il volo un quotidiano, mi è cascato l’occhio su un trafiletto in cui si richiamava un articolo del Financial Times, che descriveva la polemica e i dissapori  in corso fra i manager svedesi della VOLVOe i nuovi proprietari cinesi, la casa automobilistica GEELY, divenuti tali lo scorso mese di marzo 2010.
Questi ultimi vogliono costruire in Cina non una ma tre fabbriche d’auto con marchio VOLVO. Una per ogni municipalità che ha concorso a conferire i capitali necessari per l’acquisto della casa + marchio.
Non so cosa i cinesi possano aver detto o promesso ai manager/politici/sindacati svedesi al momento dell’acquisto, certo però è che i cinesi non possono averla acquistata per lasciarla vegetare in terra scandinava, sovvenzionandola continuamente come successo finora.
A questo proposito inserisco in questo articolo un mio commento, datato 23 aprile 2010,inviato a uno dei pochissimi blog che, nei giorni della divulgazione della suddetta cessione, pubblicò un lodevole articolo sulla vicenda.  Allora la gran parte della stampa e dei media praticamente relegarono la notizia come una di quelle di terz’ordine. Il  commento di seguito riportato è privo dell’articolo di riferimento ma credo che ne possa  essere compreso  lo spirito ugualmente.
Il commento inviato fu:
Nell’articolo sono molto ben sintetizzati alcuni aspetti della difficile competizione in atto nel settore automotive. Mi pare però che quello più importante della cessione ai cinesi della casa VOLVO non sia stato ben colto.
Ovvero, perché i cinesi, pur essendo ben coscienti che attualmente la VOLVO è una società che drena risorse finanziarie senza possibilità di ritorni, se la sono comprata lo stesso?


Non certo per la speranza/volontà di rilanciarla così come sta ma per il know-how di questa azienda che, nonostante non più di estrema avanguardia come ai bei tempi, è certamente di alto livello. Cosa vuol dire ciò?
Vuol dire che fra non molto, 2-3 anni al massimo, le tecnologie di casa VOLVO ritenute convenienti saranno introdotte nelle nuove fabbriche cinesi della GEELY e poi che tutti i mercati, in particolare quello europeo, si troveranno ad avere un competitor che avrà una rete commerciale pronta a vendere auto Made in China, aventi un rapporto qualità/prezzo inarrivabile per tutti gli altri.
I cinesi si muovono seguendo strategie di lungo termine. Le loro industrie sanno di essere protette e accompagnate nel loro sviluppo da una dirigenza politica molto competente e con una chiara visione dello sviluppo futuro della Cina.
Noi occidentali invece siamo ormai asserviti agli interessi delle varie oligarchie, in particolare quella finanziaria, alle quali non importa un fico secco del declino industriale che stiamo vivendo.
La cessione della VOLVO dovrebbe essere un capitolo da celebrare come giornata di lutto internazionale, per l’occidente ovviamente.
Invece l’argomento  passa come una evento trascurabile, da relegare senza evidenze qua e là nelle pagine di qualche giornale, non in grado di suscitare molti interessi e commenti.
Di questo nostro atteggiamento, in generale poco attento all’importanza di questi accadimenti, i cinesi sono ben consapevoli e se ne approfittano.  E come se ne approfittano
Visto lo scoppio della suddetta polemica, mi pare di essere stato un facile profeta.
Purtroppo anche questa vicenda, marcata VOLVO-GEELY o meglio GEELY-VOLVO, altro non è che l’ennesimo atto di questo dissennato, scellerato, sciagurato, pazzesco e chi ne ha più ne metta, dramma in corso che riguarda il finora inarrestabile processo di esproprio o donazione del know-how occidentale a favore dellaCina.
Un esempio di come i formidabili cinesi abbiamo magistralmente utilizzato questo processo, per attuare uno dei più recenti impetuosi processi di sviluppo industriale è stato benissimo sintetizzato in uno spot pubblicitario, che ripetutamente appariva su uno schermo di un espositore alla fiera AUTOMECHANIKA di Shanghai, svoltasi la scorsa settimana e dedicata al settore della componentistica per l’industria dell’auto.
La parte iniziale di questo spot riportava il titolo di un giornale USA del 2005, che citava le previsioni degli “esperti americani”, riguardo lo sviluppo del mercato interno dell’auto inCina. La previsione erano che entro il 2020 il mercato interno cinese di vendite auto avrebbe superato quello degli USA.
Subito dopo si diceva che  nel 2009 la Cina già aveva superato gli USA.
Per tutti coloro che non lo sanno ancora, ovvero per la quasi totalità degli occidentali, aggiungo che nel 2010 le vendite di auto in Cina raggiungeranno i 18 milioni di auto, circa 1,5 volte il mercato USA  attuale e 5 volte quello di 6 anni fa.
Contemporaneamente tutta l’industria dell’auto cinese si sta attrezzando per cominciare il processo di penetrazione massiccia nel mercato mondiale dell’auto,  con la solita aggressività e che necessiterà solo di qualche annetto per far tremare i polsi ai competitor allocati nello spensierato occidente, che ancora si ostina a non capire cosa sta succedendo in Cina.
Già, da noi si crede ancora che le auto Made in China siano delle pericolose carrette. La realtà non è così. Ormai la migliore produzione cinese è già oggi equiparabile a quella di media/bassa  gamma occidentale. Anche perché essa utilizza la stessa componentistica, che i nostri costruttori acquistano ormai a man bassa dalla Cina, per ridurre i costi e che loro stessi hanno ben contribuito a far raggiungere il necessario livello di qualità.
Personalmente non ce l’ho con i cinesi, tutt’altro. Essi sono degli infaticabili e capaci lavoratori, sia di braccia che di mente, certamente degni di aspirare a migliorare il loro status e anche di diventare, molto prima di quanto quasi tutti pensano, la prossima No.1 potenza economica globale. Con i cinesi infatti si può lavorare benissimo, pur essendoci non poche differenze di mentalità, di cultura e di modo di ragionare.
Quello che veramente fa rabbia e sconcerta è che siamo noi occidentali a stendere ogni giorno un po’ più in avanti il tappeto di velluto lungo il quale scorre il processo di delocalizzazione dall’occidente verso la Cina.
Pare incredibile come pochissimi riescano a percepire che a una nazione di oltre 1.300.000.000 individui, gestita con criteri imprenditoriali, non è possibile lasciare la possibilità di agire nel solo suo esclusivo interesse e a discapito di tutti gli altri.
Insomma se alla Cina va più che bene applicare l’equazione:
(N posti di lavoro in più in Cina) -  (N posti di lavoro in meno altrove) = 0
a tutti gli altri, chi più chi meno, procura danni gravissimi e perfino irreparabili.
In fondo basterebbe avere ben presente che la suddetta equazione è la naturale conseguenza di una gestione della parità monetaria del CNY, da parte del governo cinese, che rende il paese ipercompetitivo contro chiunque e in qualunque settore produttivo, compresi quelli di assoluta avanguardia, è solo questione di tempo.
Quando il governo cinese decide di spingere il proprio sistema industriale verso un settore che ritiene di sviluppare, ci mette poco in queste condizioni  a far diventare la Cina leader mondiale assoluto, se non praticamente monopolista.
Per questa volta basta così.

QUEI FANNULLONI DEI PARLAMENTARI SI AUMENTANO LO STIPENDIO, E NOI PAGHIAMO


QUEI FANNULLONI DEI PARLAMENTARI SI AUMENTANO LO STIPENDIO, E NOI PAGHIAMO !
Condividete e sputtanate chi ci sputtana ogni giorno in Italia e nel mondo !

Mentre il debito pubblico aumenta, la disoccupazione pure, il Paese non cresce, il PIL va sempre peggio, la gente non arriva alla fine del mese perché le spese crescono e le entrate diminuiscono, alcuni si suicidano perché hanno perso il lavoro e i giovani hanno perso la speranza nel futuro, la casta parlamentare cosa fa ? Nuone riforme per migliorare la situazione ? No, non fa quasi nulla, il Parlamento ridotto un giorno ad un villaggio vacanze e l’altro ad un mercato delle vacche, non fa quasi niente. Perché questo “quasi” ? Perché qualcosa hanno fanno: la casta parlamentare ha votato all’unanimità un aumento di stipendio per loro stessi pari a 1.135,00 euro al mese, in pratica lo stipedio di un lavoratore. Ecco questi fannulloni, buoni a niente e mantenuti dai noi senza il nostro consenso, quanto guadagnano e quanti benefici hanno:
STIPENDIO Euro 19.150,00 AL MESE
STIPENDIO BASE circa Euro 9.980,00 al mese
PORTABORSE circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare)
RIMBORSO SPESE AFFITTO circa Euro 2.900,00 al mese
INDENNITA’ DI CARICA (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00)
TUTTI ESENTASSE
TELEFONO CELLULARE gratis
TESSERA DEL CINEMA gratis
TESSERA TEATRO gratis
TESSERA AUTOBUS – METROPOLITANA gratis
FRANCOBOLLI gratis
VIAGGI AEREO NAZIONALI gratis
CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis
PISCINE E PALESTRE gratis
FS gratis
AEREO DI STATO gratis
AMBASCIATE gratis
CLINICHE gratis
ASSICURAZIONE INFORTUNI gratis
ASSICURAZIONE MORTE gratis
AUTO BLU CON AUTISTA gratis
RISTORANTE gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00). Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (per ora!!!)
Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera. (Es: la sig..ra Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l’auto blu ed una scorta sempre al suo servizio)
La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO.
La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO
Si dovrebbero vergognare e dimettere in massa, tutti, ma essendo privi di dignità, morale e buon senso non lo faranno mai, quindi sarebbe cosa buona e giusta che i cittadini bloccassero il Paese fino al momento in cui non si dimettono tutti in blocco.


Quelli che se le aumentano (le pensioni d’oro)

Quelli che se le aumentano (le pensioni d’oro). Dedicato a chi dice: è tutta roba del passato. Dedicato a chi dice: denunciare non serve a niente. A me basterebbe che denunciare servisse a bloccare nuovi scandali. Pensate a che cos’è successo in Puglia nell’estate 2010: sono andati in pensione 19 ex consiglieri regionali, tutti con assegni notevoli e molti con età non troppo avanzata (per dire: ce n’è uno di 52 anni che ha cominciato a  incassare l’assegno di 7247 euro al mese). Siccome, però, in base a una legge appena approvata, il vitalizio dei magnifici 19  erano più alti rispetto a quelli dei consiglieri andati in pensione nel passato, tutti gli altri “onorevolini” a riposo (102 più 50 vedove) hanno protestato. E la Regione come ha risposto? Ovvio: aumentando la pensione anche a loro. Così nel luglio 2010, mentre in Parlamento si parlava di tagli e in tutto il Paese si affrontavano sacrifici, è arrivato cotto e mangiato un bel provvedimento ad hoc che ha adeguato i vitalizi d’antan a quelli di oggi. Le pensioni dei 102 grandi vecchi pugliesi sono passate d’un botto da 8840 a 10070 euro (con un aumento di 1231 euro) e quelle delle 50 vedove sono passate da 5747 a 6546 (con un aumento di 800 euro).  Dove ha trovato tutti quei soldi la Regione? La Gazzetta del Mezzogiorno, 3 dicembre 2010, ha provato a dare una risposta: “Vitalizi ai consiglieri con i soldi dei libri di testo”, titola. E spiega: “Girati ai politici non rieletti 2 milioni e 600mila euro destinati agli studenti”. L’attenzione ai giovani prima di tutto, si capisce.

sabato 11 giugno 2011

Non smetteremo di sognare e lottare per vincere.

 Appello.
La pesante e iniqua manovra economica del governo arriva come un meteorite sulle nostre vite. L’enorme precarietà in cui versano milioni di uomini e di donne aumenterà ancora e getterà nel cratere della crisi fasce sempre più larghe della società. Non solo i disoccupati, le precarie, i pensionati al minimo, le studentesse, i migranti avranno il respiro corto economicamente parlando, ora sempre più lavoratori e lavoratrici non saranno più al sicuro di un reddito da lavoro a tempo indeterminato. La difficoltà di arrivare a fine mese, di pagare affitti e mutui, di essere puntuali con bollette e tariffe in genere sono problemi sempre più estesi.
Per questo è giusto manifestare il disagio nei confronti dei responsabili diretti della situazione e contro questa manovra finanziaria che toglierà molte risorse destinate a Regioni ed Enti locali, tagliando l’erogazione dei Servizi sociali essenziali come la sanità, le politiche per la casa, i trasporti e gli asili nido, prosciugando le risorse del welfare locale e dei servizi fondamentali.




 Dopo aver decurtato gli stipendi dei lavoratori del privato con oltre 1.5 ML di procedure in Cassa Integrazione si arriva ora al blocco degli aumenti (che corrisponde di fatto ad una decurtazione) per i dipendenti del Pubblico Impiego, lavoratori che da anni denunciano i salari i più bassi d’Europa. E' senz'altro la peggiore finanziaria della storia repubblicana.
Le banche, i ministeri e il governo sono le sedi che stanno gestendo la crisi. Una gestione strabica, che anche con l’ultima manovra favorisce la rendita e il consumo di suolo, le imprese e gli evasori fiscali, la speculazione e il profitto. Nessuna attenzione per  coloro che sopravvivono con redditi precari e intermittenti, che non hanno una casa o rischiano di perderla, che vedono il diritto alla salute e allo studio diventare sempre più inaccessibili, che subiscono il peggioramento delle condizioni ambientali.
Dentro questo quadro di distruzione complessiva delle misure di welfare necessarie, c’è una generazione a “rischio di estinzione”, una generazione precaria che per avere una percezione di futuro accettabile deve subire il ricatto quotidiano di un mercato del lavoro frammentato e senza diritti. Quei diritti che oggi vengono messi in discussione anche per il lavoro dipendente classicamente inteso.







Partire da qui, per attraversare la città dei ministeri, compreso quello delle Finanze, portare davanti a questi portoni la nostra rabbia e confluire nel corteo. La corruzione e il malgoverno non possono essere lasciati indisturbati a confezionare provvedimenti che aumentano la nostra precarietà, le forme di controllo e di egoismo sociale.


Non smetteremo di sognare e lottare per vincere.
Anna Bresciani

GOVERNO VIVO ARITMETICAMENTE, MA MORTO POLITICAMENTE …….



SI DEVE SCEGLIERE <>. OCCORRE OGGI PIU’ CHE MAI RECUPERARE UN IMPEGNO CIVICO E ALIMENTARE UNA LIMPIDA PASSIONE CIVILE, PER INVERTIRE LA TENDENZA A FARSI GLI AFFARI PROPRI “RESTANDO ALLA FINESTRA” A GUARDARE <> CHE “SI SACRIFICANO” ……… SERVONO TRASPARENZA, PULIZIA E SICUREZZA. LA LOTTA ALLE MAFIE NON PUO’ ESSERE LASCIATA SOLO ALLE FORZE DELL’ORDINE E ALLA MAGISTRATURA !!!!




OGNUNO DEVE FARE LA SUA PARTE : URLIAMO IN TUTTI I CONTESTI CONTRO LA VIOLENZA, CONTRO LA CORRUZIONE, CONTRO LO SVUOTAMENTO DELLE CASSE DI AZIENDE PUBBLICHE, CONTRO IL TAGLIEGGIAMENTO DI AZIENDE PRIVATE. LA MAFIA E’ SEGRETO & OMERTA’. IL SILENZIO E’ OSSIGENO PER LA SIMBIOSI TRA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA, ECONOMIA & POTERE !!!!!
 Anna Bresciani

" PRECARIETA' NON E' UN CONTRATTO MA UNA CONDIZIONE DI VITA "


Uso e abuso di un termine diventato ormai oggetto di speculazione
Precarietà:
un termine che è entrato, in questi ultimi anni, in maniera dirompente nelle vita collettiva, in special modo per le nuove generazioni. Un termine che però continua a portarsi dietro innumerevoli contraddizioni nel suo significato e nel suo portato sociale. Ormai qualsiasi corrente politica è costretta a parlare dei precari, ma spesso, anzi quasi sempre, in maniera strumentale ai propri interessi elettorali o di gestione del potere territoriale. 


Con certezza sappiamo solo che quella di precario, è una condizione che si è venuta delineando con forza nei mutamenti economici e produttivi che dagli anni ‘80, con l’inizio dei processi di de-industrializzazione e (con maggior forza negli anni ’90), con le privatizzazioni di massa dei grandi comparti industriali statali, hanno caratterizzato la nostra società. 
Precari sono diventati i contratti di lavoro, che hanno perso quella stabilità e certezza che aveva distinto la dimensione lavorativa degli anni del dopo-guerra e del boom economico (anni ’60-’70). Ma la condizione di precario non rimane relegata al solo ambito lavorativo, le trasformazioni economiche sono così forti che investono tutti gli aspetti della vita di chi ne è soggetto. Il peggioramento delle condizioni di esistenza si verifica anche in altri importanti settori, che un tempo trovavano le loro forme di tutela e garanzia: la casa, la pensione, la sanità, la scuola. Proprio a seguito di tali cambiamenti tutto il complesso dei diritti acquisiti in un secolo di lotte e movimenti operai sembra svanire, sotto i colpi di una ristrutturazione capitalista, dai contorni ancora incerti, ma sicuramente impegnata nel liberarsi da tutti i vincoli e freni visti come ostacolo al principio di accumulazione per il profitto. 


Da qui vorremmo partire per iniziare una riflessione che sappia tener conto dei cambiamenti, per provare a costruire un punto di vista dei precari rispetto alla società odierna. Non qualcosa che parli di precarietà per usarla su finalità diverse e spesso che tendono ad accentuare questa condizione. Ma un percorso di lotta che sappia dar voce ai precari e alle precarie, partendo dai loro bisogni e dalle loro necessità, arrivando ai loro desideri. Ricomporre un blocco sociale che non si ponga, né obiettivi di "retroguardia", mitizzando periodi storici che in realtà contenevano i semi di ciò che oggi viviamo, né azzerando comunque esperienze e diritti che hanno ancora una loro ragion d’essere e una concreta forza rivendicativa. 
Provare a ricostruire un momento di sintesi nella galassia delle situazioni e dei contratti precari, per far emergere una soggettività capace d’imporsi contro un modello economico e sociale alienante e svilente, fatto di automi che in silenzio accettano passivamente il peggior contratto di lavoro al prezzo più basso.


Da Anna Bresciani

giovedì 9 giugno 2011

Presentato a Fossano il movimento della Federazione Nazionalista Italiana

Con l'intervento del Segretario Nazionale Pietro Biagio Sciacca









Il convegno di Fossano


Riceviamo e pubblichiamo:
Nel pomeriggio di domenica 4 giugno a Fossano si è svolta la presentazione della Federazione Nazionalista Italiana. Oltre 50 militanti erano presenti come delegati di varie regioni italiane, quali il Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Sicilia. Dopo l'inno nazionale italiano, il Segretario NazionalePietro Biagio Sciacca ha subito spiegato cosa fosse Federazione Nazionalista Italiana, con i rispettivi punti programmatici. Non causale è stata la scelta del Piemonte per la nascita di questo movimento, che così anche simbolicamente si è candidato a ripercorrere le orme di un nuovo movimento di patrioti.
Un nuovo Risorgimento che con intenti unitari e sociali riapre la sua lotta per l'unità nazionale da quella regione il Piemonte appunto, che sotto i Savoia guido già una prima volta la nostra riunificazione nazionale dalla Sicilia alle Alpi. All'intervento del Segretario Nazionale si sono susseguiti gquelli di Anna Maria Bresciani e Tullio Trapasso, coordinatori nazionali dell'Associazione Lavoratori Italiani, un'associazione che nel sociale supporta l'operato della Federazione Nazionalista Italiana.
Entrambi si sono soffermati nell'analizzare la grave gestione anti-nazionale della crisi da parte della destra iper liberista di governo. Sono seguiti gli interventi dei Dirgenti Nazionali Davide Meschis Valerio Ronchi, sulle riforme e la abolizione di alcune leggi obosolete e sulla demagogia leghista di governo. Tra gli altri interventi a cui hanno partecipato attivamente anche i vari militanti presenti in sala vanno segnalati quelli dei neo-nominati Segretari Regionali del Veneto e del Piemonte, Mauro Magosso Claudio Pautasso, che con grande passione hanno delineato le rispettive situazionipolico-sociali locali. Sono state rese pubbliche le nomine del Vice Segretario Regionale del Veneto nella persona di Michela Finatti e diMatteo Venturini quale Segretario Provinciale di Rovigo, del Vice Segretario Regionale del Piemonte nella persona di Italo Saccomandi e di Michele Iacovelli quale Segretario Provinciale di Cuneo.
Grande intervento sul signoraggio inoltre da parte del Responsabile del Settore Stampa e Propaganda della Federazione Nazionalista Italiana,Fabrizio Giacosa. Tra le tante adesioni ci è pervenuta anche quella del "Comitato Italiano per le Ricerche Economiche Nazionali" guidato daGiovanni di Maggio. Il Segretario Nazionale insieme al Presidente NazionaleGiuseppa Caltagirone hanno infine concluso con un saluto nazionalistaaccompagnati dalla note della Canzone del Piave.
Una giornata intensa,ricca di analisi e confronti che è servita alla comunità militante di Federazione per gettare le basi di un percorso di lotte politiche per l'attuazione di un vero nazionalismo, oltre la destra e la sinistra, contro il vigente sistema partitocratico anti-nazionale!
Il Segretario Nazionale, Pietro Biagio Sciacca




mercoledì 8 giugno 2011

Costituzione, Diritto al Lavoro e Sistema Massonico



Sommario. 1. Premessa. 2. La prima falla: gli organi costituzionali. 3. La seconda falla. Il sistema dei referendum. 4. La terza falla: la Corte Costituzionale. 5. La quarta falla: i valori massonici della costituzione. 6. Il cosiddetto "diritto al lavoro". 7. L'effettivo stato di cose. 8. Effetti della normativa a tutela dei lavoratori. 9. Considerazioni conclusive e di diritto comparato.

1. Premessa.

La nostra Costituzione è considerata dalla maggior parte dei costituzionalisti come una legge molto avanzata, fortemente protettiva delle classi deboli e con un bilanciamento quasi perfetto tra i vari poteri.

Rappresenta la legge fondamentale per la tutela dei diritti di qualunque cittadino, nonché il parametro di legittimità cui rapportare tutte le altre leggi.

All’università questa era l’idea che mi ero fatta sui vari autori, Mortati, Martinez, Barile.

Solo da qualche anno ho cominciato a riflettere sul fatto che qualcosa non va nel modo in cui tutti ci presentano la Carta Costituzionale.

Vediamo cosa.

In effetti la storia (quella vera e non quella ufficiale) ci insegna che la Carta Costituzionale fu voluta dalla massoneria. Oltre due terzi dei padri costituenti erano ufficialmente massoni (e sospetto anche quelli che non lo erano ufficialmente). E la massoneria rivendica a sé altre leggi importanti, come la dichiarazione dei diritto dell’Uomo.

Dato che il fine ultimo della massoneria è il nuovo ordine mondiale, riesce difficile pensare che abbiano voluto consegnare ai cittadini, al popolo cioè, una legge che tutelasse davvero tutti, e che non fosse invece funzionale agli interessi massonici.

Infatti, leggendo la Costituzione senza preconcetti, e sgombrando il campo da tutte le sciocchezze che ci insegnano all’università, è possibile farsi un’idea diversa della Costituzione.

Essa è una legge illiberale, pensata apposta per opprimere i cittadini anzichè tutelarli.

Però il punto è che è scritta così bene che è difficile capirne l’inganno. Apparentemente infatti sembra una legge progredita e che tutela i diritti di tutti. Ma la realtà è ben altra.

E’ noto infatti che nessuno è così schiavo come quelli che pensano di essere liberi senza sapere di essere schiavi.

Ora, la Costituzione è fatta apposta per questo: renderci schiavi, facendoci credere di essere liberi.

Purtroppo per capirlo occorre essere molto esperti di diritto, e contemporaneamente conoscere anche la politica, la cronaca, l'economia, ecc.; una cosa impossibile finchè si è giovani, e quindi una preparazione universitaria non è sufficiente per individuare dove stanno le immense falle di questa legge – burla. Bisogna inoltre avere alcune conoscenze del sistema massonico. I laureati in legge quindi escono dall’università senza avere la minima conoscenza del sistema reale, ma avendo a malapena mandato a memoria i pochi libri che hanno letto per gli esami universitari.

Vediamo dove stanno queste falle, iniziando dalle meno importanti.

Per finire poi occupandoci della presa in giro più evidente, che non a caso è proprio quella contenuta nell’articolo 1 della costituzione.

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2. La prima falla. Gli organi costituzionali.

Anzitutto nella costituzione sono previste efficaci garanzie per tutti i poteri dello stato meno uno. Sono previste garanzie per il governo, parlamento, la Corte Costitutuzionale, la magistratura, ma non per i servizi segreti che, come abbiamo spiegato in un articolo precedente, sono l’organo dello stato più potente e il più pericoloso. Quindi i servizi segreti possono agire fuori da coperture costituzionali.

Ciò ha una duplice valenza a mio parere, una giuridica e una psicologica.

Dal punto di vista giuridico infatti questa mancanza consente ai servizi di operare nell’illegalità.

Dal punto di vista psicologico, invece, tale omissione fa sembrare i servizi segreti quasi una sorta di organo secondario che svolge ruoli di secondo piano per il funzionamento della Repubblica; si dà al lettore, allo studioso di legge, e all’operatore del diritto in genere, l’impressione che essi non siano in fondo così importanti; allo stesso tempo ci si assicura che nessuno studente apporfondirà mai la figura dei servizi dal punto di vista giuridico, cosicchè ogni laureato esce dall’università con un’idea solo immaginaria e fantastica di questo organo dello stato, quasi come fosse inesistente, da relegare nelle letture romanzesche dell’estate o dei film di James Bond, e non uno dei poteri più importanti del nostro stato, con un numero di dipendenti da far impressione a una qualsiasi altra amministrazione pubblica.

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3. La seconda falla. Il sistema dei referendum.

Un'altra mancanza gravissima è quella del referendum propositivo. Il referendum, che è un istituto importantissimo per la sovranità popolare, può solo abrogare leggi esistenti, ma non proporle.

Il che, tradotto in parole povere significa che se con un referendum è stata abrogata una legge, il parlamento può riproporla tale e quale, oppure con poche varianti, solo per prendere in giro i cittadini a fingere di adeguarsi alla volontà popolare. Una presa in giro bella e buona.

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4. La terza falla: la Corte costituzionale.

Un’altra immensa presa in giro è il funzionamento della Corte Costituzionale. Tale organo dovrebbe garantire che le leggi siano conformi alla Costituzione, annullando le leggi ingiuste.

Il problema è che il cittadino non può ricorrere direttamente contro le leggi ingiuste. E questo potere non ce l’hanno neanche i partiti o le associazioni di categoria.

Per poter arrivare ad una dichiarazione di incostituzionalità di una legge infatti è previsto un complesso sistema per cui bisogna dapprima che sia instaurato un processo (civile o penale); dopodiché occorre fare una richiesta al giudice che presiede il processo in uestione (che non è detto che la accolga). In gergo tecnico questo sistema si chiama “giudizio di rilevanza costituzionale effettuato dal giudice a quo”; in gergo atecnico e popolare potremmo definirlo “sistema per paralizzare la giustizia costituzionale”.

Ne consegue che è impossibile impugnare le leggi più ingiuste, per due motivi:

1) o perché per qualche motivo giuridico non è possibile materialmente instaurare il processo (ad esempio: non è possibile impugnare le leggi che prevedono gli stipendi e le pensioni dei parlamentari; non è possibile impugnare le leggi elettorali; non è possibile impugnare le leggi con cui la Banca d’italia è stata di fatto privatizzata);

2) o perché – anche quando le legge è teoricamente impugnabile - il cittadino non ha nessuna voglia di instaurare un processo per poi andare davanti alla Corte Costituzionale. Ad esempio; ipotizziamo che un cittadino voglia impugnare l’assurda legge che prevede che ogni professionista debba versare allo stato il 99 per cento del reddito dell’anno futuro, per incassi ancora non percepiti; in tal caso bisogna dapprima rifiutarsi di pagare (quindi commettere un illecito); poi occorre aspettare di ricevere la cartella esattoriale da parte dell’agenzia delle entrate con le relative multe e sovrattasse; e solo dopo queste due mosse si poi impugnare la cartella, peraltro senza nessuna certezza di vincere la causa. Se invece si volesse impugnare l’assurda legge sul falso in bilancio prevista dagli articoli 2621 e ss. Cc. (legge chiaramente incostituzionale perché rende di fatto non punibile questo reato, con la conseguenza che chi ruba una mela in un supermercato rischia diversi anni di galera, mentre chi ruba qualche milione di euro da una grande azienda non rischia quasi nulla), la cosa diventa praticamente impossibile, perché prima commettere il reato, poi occorre aspettare di essere processati per quel reato, e che in tale processo colui che impugna sia parte in causa. Una follia!

A tutto ciò occorre aggiungere i rilevanti costi di un giudizio davanti alla Corte, tali da scoraggiare qualcunque cittadino con un reddito medio.

La conseguenza è che la Corte Costituzionale si occupa in genere della costituzionalità delle leggi più stupide, ma i cittadini sono impotenti di fronte ai fatti più gravi.

E il risultato finale è che la Corte Costituzionale sostanzialmente ha le mani completamente legate contro le leggi più ingiuste e più gravamente lesive dei diritti del cittadino.

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5. La quarta falla: i valori massonici introdotti dalla Costituzione.

Ci sono poi altre lacune molto gravi come quella relativa alla possibilità per lo stato di espropriare beni dei cittadini senza corrispondere il valore di mercato.

Ma l’aspetto più grave della nostra Costituzione, e allo stesso tempo anche quello più difficile da percepire, è relativa ai valori tutelati dalla Costituzione.

Ci raccontano sempre che la Costituzione tutela la persona umana. Ma è falso, perché in realtà a ben guardare essa mortifica la persona umana relegandola a poco più che uno schiavo.

Vediamo perché.

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6. Il cosiddetto diritto al lavoro.

Il perché è in realtà sotto gli occhi di tutti, messo in modo plateale, bene evidenziato già nell’articolo 1 della Costituzione, ove è detto che: “la repubblica italiana è fondata sul lavoro”.

Nesuno si sofferma mai a riflettere sull’assurdità logica, giuridica, e filosofica, di questa norma.

Cosa significa che una repubblica è fondata sul lavoro? Nulla.

Giuridicamente una repubblica si fonda su tante cose. Sulla legalità. Sulla giustizia. Sull’equilibrio dei diritti. Sul rispetto delle leggi. Sull’equilibrio tra poteri dello stato.

Ma non si fonda, né dobrebbe fondarsi, sul lavoro. Non a caso credo che il nostro sia l’unico caso al mondo di una Costituzione che abbia messo il lavoro all’articolo 1, tra i fondamenti della Repubblica. Non a caso neanche repubbliche dittatoriali come la Cina o la Russia contengono una disposizione tanto demenziale.

L’idea di uno stato fondato sul lavoro è infatti una sciocchezza per vari motivi.

Prima di tutto perché ciò presuppone che il giorno che venga trovato un modo per far avere a tutti, gratuitamente, cibo e un tetto, e la gente fosse dispensata dal lavorare, lo stato dovrebbe crollare. Il che ovviamente è giuridicamente un non senso.

Quindi il primo dei presupposti errati di questa norma è proprio quello giuridico.

In secondo luogo perché se la repubblica fosse fondata sul lavoro, ne deriverebbe che i soggetti peggiori della società sarebbero i preti, i monaci e le suore di clausura, il Papa, il Dalai Lama, gli asceti, coloro che vivono di rendita, chi si dedica solo al volontariato, i politici (la maggior parte dei quali non ha mai lavorato in vita sua) ecc.

L’articolo 1 della nostra Costituzione si apre insomma con un concetto assurdo, ma straordinariamente nessuno ne ha rilevato il non senso. Anzi, autori come Mortati (il costituzionalista più famoso) hanno addirittura plaudito a questo articolo.

La nostra Costituzione poi prosegue con altri articoli dedicati al lavoro, e tutti inevitabilmente basati su presupposti teorici sbagliati.

Il lavoro infatti è considerato un diritto.

Ma riflettendoci bene, il lavoro non è un diritto.

Il lavoro è – o dovrebbe essere - una libera scelta per esplicare la propria personalità.

Il lavoro è un dovere per coloro che non hanno abbastanza denaro per vivere.

Il lavoro è poi una scelta di vita, in quanto dovrebbe essere l’espressione della personalità del soggetto.

Chi ama dipingere vivrà di pittura; chi ama la giustizia cercherà di fare il giudice o l’avvocato; chi ama i soldi cercherà di lavorare in banca e così via. Ma ben possono esserci scelte alternative altrettanto nobili. Basti ricordare che le più grandi religioni del mondo si basano sulla figura dei loro fondatori, che non erano certamente lavoratori e che i primi discepoli di queste persone tutto erano tranne che lavoratori. Cristo non era un lavoratore e i anche i discepoli non erano tali ; o meglio, lo erano proprio finchè non hanno incontrato Cristo.

La stessa cosa vale per Budda e i suoi discepoli che erano dei mendicanti, e tutt’oggi i monaci buddisti vivono sempre di carità.

Una persona che accudisce i propri figli e fa vita solo casalinga non fa una scelta meno nobile di un dipendente delle poste, o di un funzionario di banca, o di un magistrato o un avvocato (che spesso passa la vita a dirimere questioni condominiali e cause assicurative, cioè occupandosi di cose infinitamente meno nobili dell’educazione di un figlio).

Ricordiamo poi che la maggior parte dei politici non ha mai lavorato in vita sua. D’Alema e Bertinotti, che difendono i diritti dei lavoratori, non hanno mai lavorato né hanno mai creato veramente lavoro (al di fuori di quello delle cooperative rosse che serviva e serve per mantenere i partiti di sinistra).

Quindi il concetto del lavoro come diritto, e come fondamento della Repubblica, non sta in piedi né filosoficamente né giuridicamente, né dal punto di vista logico.

E’ una delle balle giuridiche più colossali che ci abbiano mai raccontato.

A questo punto occorre capire perché al lavoro è stata data un’importanza così grande, introducendo nella Costituzione dei concetti falsi e che non hanno alcune attinenza con la realtà.

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7. L’effettivo stato di cose.

Il reale significato delle norme sul lavoro previste dalla nostra Costituzione possono essere capite se si conosce il meccanismo effettivo con cui il nostro sistema massonico funziona.

Il sistema massonico funziona, effettivamente sul lavoro.

Il lavoro è infatti il grosso problema della società attuale. Se voi chiedete a qualcuno qual è la più grande preoccupazione oggi, in Europa, vi diranno: il lavoro. Non c’è lavoro.

Cosa promette un politico in cambio di voti? Un lavoro.

Perché la mafia al sud è tenuta in considerazione più dello stato? Perché dà lavoro.

Perché la maggior parte delle persone, oggi, è spinta ad entrare in massoneria? Per cercare lavoro o per aumentare quello che ha.

Se non ti allinei alle direttive del sistema qual è la punizione più immediata che subisci? La perdita del lavoro.

Perché un magistrato copre un omicidio, un poliziotto non indaga, un dipendente pubblico commette una scorrettezza, un giornalista non pubblica una notizia importante? Perché altrimenti perdono il lavoro.

Perché si danno le mazzette per avere gli appalti? Perché altrimenti l’appalto non ti viene assegnato (ovverosia non hai lavoro).

Perché la maggior parte della gente non sa cosa è il signoraggio, cosa sono le scie chimiche, cos’è la massoneria? Perché la TV non informa su questo, per informarsi da soli ci vuole troppo tempo, e la gente non ha tempo perché “deve lavorare”.

In altre parole, il lavoro, con i suoi perversi meccanismi per il suo mantenimento, è lo strumento che viene usato dai poteri occulti e dalla politica per poter piegare i cittadini.

In tal senso, allora, l’articolo 1 è perfettamente coerente col sistema attuale e allora acquista un senso. La repubblica (massonica) si fonda sul lavoro.

In altre parole l’articolo 1 dovrebbe più correttamente essere letto in questo modo:

L’Italia è una repubblica massonica, fondata sul lavoro, e il potere massonico, per mantenersi, ja bisogno di gente che sgobbi 12 ore al giorno senza mai alzare la testa per pensare, altrimenti capirebbe l’inganno in cui la teniamo”.

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8. Effetti della normativa a tutela dei lavoratori.

A questo stato di cose si sono aggiunte le leggi che proteggono il lavoratore a scapito del datore di lavoro.

Queste leggi sono l’attuazione dell’articolo 4 della Costituzione, che dice espressamente che “la repubblica riconose a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che favoriscono il loro diritto”.

Il risultato delle leggi che hanno promosso la condizioni che favoriscono i diritti dei lavoratori è sotto gli occhi di tutti: l’impossibilità per il lavoratore di licenziare in tronco il lavoratore sgradito (anche se ha rubato, se è un nullafacente, ecc.), nonché la nostra demenziale politica fiscale, che ci fa pagare tasse anche per l’aria che respiriamo, hanno prodotto lavoro in nero, stipendi ridicoli, e lo sfruttamento sistematico di intere categorie di lavoratori da parte dei datori di lavoro.

Questa normativa ha raggiunto il risultato esattamente contrario a quello programmato dall’articolo 4; infatti danneggia il lavoratore, perché distorce il rapporto di forza tra lavoratori e datori di lavoro. Mi spiego.

Il rapporto di lavoro dovrebbe essere basato sulla parità delle parti. Io lavoratore ho bisogno di lavorare per vivere; ma anche tu, datore di lavoro, hai bisogno del lavoratore altrimenti la tua azienda non funziona.

Il sistema di leggi che riguardano il mondo del lavoro invece, tassando dissennatamente gli imprenditori, facendo mancare il lavoro ovunque grazie alla crisi, e impedendo il licenziamento arbitrario, ha prodotto come risultato un sistema in cui la gente va a mendicare il lavoro da datori di lavoro che il più delle volte lo concedono come se fosse un favore; favore di cui i lavoratori devono ringraziare, spesso facendosi umiliare pur di non perdere il lavoro, subendo ricatti sessuali e non, ecc.

La corruzione nei concorsi pubblici, volta a selezionare non i migliori, ma i più corrotti e i più raccomandati in tutti i settori della vita pubblica, nella magistratura, in polizia, negli enti pubblici, ecc., ha portato come ulteriore conseguenza una classe di lavotori demotivata; la maggior parte di essi infatti non hanno scelto il lavoro in base alle loro capacità, ma in base ai posti che ha reso dosponibile il sistema.

Il risultato di questa politica del lavoro durata nei decenni è la perdita di dignità di tutte le categorie di lavoratori, anche di quelle dirigenziali. Ovverosia:

- la maggior parte dei lavoratori fa lavori che non sono adatti a loro;

- la maggior parte dei lavoratori accetta di essere sottopagata;

- la maggior parte dei lavoratori pur di lavorare accetta anche umiliazioni e trattamenti disumani;

- spesso si sente dire “non ho lavoro, quindi non ho dignità”; i valori massonici del lavoro infatti hanno instillato nella gente l’idea che un disoccupato non abbia dignità: a ciò contribuisce anche il demenziale detto, accettato da tutti, che “il lavoro nobilita l’uomo”; brocardo che non so chi l’abbia inventato, ma certamente doveva essere un imbecille.

- poliziotti, carabinieri, magistrati, fanno il loro lavoro non per missione di vita, come dovrebbe essere, ma dando la prevalenza allo stupendio, ai problemi di mobilità, di avanzamento di carriera, ecc.

- i datori di lavoro sono costretti dalla dissennata legislazione italiana ad assumere lavoratori in nero, sottopagarli, ecc.

- Nella massa delle persone si instillano concetti distorti; ad esempio non è raro sentir lodare una persona con la frase “è un gran lavoratore, lavora tutti i giorni anche dodici ore al giorno” come se questo fosse un pregio. E ci si dimentica che chi lavora dodici ore al giorno non ha tempo per i figli, per riflettere, per evolvere. Anche Pacciani, infatti, per dare di sé un’immagine positiva, al processo sul mostro di Firenze disse che era “un gran lavoratore”.

Tutto questo sistema fa si che il cittadino sia un docile e remissivo strumento del sistema in cui viviamo, ove la frusta è stata sostituita dallo spauracchio della perdita del lavoro.

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9. Considerazioni conclusive e di diritto comparato.

In conclusione, la nostra Costituzione è organizzata e strutturata in modo molto abile, per favorire l’illegalità e l’ingiustizia, grazie ai suoi principi e alle sue lacune, difficilmente riscontrabili ad una prima lettura.

Tra i vari partiti politici e i costituzionalisti, non mi risulta che nessuno abbia mai rilevato questo stato di cose, ad eccezione della Lega Nord, che nel 1993 aveva fatto una proposta di modifica dell’articolo 1 per cambiarlo in: L’italia è una repubblica democratica basata sul mercato e sulla solidarietà.

Ovviamente la proposta è stata contestata dalla sinistra. Perché si sa. La sinistra è a favore di lavoratori. E infatti il risultato della politica di sinistra si è visto nei pochi anni in cui abbiamo avuto governi di questo colore. Uno sfascio se possibile anche peggiore di quello di destra, perché in effetti il più acerrimo nemico dei lavoratori, in questi decenni, non è stata la destra, ma la sinistra.

In compenso, anche la costituzione del Sudafrica è più progredita della nostra, ove il diritto al lavoro non compare, ma compaiono invece la tutela della dignità umana e compare il diritto dei datori di lavoro. In altre parole l’Italia è seconda anche a stati che, culturalmente, in teoria dovrebbero essere più arretrati di noi.

L’articolo 1 della Costituzione del Sudafrica (all. 4), molto più avanti del nostro, recita: La costituzione del Sudafrica provvederà all’istituzione di uno Stato sovrano, di una comune cittadinanza sidafricana e di un sistema di governo democratico, mirante a realizzare l’uguaglianza tra uomini e donne e fra genti di tutte le razze.

Tra gli stati europei, invece, sarebbe sufficiente citare il caso della Spagna.

La Spagna ha in gran parte mutuato dal nostro sistema i principi giuridici più importanti. Tuttavia, non a caso, l’articolo 1 della Costituzione spagnola non fa cenno al lavoro e dichiara di fondarsi – molto più intelligentemente di noi – su libertà, giustizia e uguaglianza.

Infatti, mi disse un professore universitario di Lima, che aveva la docenza anche in Spagna, un certo Juan Espinoza Espinoza: in Spagna nessuno si prostituisce per avere un semplice posto da portiere o da cameriere, come da voi. Da voi occorre essere raccomandati anche per avere un lavoro a termine per sei mesi alle poste.

Non a caso da loro il lavoro è collocato all’articolo 35, che dice il contrario di quanto dice la nostra Costituzione: tutti i lavoratori spagnoli hanno il dovere di lavorare e il diritto alla libera scelta di una professione o di un mestiere.

E non a caso nel campo di concentramento di Auscwitz compariva una scritta all’entrata: arbeit macht frei. Il lavoro rende liberi.

Più o meno lo stesso concetto contenuto nell’articolo 1 della nostra Costituzione.

Il Discorso Tipico dello Schiavo

Paolo Franceschetti