Uso e abuso di un termine diventato ormai oggetto di speculazione
Precarietà: un termine che è entrato, in questi ultimi anni, in maniera dirompente nelle vita collettiva, in special modo per le nuove generazioni. Un termine che però continua a portarsi dietro innumerevoli contraddizioni nel suo significato e nel suo portato sociale. Ormai qualsiasi corrente politica è costretta a parlare dei precari, ma spesso, anzi quasi sempre, in maniera strumentale ai propri interessi elettorali o di gestione del potere territoriale.
Con certezza sappiamo solo che quella di precario, è una condizione che si è venuta delineando con forza nei mutamenti economici e produttivi che dagli anni ‘80, con l’inizio dei processi di de-industrializzazione e (con maggior forza negli anni ’90), con le privatizzazioni di massa dei grandi comparti industriali statali, hanno caratterizzato la nostra società.
Precari sono diventati i contratti di lavoro, che hanno perso quella stabilità e certezza che aveva distinto la dimensione lavorativa degli anni del dopo-guerra e del boom economico (anni ’60-’70). Ma la condizione di precario non rimane relegata al solo ambito lavorativo, le trasformazioni economiche sono così forti che investono tutti gli aspetti della vita di chi ne è soggetto. Il peggioramento delle condizioni di esistenza si verifica anche in altri importanti settori, che un tempo trovavano le loro forme di tutela e garanzia: la casa, la pensione, la sanità, la scuola. Proprio a seguito di tali cambiamenti tutto il complesso dei diritti acquisiti in un secolo di lotte e movimenti operai sembra svanire, sotto i colpi di una ristrutturazione capitalista, dai contorni ancora incerti, ma sicuramente impegnata nel liberarsi da tutti i vincoli e freni visti come ostacolo al principio di accumulazione per il profitto.
Da qui vorremmo partire per iniziare una riflessione che sappia tener conto dei cambiamenti, per provare a costruire un punto di vista dei precari rispetto alla società odierna. Non qualcosa che parli di precarietà per usarla su finalità diverse e spesso che tendono ad accentuare questa condizione. Ma un percorso di lotta che sappia dar voce ai precari e alle precarie, partendo dai loro bisogni e dalle loro necessità, arrivando ai loro desideri. Ricomporre un blocco sociale che non si ponga, né obiettivi di "retroguardia", mitizzando periodi storici che in realtà contenevano i semi di ciò che oggi viviamo, né azzerando comunque esperienze e diritti che hanno ancora una loro ragion d’essere e una concreta forza rivendicativa.
Provare a ricostruire un momento di sintesi nella galassia delle situazioni e dei contratti precari, per far emergere una soggettività capace d’imporsi contro un modello economico e sociale alienante e svilente, fatto di automi che in silenzio accettano passivamente il peggior contratto di lavoro al prezzo più basso.
Da Anna Bresciani
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