“Il 25 Aprile 1945, dopo quasi due anni di guerra civile e
di lotta antifascista, all’invito del CLN alla insurrezione, il popolo si
sollevò a fianco dei partigiani cacciando via i tedeschi e sbaragliando i
fascisti”.
Con questo ritornello, che ha anche l’avallo delle autorità
costituite ed è immortalato in festività, ricorrenze e quant’altro, si ha la
sintesi di quello che è un mito: la Resistenza del popolo italiano contro i
nazi fascisti, una “vulgata” totalmente falsa.
Non che sia falso che ci siano stati degli antifascisti,
anche dei partigiani e persone che hanno lottato contro la RSI e i tedeschi, ma
il falso è costituito dal fatto che, semmai, la minoranza di italiani che hanno
partecipato alla RSI fu più numerosa, ma sopratutto gli episodi di carattere
militare di questa “Resistenza” furono talmente scarsi da risultare
insignificanti.
Non ci fu affatto una partecipazione di popolo alla lotta
antifascista, perché il popolo la gente comune, rimase in massima parte estranea
alle diatribe politiche e in attesa di una sperata celere conclusione della
guerra. Ed infine, è falso che il 25 aprile ci fu una insurrezione che
sbaragliò e cacciò via fascisti e tedeschi, che invece, incalzati dalle truppe
Alleate, cercarono di ritirarsi verso l’estremo nord (i fascisti) oppure si
arresero e si chiusero nei loro acquartieramenti (i tedeschi).
La “verità” è sempre una sola, anche se spesso nascosta o
confusa e per uno storico, qualunque siano le sue convinzioni politiche,
sarebbe assurdo cambiarla o edulcorala per sostenere la propria ideologia o
visione politica.
Personalmente, essendo il sottoscritto nato nel 1947, sono
arrivato a queste conclusioni per ricerche, studi, analisi del periodo in
questione, come un qualsiasi storico contemporaneo che analizzi, per esempio,
la rivoluzione francese.
Avendo, in ogni caso, ascoltato tantissimi reduci o
contemporanei a quegli avvenimenti, ho trovato conferma a quanto vado ad
asserire, ma anche la convinzione che molti di costoro, in particolare persone
politicizzate, oltre al trascorre del tempo che nel ricordo sfuma o esagera i
fatti, spesso sono talmente contraddittori e quindi non in grado di dare un
quadro realistico degli avvenimenti.
Alquanto realistica ed esaustiva risulta invece la letteratura
di qualche decennio addietro, quella che non affrontava argomenti bellici o
politici, ma narrava, indirettamente o di passaggio, semplici vicende
quotidiane di vita vissuta tra il 1943 e il 1945. Incrociandoli con i fatti
conosciuti ed accertati, sono questi i racconti che ci danno il quadro reale
della situazione.
LA RESISTENZA
In tutta obiettività possiamo oggi dire che la cosiddetta
“Resistenza” è una invenzione a posteriori ed ogni serio ricercatore storico sa
benissimo che, militarmente parlando, la Resistenza fu letteralmente
inesistente.
Siamo quindi in presenza di una agiografia dove sono stati
ingigantiti o inventati fatti, episodi e altro, per descrivere una inesistente
lotta del popolo italiano contro i fascisti e il tedesco invasore. A latere,
infine, tutta una editoria e pubblicistica, soprattutto quella orientata a
sinistra, ma non solo, sfornò a getto continuo racconti, rievocazioni,
memoriali, testimonianze che, da un punto di vista storiografico lasciano molto
a desiderare.
Sulla base dell’opera dello storico ed ex partigiano Roberto
Battaglia Storia della Resistenza Italiana – Einaudi, 1953, iniziò così poco a
poco a crearsi un mito: il “mito della Resistenza” che prese forma e si impose
verso la fine degli anni ’60, primi anni ‘70, anche sulla scia delle fiction,
ovvero di una certa filmografia che fin dal primo dopoguerra si impegnò in
questo campo: tra gli altri, ricordiamo per esempio: Roma città aperta del 1945
di Roberto Rossellini; Achtung! Banditi! del 1951 di Carlo Lizzani; Le quattro
giornate di Napoli del 1962 di Nanni Loy; e soprattutto Mussolini ultimo atto,
del 1974 di Carlo Lizzani.
Così come nel film di Loy sulla presunta sollevazione di
Napoli, anche in quello sulla fine di Mussolini del Lizzani, veniva
abbondantemente travisata la realtà dei fatti e inventati episodi mai avvenuti.
Il film di Lizzani poi, non era altro che la messa in pellicola della
“vulgata”, ovvero della versione falsa e di comodo che elementi del Pci ebbero
a fornire sulla morte del Duce addebitandone oneri e onori a tal Walter
Audisio. Una “vulgata” che lo stesso regista Lizzani nel 2007, in un suo libro
di memorie, ebbe oltretutto a smentire clamorosamente (e con essa il suo stesso
film in cui Franco Nero interpretava l’“eroico” colonnello Valerio) laddove,
riportando una lettera che gli scrisse nel 1975 Sandro Pertini, questi ebbe ad
affermare: “...e poi non fu Audisio a eseguire la ‘sentenza’, ma questo non si
deve dire oggi”.
Ma anche le presunte “4 giornate di Napoli”, ci consentono
di elevare una osservazione storica: si prenda ad esempio l’episodio di
Firenze, dove nutriti gruppi di “franchi tiratori” fascisti, accolsero a
fucilate dai tetti gli invasori americani. Di questo avvenimento ne abbiamo
innumerevoli prove, testimonianze, anche statunitensi, riscontri e
documentazioni. Viceversa della immaginaria sollevazione del popolo napoletano
che caccia i nazisti, non c’è nulla, se non racconti distorti di episodi
affatto diversi che poi sono stati travisati, ed appunto la fiction filmica.
Ergo i “franchi tiratori” fascisti sono un fatto storico
acquisito, le “4 giornate di Napoli”, viceversa, appartengono alla fantasia o
alla propaganda.
Ora, storicamente, non possiamo negare che nei due anni che
stiamo prendendo in considerazione, 1943 – ’45, ci furono diversi italiani
antifascisti, che, come naturale che accada, presero ad aumentare, mano a mano
che si andava verso la sconfitta.
Del pari ci furono persone, partiti e gruppi che in qualche
modo avversarono il fascismo e i tedeschi e nel corso degli eventi molti furono
catturati, imprigionati e passati per le armi. Una seria indagine storica ci
dice però che, sostanzialmente, il cosiddetto fenomeno “partigiano”, con tanto
di partecipazione popolare, fu talmente esiguo che non se ne ha traccia sensibile
negli avvenimenti di quel tempo.
Ma ancor più insignificante è il riscontro militare di una
effettiva lotta partigiana, quello che dovrebbe caratterizzare il valore e la
portata di una vera e propria Resistenza, e che invece manca assolutamente.
Qualche imboscata, attentati nell’0mbra, occupazioni di
località sgombrate dal nemico, ripiegamenti in montagna, ecc., non possono
costituire un serio elemento per dare a questi episodi il carattere di una
resistenza armata ai “nazifascisti”.
Mancano quindi i due elementi fondamentali: azioni ed eventi
bellici significativi e partecipazione di popolo, per poter parlare di
Resistenza. Ingigantire qualche episodio e inventarne altri, con la complicità
dei partiti e della editoria embedded, può creare un mito, non descrivere la
storia.
I cosiddetti partigiani, di cui oggi se ne decantano le
gesta, furono poche migliaia in tutto e su tutto il territorio nazionale e i
renitenti alla leva che ne costituivano il grosso delle fila, erano andati in
montagna, proprio per non combattere.
Gli idealisti antifascisti, comunisti e non, erano una
presenza veramente minimale, comunque bisogna riconoscere che c’erano, e spesso
furono proprio quei pochi a pagare con la vita.
Ma parlare di “liberazione”, di sollevazioni popolari, ovvero
di Resistenza è non solo una esagerazione, ma un falso storico.
In ogni caso, questa minoranza di antifascisti “attivi”,
idealisti, renitenti o occasionali, alla macchia o clandestini nelle città,
frange dell’Esercito monarchico, ecc., non compirono alcun atto bellico di
rilievo, tranne qualche imboscata, traffici d’armi, propaganda sporadica e
taglieggiamenti di contadini per auto sostenersi.
Attentati, come quello di via Rasella, a Roma, compiuti da
cinque, sei persone, che fanno scoppiare una bomba, nascosta in un carrettino,
lo storico non può considerarli vere imprese di guerra. Li considerarono
purtroppo come atti di guerra a loro danno, con le conseguenze che sappiamo
(rappresaglia delle Ardeatine) i tedeschi.
I dirigenti e i pochi membri del CLNAI, con i loro
altisonanti nomi di “battaglia” svolazzavano nei conventi o in sicuri rifugi
delle città, riunendosi, parlando e scrivendo di lotta al fascismo e di guerra
ai nazifascisti, ma facendo poco o nulla sul piano militare. Anche qui, quindi,
abbiamo una Resistenza sulla carta.
A guerra finita si tramutarono in gesta ed imprese, quelli
che al massimo erano i loro intenti o quel poco di “trafficare” che ebbero a
compiere.
Certo, leggendo i diari, i libri e i memoriali di questi
antifascisti, sembra chissà quali gesta stessero compiendo, quali grandi
attività antifasciste stessero portando avanti, ma non è così e le cronache
storiche smentiscono o non registrano queste imprese.
Non basta un “diario”, un memoriale, un articolo, per
scrivere la storia.
Una qualche nefasta presenza la fecero sentire i GAP e le
SAP, con le azioni terroristiche in incognito e usi a colpire alle spalle,
istigati da Radio Londra. Costoro importarono in Italia metodi terroristici che
poco ci avevano appartenuto e vien da ridere che anni dopo, quegli stessi
metodi del “mordi e fuggi”, colpisci alle spalle, praticati dalla Brigate
Rosse, furono considerati “criminali” da parte del “padre della Resistenza”,
quel Sandro Pertini divenuto ossequioso presidente di una Italia liberal capitalista
e colonia americana.
Ma tornando ai Gap, anche qui stiamo parlando di poche
decine di componenti, nascosti tra la popolazione nelle grandi metropoli.
Ricapitolando: l’esiguo numero di partecipanti attivi alla
lotta contro il fascismo e soprattutto le poche e insignificanti loro gesta
militari, smentiscono la dimensione di quella che pomposamente si definisce:
Resistenza, Insurrezione, Liberazione.
Le stesse fonti partigiane, per esempio, ci dicono che a
Como, tra la sera del 25 aprile 1945, quando vi giunse indisturbato Mussolini
con i membri del suo governo e la mattina successiva vi arrivarono circa 4 mila
fascisti in armi, i membri clandestini del CLN locale ammontavano a circa 50,
ovviamente più che altro di nome che non come vera presenza attiva. E pensare
che era con questi “fantasmi” che le rinunciatarie autorità della RSI di Como:
questore, console della Milizia e prefetto repubblicani, da alcuni giorni
stavano trattando in segreto il passaggio dei poteri e il loro defilarsi.
A questo si aggiunse la scempiaggine, l’idiozia, la assoluta
mancanza di senso militare e in alcuni casi la voglia di farla finita se non il
tradimento, da parte di alcuni comandanti fascisti ivi sopraggiunti, che in
poche ore fecero squagliare come neve al sole quei 4 mila uomini armati e a
notte alta del 27 aprile firmarono una ignobile “tregua” che in realtà era una
vera e propria resa che finì per avere tragiche conseguenze per molti fascisti
oramai fatti arrendere, ma non per alcuni loro comandanti che evidentemente
avevano concordato il modo per squagliarsi.
La tanto decantata 57esima Brigata Garibaldi che alle 7 di
mattina del 27 aprile, ebbe la ventura di incappare in Mussolini e la sua
colonna comprensiva dei carri tedeschi in ritirata, mentre cercavano di
defluire verso la Valtellina, era composta da poco più di una decina circa di
partigiani. Furono le circostanze, la defezione tedesca, la strada impervia e a
fettuccia facilmente sbarrabile e controllabile dalla soprastante altura (il
“Puncet”) che consentirono a questi partigiani di fermare la colonna
motorizzata bloccata appena fuori dell’abitato di Musso.
Questa era la consistenza numerica della Resistenza almeno
che non vogliamo prendere in considerazione le adesioni a cose fatte, quelle
che videro precipitarsi ad ingrossare le fila dei CLN o delle Brigate
partigiane centinaia di “eroi dell’ultim’ora, o le grosse aliquote di
popolazione che, spariti i tedeschi e arresisi i fascisti, scesero nelle
piazze, spesso più che altro per curiosità, ma ovviamente facendo massa e
partecipando emotivamente con i “vincitori”, ecc.
La resistenza quindi fu più che altro un operare politico,
un darsi da fare e un attività minimamente militare, per conto degli Alleati e
su loro disposizioni, come dimostravano le direttive e le imposizioni di un
Promemoria di accordo fra il Comandante Supremo Alleato del teatro di
operazioni del Mediterraneo e il C.L.N.A.I del 7 dicembre 1944 firmato dal
generale Maitland Wilson, e per il CLNAI da Alfredo Pizzoni, Ferruccio Parri,
Giancarlo Paietta ed Edgardo S0gno.
Tra le forze principali che operarono in senso antifascista
dobbiamo segnalare l’Alta Finanza, per suoi interessi, attraverso il suo uomo
nel CLNAI Alfredo Pizzoni e gli esponenti industriali: i Valletta, i Falk, gli
Edison, ecc., ostili al fascismo e preoccupati dalle Leggi sulla
Socializzazione varate dal governo di Mussolini.
Nei giorni caldi della “Liberazione” al Nord, partigiani
armati furono mandati a difendere le ville dei grandi industriali ai quali poi,
a guerra finita, fu fatto il regalo, su ordine Alleato, di cancellare tutte le
Leggi da poco varate sulla Socializzazione.
Un discorso a parte andrebbe fatto per il Pci, l’unico che
poteva contare su gruppi di militanti sparsi nel territorio, il quale però
condusse una guerra civile tutta sua, finalizzata ad assecondare i desiderata
di Mosca la quale poi era in accordo con gli Alleati in virtù degli impegni di
Jalta.
Togliatti e Longo, quindi, non solo furono fedeli servitori
delle direttive di Mosca (che gli imposero la svolta “democratica” di Salerno
del 1944, del resto gradita dai dirigenti comunisti), ma anche del SOE,
l’Intelligence Britannica, che in varie località organizzò agli uomini del
partito comunista i rifugi logistici, le attrezzature e i finanziamenti.
Connubi questi che proseguirono anche nel dopoguerra, con la criminale
cessione, agli inglesi, di importanti documentazioni di interesse nazionale.
Ma Togliatti fu anche un sodale di monsignor G. B. Montini,
il futuro Papa, legato alla massoneria finanziaria statunitense, al tempo
organizzatore del servizio segreto Vaticano che per sua natura aveva uomini, o
meglio serpi, sia nella Resistenza che nella RSI.
Altro che rivoluzione comunista in Italia! Solo le destre
idiote o in malafede hanno potuto descrivere un PCI rivoluzionario dedito alla
sovversione in Italia.
LA REPPUBBLICA
SOCIALE ITALIANA
A conti fatti, la RSI ebbe una buona partecipazione di
popolo, circa 800 mila aderenti, anche se molti vi aderirono “per ufficio”,
ovvero perché trovatisi a proseguire lavori o servizi nell’Italia del Nord.
Considerando però che furono adesioni verso uno Stato che
oramai si sapeva andare verso la sconfitta, con tutte le conseguenze per i suoi
seguaci, queste adesioni non furono poche.
I fascisti, le Brigate Nere, le formazioni autonome, ecc.,
che bene o male, a differenza dei partigiani, indossavano una divisa, furono
una minoranza, ma comunque costituirono una sensibile presenza di popolo. Ma
ovviamente, anche loro, subivano da parte della popolazione un certo isolamento
(non avversione) perché considerati una presenza “pericolosa” e “fastidiosa”,
che comprometteva e “faceva proseguire la guerra”.
Tutto questo gli occupanti, gli Alleati, lo sapevano
benissimo ed ebbero a precisarlo apertamente in varie occasioni, negando anche
ai cosiddetti partigiani, privi di divisa e segni distintivi, la qualifica di
“combattenti”.
Anche una Sentenza del Tribunale Supremo Militare (n° 747
del 26.4.1954), tribunale di questa Repubblica democratica, tra l’altro
affermava:
1) I combattenti della RSI hanno diritto di essere
riconosciuti belligeranti;
2) Gli appartenenti alle formazioni partigiane non hanno
diritto a tale qualifica, perché non portavano distintivi riconoscibili a
distanza, né erano assoggettati alla legge penale militare.
POPOLO ITALIANO
La popolazione italiana, come si può riscontrare da una
infinità di memorie non di parte, ma di gente semplice che magari parla di
altre cose, di vita quotidiana, ecc., per lo più viveva nella speranza che la
guerra finisse al più presto e con essa fame, miseria e disgrazie. Essendo la
Nazione impegnata in una lotta mortale per la sua libertà e sopravvivenza, da
un punto di vista “morale”, questo agnosticismo non depone certo a favore del
nostro popolo, da sempre privo di grandi doti caratteriali, ma del resto quando
si parla di civili, di popolazione, le cose sono sempre andate in questa
maniera, seguendo le sorti della guerra: folle osannanti agli inizi o se le
cose vanno bene, folle avverse che maledicono alla fine se le cose vanno male.
È la natura umana, tanto è vero che, sempre e comunque, i
vincitori, hanno poi trovato uomini, civili e militari, pronti a cambiare
casacca, a servirli, a interpretare ruoli di governo loro assegnati e anche a
fare da spie e da boia.
È ovvio che la popolazione, con la sconfitta che pareva
inevitabile (dal 1944 si avvicinava ogni giorno sempre più) e con l’Italia
spaccata in due, Nord e Sud, dal tradimento badogliano e l’invasione in
Sicilia, aveva perso il senso reale di chi fossero i veri invasori (che erano
gli Alleati) e chi fossero i nostri alleati (i tedeschi) e tendeva a ragionare
in termini utilitaristici e di pura sopravvivenza.
L’arrivo degli Alleati nelle cosiddette località “liberate”,
di conseguenza, era accolto come la fine della guerra, delle privazioni e per
questo festeggiato.
I tedeschi erano considerati soldati corretti, ma su di essi
pesavano le loro insensate rappresaglie, non considerando ottusamente costoro
che, comunque sia, la RSI era uno Stato alleato e quindi non si dovevano
applicare con noncuranza le leggi di guerra.
I tedeschi erano temuti e si era lieti quando se ne
andavano, ma anche qui, più che altro, perché agli occhi della popolazione
rappresentavano la prosecuzione della guerra e delle privazioni. Insomma, per
il popolo, non vi era partecipazione politica, tantomeno ideologica e neppure
emotiva, né da una parte, né dall’altra.
IL 25 APPRILE
E LA “LIBERAZIONE”
Sostanzialmente, il “25 aprile” è la data della nostra
sconfitta militare, della totale occupazione del suolo italiano e la fine,
tutt’ora perdurante, di ogni nostra sovranità nazionale. Qualunque sia il
pensiero e l’ideologia di ciascuno, non si può che prendere atto di questa
realtà indiscutibile. Tutto il resto è retorica. La guerra è la soggiogazione
delle nazioni sconfitte, rapina in ogni campo, imposizione di un proprio
modello economico, culturale e politico.
E il 25 aprile 1945 l’Italia venne sconfitta e occupata dal
nemico e nemico vero, anglo americano. Chi: persona singola, gruppo o partito,
da questa occupazione ci ha guadagnato, ne ha tratto benefici in qualsiasi
modo, personale, ideale, politico o che altro, può esserne soddisfatto, ma la
sostanza dell’avvenimento non cambia: il 25 aprile l’Italia fu definitivamente
occupata dallo straniero. Punto.
Ma a proposito di “liberazione”, si sappia che a Milano il
25 aprile - data fatta passare alla storia come giorno dell’insurrezione
popolare proclamata dal CLN, ma in realtà non eseguita, tranne uno sciopero dei
mezzi in giornata e gli uffici che presero a svuotarsi nel sentore di imminenti
avvenimenti decisivi - non accadde proprio nulla e i fascisti restarono padroni
della città fino a notte alta, quando intorno alle 5 del mattino lasciarono la
città, armati e indisturbati, da Piazza S. Sepolcro, via Dante e Corso
Sempione, per incamminarsi verso Como.
Solo dopo quell’ora, nella metropoli, rimasta priva di
fascisti, le “nuove” autorità della Resistenza, uscite dai loro sicuri rifugi
per ricoprire le cariche che si erano assegnati, ma privi di uomini, dovettero
far occupare il palazzo del Governo, ovvero la Prefettura di Corso Monforte
lasciata da Mussolini, da uomini della Guardia di Finanza del col. Alfredo
Malgeri. Una G.d.F. da sempre con i piedi in due staffe e ora, a vincitori
sicuri, passata ufficialmente dalla parte della Resistenza.
Libri di storia (falsa) e riviste di storia (altrettanto
falsa), mostrano sovente foto di gruppi di partigiani e di civili, armi alla
mano, che sembrano intenti a formare barricate o studiare azioni militari.
Trattasi quasi sempre di falsi, di pose realizzate da appositi Studi a guerra
finita, oppure messe in scena, ben lontane da teatri bellici, atte a mostrare
imminenti azioni.
Ma non è raro neppure il caso di alcuni nominativi di
fucilati dai tedeschi, in alcune rappresaglie, che vengono dati come “martiri
antifascisti, quando invece, addirittura, trattasi di aderenti alla RSI o suo
personale che vennero insensatamente rastrellati dai tedeschi infuriati per
qualche attentato e passati per le armi.
Certo, storicamente sono esempi poco importanti, ma sono
significativi per dimostrare come, di tante tragedie ed eccidi si sono fatte
generalizzazioni e vi sono state poste etichette di una presunta “lotta
antifascista”.
Il 27 aprile poi, scesi precedentemente dalle montagne
grazie all’arrivo delle truppe Alleate o per il rifluire dei presidi tedeschi e
fascisti, arrivarono a Milano le “famose” divisioni partigiane, quelle
dell’Oltrepò pavese e più avanti ancora le “famose” divisioni Garibaldi,
Matteotti, di Moscatelli della Valsesia, ecc., spesso contrassegnate da cervellotiche
e altisonanti numerazioni, ma che in realtà tranne gli “arruolamenti
dell’ultim’ora”, erano sempre state costituite da pochissimi elementi.
Arrivarono tutti con armi, fazzoletti e belle divise nuove fiammanti fornite
dagli americani, a dimostrazione che mai erano state impegnate in veri
combattimenti.
A secondo delle varie località del Nord, fu solo nel
pomeriggio del 25 aprile, ma più che altro il 26 e 27 aprile, con i tedeschi
che oramai avevano smesso di combattere, anzi si erano arresi agli Alleati e si
ritiravano nei loro acquartieramenti e i fascisti che lasciavano i presidi e si
ritiravano verso Como e la Valtellina, che si ebbero arruolamenti “tranquilli”
e festanti nelle Brigate partigiane e nei CLN locali. Allora sì che il numero
“dei guerriglieri” ebbe a crescere con adesioni che in futuro fruttarono spesso
una pensioncina a questi “eroi” dell’ultim’ora.
Sui pochi fascisti rimasti isolati, su quelli che si
arresero e così via, si abbatté la furia omicida e vendicativa di tutti
costoro.
Gli Alleati avevano per il fronte italiano la direttiva di
procedere con lentezza, altrimenti avrebbero sfondato il “ventre molle”
dell’Asse e sarebbero facilmente penetrati alle spalle del Reich mettendo fine
alla guerra. Ma questo non era contemplato, in quanto in base agli accordi di
Jalta, l’Europa doveva essere divisa in due zone di influenza, Est - Ovest e
quindi bisognava attendere che i sovietici superassero il fronte est e
invadessero l’Europa prendendo possesso delle zone a loro assegnate. Comunque
sia, mano a mano che le truppe Alleate occupavano le località del Nord e
imponevano il loro governo AMG, le loro direttive impositive emanate dal PWB,
ecc., ebbero un duplice comportamento: in alcuni casi lasciarono consumare le
stragi dei fascisti e presunti tali e anzi le aizzarono; in altri casi invece
le fermarono specialmente se c’erano ufficiali e sotto ufficiali della oramai
ex RSI da salvare con il nascosto fine di utilizzare poi questo personale per i
loro interessi di occupanti.
E quei fascisti che ebbero salva la vita, grazie
all’intervento Alleato, spesso furono quelli che poi fecero una fine peggiore,
quella di diventare, in nome di uno strumentale e specioso anticomunismo, servi
sciocchi degli statunitensi.
La storia del neofascismo del dopoguerra, inizia proprio in
quei momenti, dove il dirigente in Italia dell’Oss James Jesus Angleton fu
abilissimo nel mettersi in tasca questi oramai ex fascisti. Le Stay behind, le
Gladio, il filo atlantismo, la strategia della tensione degli anni ’60, ne
furono la logica conseguenza.
Un ultima osservazione a proposito di liberazione e
liberatori.
Fino a quando, negli ultimi decenni, sono esistiti comunisti
o presunti tali - oggi scomparsi, collassati con la “casa madre” URSS o con la
stessa ideologia marxista disintegrata dal modernismo, dal moderno capitalismo
finanziario e dalle ideologie radicali - abbiamo visto come costoro sono sempre
stati caratterizzati da una grande contraddizione: da un lato consideravano,
qui da noi, gli anglo americani dei “liberatori” e di essi erano stati fedeli
sudditi. Dall’altro li vedevano, e qui dobbiamo dire giustamente, come
imperialisti, aggressori della Corea, oppressori dell’America Latina, invasori
del Vietnam, padroni delle Multinazionali e così via: USA = Colonialismo, massacri,
bombardamenti, Cia, sfruttamento capitalista.
Ebbene: non si erano accorti, questi “comunisti
rivoluzionari”, che gli americani non erano altro che gli stessi loro alleati,
loro festeggiati, della “Liberazione” in Italia ?
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