venerdì 13 gennaio 2012

Giornata Internazionale della Solidarietà con la Palestina


di Stephen Lendman

- per i Palestinesi solo un altro giorno di ordinaria follia -


Istituita dall’ONU nel 1977, la Giornata Internazionale della Solidarietà con il Popolo Palestinese viene celebrata il 29 novembre e commemora la data in cui, nel 1947, venne adottata la Risoluzione ONU 181 malgrado l’opposizione dei Palestinesi.

La Risoluzione è nota con il nome di Piano di Spartizione della Palestina. Consegnava il 56% della Palestina storica agli ebrei (che costituivano un terzo della popolazione),e il 42% ai palestinesi.

Gerusalemme venne dichiarata Città Internazionale e affidata ad un Consiglio di Amministrazione Fiduciario dell’ONU. Ufficialmente lo è tuttora. L’area comprende l’intera Gerusalemme, Betlemme, e Beit Sahour – in modo da includere tutti i luoghi sacri cristiani.

La Risoluzione 181 prevedeva anche la nascita di uno Stato Arabo Indipendente. La data per la dichiarazione ufficiale di tale stato era stata fissata per il 1° ottobre del 1948. Il testo sollecitava “tutti i Governi e Popoli ad astenersi da qualsiasi azione che possa ostacolare o ritardare la realizzazione di queste raccomandazioni”. Al Consiglio di Sicurezza veniva affidato il compito di “adottare le misure necessarie affinché il piano fosse implementato come previsto”. Il piano doveva garantire “una pace giusta e duratura …”.

Ma ciò che avvenne in seguito è noto a tutti. Prima che si potesse attuare il piano dell’ONU (comunque contro la volontà dei palestinesi), i sionisti avviarono la loro “guerra per l’indipendenza” e dichiararono l’esistenza dello stato di Israele nel maggio del 1948.

A distanza di molti decenni, la pace rimane una chimera e la Palestina è sempre occupata.

Le potenze mondiali non sono mai intervenute e oltre 8 milioni di palestinesi rimangono in attesa di giustizia, compresi i profughi e i palestinesi della diaspora.

Privo di qualsiasi potere di influenza, il Comitato per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese si riunisce ogni anno nella sede dell’Onu per osservare la Giornata della Solidarietà Internazionale. L’ipocrisia rituale si sostituisce a politiche efficaci per la Liberazione.

I palestinesi meritano impegno per la giustizia negata, non cerimonie. Un giorno, forse, i decenni di pazienza saranno ricompensati.

Il 29 novembre, i popoli ovunque nel mondo hanno espresso la loro solidarietà con la Palestina. In Gaza i membri dell’International Solidarity Movement di Beit Hanoun e altri gruppi palestinesi si sono messi in marcia verso le zone vietate da Israele per liberare migliaia di palloncini con bandiere palestinesi.

I palloncini si sono librati nel cielo, oltrepassando le frontiere che imprigionano la popolazione di Gaza. Riflettevano lo spirito del popolo che si strugge per la libertà. Un attivista palestinese ha fatto appello alle genti del mondo chiedendo di «isolare Israele nella comunità internazionale e di esercitare pressione in tutte le sue forme finché l’occupazione della Palestina avrà termine».

Radhika Sainath del Solidarity Movement dichiarava: «Oggi l’intero mondo libero è contrario all’occupazione, agli insediamenti e al muro di separazione. Continueremo la nostra opera in Palestina, con gli attivisti palestinesi, finché riusciremo a portare Libertà e Giustizia in Palestina».

Press TV riportava sui movimenti di attivismo pro-palestinese nel mondo, che ovunque bruciavano bandiere israeliane, simboli di repressione. Gli abitanti di Gaza lanciavano le bandiere palestinesi al di là delle barriere costituite dal recinto elettrico che delimita la zona cuscinetto e impedisce ai palestinesi di accedere al 30% delle terre coltivabili.

E Israele come ha “celebrato” la Giornata?

In risposta alle manifestazioni del 29 Novembre, il giorno dopo Israele ha inviato carri armati, bulldozer e veicoli militari in Gaza. I soldati hanno aperto il fuoco dalle torrette di osservazione. L’artiglieria dei carri armati ha colpito le case a est di Khan Younis.

Le terre coltivate di Jahor al-Dik e Maqbola sono state distrutte. Gli elicotteri da guerra circolavano di continuo sull’area. Gaza rimane zona di guerra. Uomini, donne e bambini vengono colpiti costantemente.

E cosa faceva l’ONU? Il solito.

Il 28 novembre l’ONU accusava la Siria di “gravi violazioni dei diritti umani”. Il fatto che in Siria le uccisioni e altre atrocità sono opera di mercenari e membri di Al Qaeda reclutati dalle potenze occidentali non veniva specificato.

Né l’Onu condannava Israele per i quotidiani crimini contro l’umanità commessi contro i Palestinesi.

Il Segretario generale Ban Ki-moon funge unicamente da strumento dell’Impero. Dal suo ordine del giorno, gli obiettivi di pace e giustizia sono completamente assenti. Di conseguenza, i Palestinesi, i Libici, gli Iracheni, gli Afgani, i Bahreini, i Yemeniti, gli Egiziani, i Sauditi, i Somali, e altri milioni di esseri umani soffrono in modo atroce.

Ban Ki-moon non ha pronunciato parola quando a metà novembre Israele ha tagliato completamente la corrente elettrica di Gaza, «come al solito abusando del falso alibi della sicurezza», dichiarava il ministro per l’energia palestinese, Kanaan Ubeid.

L’elettricità è stata tagliata per 9 giorni interi.

Il 26 novembre Israele dichiarava che l’erogazione di acqua ed elettricità cesserà su base permanente se Fatah e Hamas formeranno un governo unitario come annunciato.

Il 29 novembre, data della Giornata della Solidarietà, il Centro Palestinese per i Diritti Umani condannava Israele per avere impedito ad una squadra di tecnici di ripristinare una rete elettrica di Gaza. Ad oggi non è stata riattivata.

La crisi elettrica genera gravi condizioni di disagio in Gaza, soprattutto ora che il freddo si fa sentire. Attualmente Gaza riceve solo un terzo del fabbisogno elettrico, in minima parte generato in Gaza e in Egitto e per il resto proveniente da Israele in misura del tutto inadeguata.

La Società per la Distribuzione Elettrica di Gaza gestisce la situazione come può per mezzo di un piano di emergenza che comporta la mancanza di corrente elettrica per quasi metà della giornata. La malignità di Israele sta esacerbando le condizioni di grave disagio, violando le leggi internazionali.

Ufficialmente i palestinesi sono persone protette, ma Israele li tratta come criminali. I capi di stato delle potenze mondiali non intervengono, né tanto meno le autorità dell’ONU.

Ma l’elenco dei diritti violati da Israele è lungo.

Il Centro Hamoked per la Difesa dell’Individuo ha pubblicato sul proprio sito l’elenco degli abusi perpetrati da Israele su base regolare, tra cui:

1 – Il Muro di Separazione che accerchia le aree abitate dai palestinesi nelle zone in cui i coloni si sono insediati illegalmente. Il muro viola le leggi internazionali, sconvolge la vita dei palestinesi sui propri territori, ostruisce i diritti al culto religioso negando l’accesso ai luoghi sacri, rappresenta una punizione collettiva dei civili che Israele come entità di occupazione avrebbe l’obbligo di proteggere.

2 – I corpi dei palestinesi uccisi non vengono restituiti ai familiari, eccetto in casi sporadici. Dal 1988 la Hamoked ha fornito rappresentanza a centinaia di famiglie addolorate.

3 – Viene negata l’unificazione delle famiglie: Israele dichiara che i palestinesi non ne abbiano diritto e solo in casi rari “concede la riunificazione come atto di pura benevolenza”. Di conseguenza, la separazione forzata colpisce “decine di migliaia” di palestinesi di Gaza, cui viene impedito di raggiungere le famiglie nei territori palestinesi .

4 – Revoca della residenza. Dal 1967 a oggi Israele ha revocato la residenza a centinaia di migliaia di palestinesi residenti nei territori a loro ufficialmente assegnati. In altre parole, i palestinesi che viaggiano all’estero devono depositare la propria carta di identità al momento del passaggio alle frontiere (sempre controllate dai militari israeliani, anche quelle non confinanti con Israele) e ricevono in cambio una “exit card” valida per 3 anni. Coloro che non ritornano entro tale scadenza, vengono dichiarati “emigrati all’estero”. La residenza viene revocata definitivamente, ad eccezione di casi isolati. Tale revoca viola i diritti internazionali, compresa la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, secondo cui «ognuno ha il diritto di partire dal proprio paese e da qualsiasi altro, conservando il diritto di ritornare [articolo 13(2)]».

5 – Residenza in Gerusalemme: da quando nel 1967 Israele ha illegalmente annesso Gerusalemme Est (ufficialmente riservata ai palestinesi), i residenti palestinesi subiscono varie forme di oppressione, comprese «barriere invisibili che incidono sulla vita quotidiana».

Israele ignora ogni legge internazionale con impunità.

I palestinesi non hanno diritti di alcun tipo. La loro vita è un inferno. Sanno di doversi aspettare qualunque sciagura da un momento all’altro, compreso lo sfratto forzato o la demolizione delle case per fare spazio a nuovi insediamenti di coloni israeliani.

La Hamoked assiste di continuo i palestinesi nel denunciare casi di abuso, anche presso la Corte Suprema. Ma perfino quando le sentenze sono favorevoli ai palestinesi, le disposizioni del tribunale non vengono applicate. Le autorità israeliane semplicemente ostruiscono o rimandano all’infinito l’esecuzione degli ordini del tribunale, provocando gravi sofferenze ai palestinesi.

Abusi terribili contro i palestinesi sono all’ordine del giorno.

Vediamo cosa è successo nella sola giornata del 30 novembre.

- I bulldozer dell’esercito israeliano hanno completamente sradicato ogni coltivazione del villaggio agricolo di Mas-ha, distruggendo anche gli allevamenti degli animali.

- I soldati hanno aperto il fuoco su un centro abitato vicino a Gaza City.

- Altrove nella Palestina occupata, gli attivisti di “Peace Now” sono stati presi di mira con minacce di morte e di distruzione mediante esplosivi della sede della loro associazione.Atti come questi sono in genere opera dei coloni estremisti israeliani. Ma le autorità non fanno niente per fermarli.

- Sempre il 30 novembre, i soldati israeliani hanno arrestato tre giovani di Beit Ummar, in territorio palestinese. I soldati hanno fatto irruzione violenta nelle loro abitazioni. Nei giorni precedenti, altri 16 residenti del villaggio erano stati arrestati e messi in carcere. 13 di loro erano minorenni. Gli israeliani trattano i bambini e minorenni alla stregua di adulti.

- Per la terza volta consecutiva, il 30 novembre la detenzione di Nayef Rajoub, parlamentare di Hamas, è stata estesa per altri 6 mesi.

I palestinesi possono essere detenuti all’infinito senza formali accuse, per presunte ragioni di sicurezza. Si tratta di una violazione non solo dei diritti internazionali, ma anche delle leggi israeliane.

Dal 1989, Rajoub è stato arrestato numerose volte, malgrado non abbia commesso crimini di alcun tipo.

Lo stesso vale per tanti palestinesi, la cui unica colpa è di volere vivere come cittadini liberi nella propria Terra.

Ma Israele chiama questo “terrorismo”.

- Sempre nella giornata del 30 novembre, Israele ha intercettato e arrestato 10 pescatori di Gaza. In seguito i pescatori sono stati rilasciati, ma le barche, i loro mezzi di sussistenza, sono state sequestrate.

Come sappiamo, gli israeliani hanno posto limiti estremi alla pesca nelle acque di Gaza. I pescatori spesso tornano con la barca vuota, o anche danneggiata dall’artiglieria delle navi da guerra israeliane.

In luglio di quest’anno, la Commissione Internazionale della Croce Rossa ha dichiarato che l’industria della pesca di Gaza è in pratica scomparsa. Migliaia di cittadini in Gaza dipendono dalla pesca – ma Israele li taglia fuori dalla fonte di sussistenza, restringendo l’area della pesca a 3 kilometri dalle coste di Gaza, ormai priva di pesce. Le barche che si avvicinano al limite vengono intercettate dalle navi da guerra del regime, che spesso aprono il fuoco. Oppure la marina militare usa i potenti cannoni spara-acqua che mandano i pescherecci quasi a fondo. Tutto questo è illegale, compreso il limite dell’area di pesca. Ma nessuno interviene – tanto meno l’ONU.

- Sempre il 30 novembre, al parlamentare palestinese Qays Abdul-Karim è stato vietato di uscire dai territori palestinesi per partecipare alla 27esima sessione del Parlamento dell’America Latina in compagnia di una delegazione di altri parlamentari. Alla frontiera con la Giordania era stato fermato e interrogato da un ufficiale israeliano sul motivo del suo viaggio. Rispose che era diretto a Panama per trovare supporto alla fine dell’occupazione israeliana dei territori assegnati ai Palestinesi. L’espatrio gli venne revocato. Per ora non è stato arrestato ma, come spesso succede, c’è da aspettarsi un raid notturno per prelevarlo da un momento all’altro.

Gli arresti notturni avvengono con penosa regolarità.

La vita nella Palestina occupata è un inferno. Israele opprime i palestinesi per il semplice motivo di essere musulmani e non ebrei. Anche i cittadini israeliani arabi sono sempre a rischio. Su base quotidiana affrontano la discriminazione politica, sociale, economica e culturale.

All’inizio di novembre, la sessione sud-africana del Russel Tribunal sulla Palestina accusava Israele di sottoporre i palestinesi a condizioni di apartheid istituzionalizzata per come viene definita dal diritto internazionale.

Le politiche israeliane sono caratterizzate da discriminazione di stampo razzista. L’apartheid è un crimine internazionale. I testimoni comparsi davanti al Russel Tribunal hanno fornito testimonianze e prove di un’inequivocabile regime di apartheid impoInserisci linksto su chiunque non sia ebreo.

Le politiche ufficiali di Israele seguono criteri di discriminazione, repressione, isolamento e altre forme di abuso. Nonostante la persecuzione sia un crimine contro l’umanità, Israele la pratica con impunità.

Il Russel Tribunal e altre organizzazioni sono decisi a mettere fine ad ogni forma di ingiustizia perpetrata da Israele. Niente al di sotto sotto della piena giustizia è accettabile e tollerabile.

http://civiumlibertas.blogspot.com/2011/12/lautore-ebreo-anti-sionista-stephen.html

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