lunedì 30 gennaio 2012

Finanza e politica bancaria durante il Fascismo

Finanza e politica bancaria durante il Fascismo


di: Valentino Quintana

In tempi di mestissima crisi finanziaria, dove il signoraggio regna imperante, dove la nazione non ha alcun tipo di sovranità monetaria, è d’uopo ricordare le ferme ed energiche dichiarazioni di Benito Mussolini ai dirigenti delle banche popolari del 26 marzo 1942.
Queste ultime non furono certo motivate da ragioni occasionali, bensì conformi a quella politica finanziaria che il Fascismo inaugurò all’indomani del suo avvento al potere.
Esso trovava il suo fondamento nella mobilitazione di tutte le forme produttive della Nazione mediante il prelievo fiscale.
Il prelievo, effettuato sul reddito nazionale, non era più una semplice sottrazione di potere di acquisto, sottratto ai privati per attribuirlo alla Tesoreria e destinarlo ai fini di pubblico interesse; ma si trattava di un’asportazione che accompagnava e stimolava lo sforzo produttivo dei singoli, senza privarli di alcuna ricchezza, che non fosse stata, a sua volta, creata mercé il tempestivo intervento dello Stato.
Fra la formazione del reddito, lo sforzo lavorativo e il prelievo fiscale si attuava un’armonica, continua e logica coordinazione, che annullava la concezione statica del “gravame” come peso o carico.
Vi si sostituiva la realtà in movimento, identificante il prelievo come ricchezza da esso creata.
Da questa concezione emergeva che la finanza fascista non era soltanto il mezzo tecnico onde si fronteggiava il fabbisogno della tesoreria, ma era anche un poderoso strumento di giustizia sociale.
Il mercantilismo fascista quindi, si poteva realizzare mercé l’intimo coordinamento dei molteplici interventi statali nel mercato nazionale.
L’azione svolta dal Fascismo si può suddividere in cinque periodi.
Il primo periodo va dall’ottobre 1922 al luglio 1925.
Il secondo periodo, concernente la sistemazione dei mercati finanziari e monetari già predisposti nella precedente fase, va fino al luglio 1928.
Il terzo periodo riguarda la preparazione finanziaria e fiscale, va fino al gennaio 1935.
Il quinto periodo orienta la finanza sul piano imperiale.

Nel primo periodo la gestione finanziaria realizza la giustizia sociale mediante l’acceleramento e la disciplina delle forze individuali, operanti sul mercato organizzato secondo i modi della concorrenza.
Si pongono in essere tutte le forze di accumulazione che dovranno consentire, nella seconda fase, una vasta manovra monetaria, finanziaria ed economica, che sarebbe stato il presupposto della futura azione dello Stato.
Il grande risanamento operato dal Fascismo durante questa fase è dato da queste cifre: disavanzo esercizio 1921 – 1922 (anteriore all’avvento al potere del Fascismo): milioni 15.760 (di lire); disavanzo esercizio 1922 – 1923 gestito per nove mesi dal Regime: milioni 3028; avanzo esercizio 1924 – 1925: milioni 417. In circa trenta mesi di governo si ebbe, dunque, un miglioramento di circa 16 miliardi annui nella gestione del bilancio aziendale italiano.

Il secondo periodo è la realizzazione concreta delle possibilità di intervento economico, rese virtuali dalla considerevole massa di potenza di spesa che la Tesoreria aveva accumulato mediante la ricostruzione finanziaria conseguita nel primo periodo della gestione.
Bisogna rilevare, a questo proposito, che l’avanzo considerevole di circa 2,5 miliardi di lire, conseguito nell’esercizio 1925 – 1926, non fu destinato a rimborso del debito pubblico come la finanza tradizionale avrebbe consigliato, ma venne attribuito, nella sua maggior parte, al potenziamento di attività economiche nazionali, mediante spese produttive autonome o integranti l’attività economica privata.
Questa diversione delle tradizioni, praticata in un atto di importanza notevole come quello indicato, pone in evidenza la diversa concezione e le differenti finalità sociali, che la finanza Fascista persegue rispetto alla gestione liberalistica della tesoreria.
In questo periodo va ricordata, per il suo grande significato morale e sociale, la riforma monetaria e la rivalutazione della lira (moneta nazionale, non d’occupazione). La rivalutazione della potenza di acquisto interna ed internazionale della valuta italiana, fu di circa il 30% il che significò: potenziamento della capacità di acquisto dei salari; aumento dei consumi delle classi meno abbienti; risanamento finanziario ed economico delle aziende, imposto attraverso una rigida revisione delle loro impostazioni di carattere finanziario e tecnico.
Il terzo periodo è contrassegnato dalle esigenze relative alla preparazione finanziaria della crisi mondiale.
Gli errori del capitalismo internazionalista, accumulati ed aggravati dalle ingiustizie create dalla guerra mondiale, avevano creato una superstruttura creditizia, che doveva controllare col sistema di cui era l’espressione.
La crisi del capitalismo, che sembrava, fino ad allora, una malattia del sistema (ciò che si vuol negare oggigiorno), si era risolta in una assoluta e grave crisi del sistema stesso che doveva fatalmente, essere travolto e trasformato.
Nell’attesa che tale profondo mutamento si effettuasse, la finanza Fascista provvide a creare le strutture fiscali e finanziarie necessarie al governo delle nuove forze dominanti.
Al fine di predisporre la riforma della finanza locale, fu iniziata una vasta politica di lavori pubblici; fu creata la struttura tecnico – economica necessaria al finanziamento di essi; fu elaborata e attuata la grande legge sulla bonifica integrale che riportava l’uomo alla terra e provvedeva alla redenzione, alla pacificazione sociale e mediante la creazione di un gran numero di piccole aziende familiari, ai coltivatori diretti.
Durante questo periodo, che fu contraddistinto da una totale assenza della Tesoreria dal mercato finanziario, in quanto il debito pubblico rimase praticamente invariato sulla cifra dei 90 miliardi di lire (si noti la differenza rispetto ai tempi odierni, n.d.r.), il bilancio dello Stato provvide con le sole sue forze ordinarie e ricorrenti a fronteggiare le spese pubbliche.
Il che significò l’obbligo, e l’esempio, imposto ad ogni azienda privata, ad ogni bilancio individuale, al pareggiare i propri conti soltanto con mezzi ordinari (!), evitando l’indebitamento, che era stato una delle cause più gravi della crisi risolutiva dell’epoca.

Il quarto periodo è caratterizzato dalla creazione delle attrezzature finanziarie, economiche e tecniche, necessarie alla nuova gestione della finanza pubblica, definitivamente orientata verso l’intervento diretto e responsabile dello Stato.
Fu fondato l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, (distrutto in tempi moderni da Romano Prodi) come organo tecnico per la gestione di varie aziende, già finanziate dalle banche private, e che la crisi creditizia aveva accollato all’erario.
Fu organizzata la finanza dell’ordinamento corporativo mediante il potenziamento dell’iniziativa individuale sotto il controllo del tenore di vita dell’operaio, allo scopo di assicurare ad ogni lavoratore un livello di consumi ed uno statuto salariale adeguato alla propria famiglia e al suo sostentamento, con rispetto e tutela del grado di civiltà raggiunto mai sino a quel momento dalla nazione italiana.
La grande operazione economica compiuta in questa fase dalla finanza Fascista fu la conversione del consolidato 5% per oltre 63 miliardi di lire in capitale, in rendita redimibile al 3,50% allo scopo di predisporre la graduale riduzione del debito pubblico, mediante rimborso del capitale e limitazione conseguente delle spese per la sua gestione.
Il criterio logico dominante in quel periodo della congiuntura mondiale, era che il risanamento finanziario ed economico del Paese fosse condizionato dalla gestione, rigida e controllata, dalla Tesoreria, conseguita mediante una continua e severa comprensione delle spese pubbliche, prime fra queste, quelle per il debito statale.

Il quinto periodo è rappresentato dalla preparazione e dallo sfruttamento di tutta l’economia e di tutta la finanza italiana sul piano dell’Impero, in vista della funzione oceanica assunta dall’Italia dell’epoca.
E’ chiaro, che il secondo conflitto mondiale abbia accelerato ed intensificato questo processo, mettendo a disposizione dello Stato le risorse necessarie per resistere e combattere.
Era altrettanto evidente che la saldezza economica e finanziaria potesse essere insidiata da un nemico terribile: l’inflazione.
In questo fenomeno, non v’è nulla di fatale né di inevitabile.
Anche in questo caso, la volontà può regolare le cose a seconda di fini determinati.
In regime liberale, nell’assenza di una volontà direttiva, che l’inflazione può imporsi per la cosiddetta forza delle cose, ma non in un regime autoritario e totalitario, quando sia deciso ad impedire ad ogni costo il disastroso fenomeno della progressiva svalutazione della moneta.
Come sempre, il fenomeno dell’inflazione muove sempre da presupposti di ordine morale, dalla preoccupazione, dalla sfiducia, dalla smania dei facili guadagni, dal desiderio di “coprirsi”, di mettersi al riparo dai rischi più o meno immaginari.
Di qui un’attività economico – finanziaria fittizia, improvvisata, alla quale non corrisponde nessuna produzione reale e che vale unicamente a determinare un rapido rialzo dei prezzi.
Si formano, così, delle situazioni artificiose, che per reggersi debbono ricorrere al credito, cioè al risparmio nazionale.
E a questo punto che lo Stato può far sentire la sua volontà, sia regolando il credito attraverso il riscontro presso la Banca di emissione, sia contenendo entro i limiti stabiliti la circolazione.
Tutto ciò, con uno Stato sovrano ed indipendente.
Comunque sia, tutto questo non basta.
La severità dello Stato, che non deve avere pietà per le situazioni artificiose, causate sempre da speculazioni illecite o sbagliate, deve essere assecondata dalla disciplina dei cittadini, a qualsiasi ordine appartengano: industriali, agricoltori, commercianti, consumatori, che hanno il dovere e l’interesse di astenersi da quelle attività economico – finanziarie che valgono unicamente a determinare il progressivo rialzo dei prezzi, quel circolo vizioso a cui si è riferito così efficacemente il 26 marzo 1942 il Capo del Governo Italiano. Occorreva, secondo Mussolini “un deciso, violentissimo, se sarà necessario, colpo di arresto, contro una tendenza esiziale.
Non un metro di più sulla via della rovina, sulla via della perdizione.
Sono in giuoco il risparmio nazionale cioè la consistenza stessa dell’economia italiana, gli stipendi, i salari, le pensioni. Tutto”.
Lo Stato Fascista prometteva nessuna tolleranza dello Stato in fatto di speculazioni o di arbitrari arricchimenti.
In un discorso del 20 marzo 1942, all’Istituto di Cultura Fascista, il ministro Thaon di Revel parlò chiaramente: “occorre instillare nella convinzione di ognuno che tali forme di arricchimento anche se momentaneamente tollerate, verranno in definitiva eliminate e che nessuna conseguenza di natura monetaria potrà costituire una ragione di favore per alcuni investimenti patrimoniali a reddito variabile, in danno di quelli a reddito fisso. Imposte, a natura compensatrice, su reddito e su capitale, aventi come elemento di discriminazione la fonte variabile o fissa del reddito stesso, saranno certamente applicate dal Governo Fascista alla chiusura della congiuntura bellica presente”.
Sappiamo tutti, purtroppo, che non andò così.
La difesa della moneta, cioè del risparmio, non consentiva eccezioni o transigenze, per il Fascismo.
Anche per questi motivi, l’Italia Fascista ha perduto la sua guerra.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=12507

venerdì 13 gennaio 2012

Giornata Internazionale della Solidarietà con la Palestina


di Stephen Lendman

- per i Palestinesi solo un altro giorno di ordinaria follia -


Istituita dall’ONU nel 1977, la Giornata Internazionale della Solidarietà con il Popolo Palestinese viene celebrata il 29 novembre e commemora la data in cui, nel 1947, venne adottata la Risoluzione ONU 181 malgrado l’opposizione dei Palestinesi.

La Risoluzione è nota con il nome di Piano di Spartizione della Palestina. Consegnava il 56% della Palestina storica agli ebrei (che costituivano un terzo della popolazione),e il 42% ai palestinesi.

Gerusalemme venne dichiarata Città Internazionale e affidata ad un Consiglio di Amministrazione Fiduciario dell’ONU. Ufficialmente lo è tuttora. L’area comprende l’intera Gerusalemme, Betlemme, e Beit Sahour – in modo da includere tutti i luoghi sacri cristiani.

La Risoluzione 181 prevedeva anche la nascita di uno Stato Arabo Indipendente. La data per la dichiarazione ufficiale di tale stato era stata fissata per il 1° ottobre del 1948. Il testo sollecitava “tutti i Governi e Popoli ad astenersi da qualsiasi azione che possa ostacolare o ritardare la realizzazione di queste raccomandazioni”. Al Consiglio di Sicurezza veniva affidato il compito di “adottare le misure necessarie affinché il piano fosse implementato come previsto”. Il piano doveva garantire “una pace giusta e duratura …”.

Ma ciò che avvenne in seguito è noto a tutti. Prima che si potesse attuare il piano dell’ONU (comunque contro la volontà dei palestinesi), i sionisti avviarono la loro “guerra per l’indipendenza” e dichiararono l’esistenza dello stato di Israele nel maggio del 1948.

A distanza di molti decenni, la pace rimane una chimera e la Palestina è sempre occupata.

Le potenze mondiali non sono mai intervenute e oltre 8 milioni di palestinesi rimangono in attesa di giustizia, compresi i profughi e i palestinesi della diaspora.

Privo di qualsiasi potere di influenza, il Comitato per l’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese si riunisce ogni anno nella sede dell’Onu per osservare la Giornata della Solidarietà Internazionale. L’ipocrisia rituale si sostituisce a politiche efficaci per la Liberazione.

I palestinesi meritano impegno per la giustizia negata, non cerimonie. Un giorno, forse, i decenni di pazienza saranno ricompensati.

Il 29 novembre, i popoli ovunque nel mondo hanno espresso la loro solidarietà con la Palestina. In Gaza i membri dell’International Solidarity Movement di Beit Hanoun e altri gruppi palestinesi si sono messi in marcia verso le zone vietate da Israele per liberare migliaia di palloncini con bandiere palestinesi.

I palloncini si sono librati nel cielo, oltrepassando le frontiere che imprigionano la popolazione di Gaza. Riflettevano lo spirito del popolo che si strugge per la libertà. Un attivista palestinese ha fatto appello alle genti del mondo chiedendo di «isolare Israele nella comunità internazionale e di esercitare pressione in tutte le sue forme finché l’occupazione della Palestina avrà termine».

Radhika Sainath del Solidarity Movement dichiarava: «Oggi l’intero mondo libero è contrario all’occupazione, agli insediamenti e al muro di separazione. Continueremo la nostra opera in Palestina, con gli attivisti palestinesi, finché riusciremo a portare Libertà e Giustizia in Palestina».

Press TV riportava sui movimenti di attivismo pro-palestinese nel mondo, che ovunque bruciavano bandiere israeliane, simboli di repressione. Gli abitanti di Gaza lanciavano le bandiere palestinesi al di là delle barriere costituite dal recinto elettrico che delimita la zona cuscinetto e impedisce ai palestinesi di accedere al 30% delle terre coltivabili.

E Israele come ha “celebrato” la Giornata?

In risposta alle manifestazioni del 29 Novembre, il giorno dopo Israele ha inviato carri armati, bulldozer e veicoli militari in Gaza. I soldati hanno aperto il fuoco dalle torrette di osservazione. L’artiglieria dei carri armati ha colpito le case a est di Khan Younis.

Le terre coltivate di Jahor al-Dik e Maqbola sono state distrutte. Gli elicotteri da guerra circolavano di continuo sull’area. Gaza rimane zona di guerra. Uomini, donne e bambini vengono colpiti costantemente.

E cosa faceva l’ONU? Il solito.

Il 28 novembre l’ONU accusava la Siria di “gravi violazioni dei diritti umani”. Il fatto che in Siria le uccisioni e altre atrocità sono opera di mercenari e membri di Al Qaeda reclutati dalle potenze occidentali non veniva specificato.

Né l’Onu condannava Israele per i quotidiani crimini contro l’umanità commessi contro i Palestinesi.

Il Segretario generale Ban Ki-moon funge unicamente da strumento dell’Impero. Dal suo ordine del giorno, gli obiettivi di pace e giustizia sono completamente assenti. Di conseguenza, i Palestinesi, i Libici, gli Iracheni, gli Afgani, i Bahreini, i Yemeniti, gli Egiziani, i Sauditi, i Somali, e altri milioni di esseri umani soffrono in modo atroce.

Ban Ki-moon non ha pronunciato parola quando a metà novembre Israele ha tagliato completamente la corrente elettrica di Gaza, «come al solito abusando del falso alibi della sicurezza», dichiarava il ministro per l’energia palestinese, Kanaan Ubeid.

L’elettricità è stata tagliata per 9 giorni interi.

Il 26 novembre Israele dichiarava che l’erogazione di acqua ed elettricità cesserà su base permanente se Fatah e Hamas formeranno un governo unitario come annunciato.

Il 29 novembre, data della Giornata della Solidarietà, il Centro Palestinese per i Diritti Umani condannava Israele per avere impedito ad una squadra di tecnici di ripristinare una rete elettrica di Gaza. Ad oggi non è stata riattivata.

La crisi elettrica genera gravi condizioni di disagio in Gaza, soprattutto ora che il freddo si fa sentire. Attualmente Gaza riceve solo un terzo del fabbisogno elettrico, in minima parte generato in Gaza e in Egitto e per il resto proveniente da Israele in misura del tutto inadeguata.

La Società per la Distribuzione Elettrica di Gaza gestisce la situazione come può per mezzo di un piano di emergenza che comporta la mancanza di corrente elettrica per quasi metà della giornata. La malignità di Israele sta esacerbando le condizioni di grave disagio, violando le leggi internazionali.

Ufficialmente i palestinesi sono persone protette, ma Israele li tratta come criminali. I capi di stato delle potenze mondiali non intervengono, né tanto meno le autorità dell’ONU.

Ma l’elenco dei diritti violati da Israele è lungo.

Il Centro Hamoked per la Difesa dell’Individuo ha pubblicato sul proprio sito l’elenco degli abusi perpetrati da Israele su base regolare, tra cui:

1 – Il Muro di Separazione che accerchia le aree abitate dai palestinesi nelle zone in cui i coloni si sono insediati illegalmente. Il muro viola le leggi internazionali, sconvolge la vita dei palestinesi sui propri territori, ostruisce i diritti al culto religioso negando l’accesso ai luoghi sacri, rappresenta una punizione collettiva dei civili che Israele come entità di occupazione avrebbe l’obbligo di proteggere.

2 – I corpi dei palestinesi uccisi non vengono restituiti ai familiari, eccetto in casi sporadici. Dal 1988 la Hamoked ha fornito rappresentanza a centinaia di famiglie addolorate.

3 – Viene negata l’unificazione delle famiglie: Israele dichiara che i palestinesi non ne abbiano diritto e solo in casi rari “concede la riunificazione come atto di pura benevolenza”. Di conseguenza, la separazione forzata colpisce “decine di migliaia” di palestinesi di Gaza, cui viene impedito di raggiungere le famiglie nei territori palestinesi .

4 – Revoca della residenza. Dal 1967 a oggi Israele ha revocato la residenza a centinaia di migliaia di palestinesi residenti nei territori a loro ufficialmente assegnati. In altre parole, i palestinesi che viaggiano all’estero devono depositare la propria carta di identità al momento del passaggio alle frontiere (sempre controllate dai militari israeliani, anche quelle non confinanti con Israele) e ricevono in cambio una “exit card” valida per 3 anni. Coloro che non ritornano entro tale scadenza, vengono dichiarati “emigrati all’estero”. La residenza viene revocata definitivamente, ad eccezione di casi isolati. Tale revoca viola i diritti internazionali, compresa la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, secondo cui «ognuno ha il diritto di partire dal proprio paese e da qualsiasi altro, conservando il diritto di ritornare [articolo 13(2)]».

5 – Residenza in Gerusalemme: da quando nel 1967 Israele ha illegalmente annesso Gerusalemme Est (ufficialmente riservata ai palestinesi), i residenti palestinesi subiscono varie forme di oppressione, comprese «barriere invisibili che incidono sulla vita quotidiana».

Israele ignora ogni legge internazionale con impunità.

I palestinesi non hanno diritti di alcun tipo. La loro vita è un inferno. Sanno di doversi aspettare qualunque sciagura da un momento all’altro, compreso lo sfratto forzato o la demolizione delle case per fare spazio a nuovi insediamenti di coloni israeliani.

La Hamoked assiste di continuo i palestinesi nel denunciare casi di abuso, anche presso la Corte Suprema. Ma perfino quando le sentenze sono favorevoli ai palestinesi, le disposizioni del tribunale non vengono applicate. Le autorità israeliane semplicemente ostruiscono o rimandano all’infinito l’esecuzione degli ordini del tribunale, provocando gravi sofferenze ai palestinesi.

Abusi terribili contro i palestinesi sono all’ordine del giorno.

Vediamo cosa è successo nella sola giornata del 30 novembre.

- I bulldozer dell’esercito israeliano hanno completamente sradicato ogni coltivazione del villaggio agricolo di Mas-ha, distruggendo anche gli allevamenti degli animali.

- I soldati hanno aperto il fuoco su un centro abitato vicino a Gaza City.

- Altrove nella Palestina occupata, gli attivisti di “Peace Now” sono stati presi di mira con minacce di morte e di distruzione mediante esplosivi della sede della loro associazione.Atti come questi sono in genere opera dei coloni estremisti israeliani. Ma le autorità non fanno niente per fermarli.

- Sempre il 30 novembre, i soldati israeliani hanno arrestato tre giovani di Beit Ummar, in territorio palestinese. I soldati hanno fatto irruzione violenta nelle loro abitazioni. Nei giorni precedenti, altri 16 residenti del villaggio erano stati arrestati e messi in carcere. 13 di loro erano minorenni. Gli israeliani trattano i bambini e minorenni alla stregua di adulti.

- Per la terza volta consecutiva, il 30 novembre la detenzione di Nayef Rajoub, parlamentare di Hamas, è stata estesa per altri 6 mesi.

I palestinesi possono essere detenuti all’infinito senza formali accuse, per presunte ragioni di sicurezza. Si tratta di una violazione non solo dei diritti internazionali, ma anche delle leggi israeliane.

Dal 1989, Rajoub è stato arrestato numerose volte, malgrado non abbia commesso crimini di alcun tipo.

Lo stesso vale per tanti palestinesi, la cui unica colpa è di volere vivere come cittadini liberi nella propria Terra.

Ma Israele chiama questo “terrorismo”.

- Sempre nella giornata del 30 novembre, Israele ha intercettato e arrestato 10 pescatori di Gaza. In seguito i pescatori sono stati rilasciati, ma le barche, i loro mezzi di sussistenza, sono state sequestrate.

Come sappiamo, gli israeliani hanno posto limiti estremi alla pesca nelle acque di Gaza. I pescatori spesso tornano con la barca vuota, o anche danneggiata dall’artiglieria delle navi da guerra israeliane.

In luglio di quest’anno, la Commissione Internazionale della Croce Rossa ha dichiarato che l’industria della pesca di Gaza è in pratica scomparsa. Migliaia di cittadini in Gaza dipendono dalla pesca – ma Israele li taglia fuori dalla fonte di sussistenza, restringendo l’area della pesca a 3 kilometri dalle coste di Gaza, ormai priva di pesce. Le barche che si avvicinano al limite vengono intercettate dalle navi da guerra del regime, che spesso aprono il fuoco. Oppure la marina militare usa i potenti cannoni spara-acqua che mandano i pescherecci quasi a fondo. Tutto questo è illegale, compreso il limite dell’area di pesca. Ma nessuno interviene – tanto meno l’ONU.

- Sempre il 30 novembre, al parlamentare palestinese Qays Abdul-Karim è stato vietato di uscire dai territori palestinesi per partecipare alla 27esima sessione del Parlamento dell’America Latina in compagnia di una delegazione di altri parlamentari. Alla frontiera con la Giordania era stato fermato e interrogato da un ufficiale israeliano sul motivo del suo viaggio. Rispose che era diretto a Panama per trovare supporto alla fine dell’occupazione israeliana dei territori assegnati ai Palestinesi. L’espatrio gli venne revocato. Per ora non è stato arrestato ma, come spesso succede, c’è da aspettarsi un raid notturno per prelevarlo da un momento all’altro.

Gli arresti notturni avvengono con penosa regolarità.

La vita nella Palestina occupata è un inferno. Israele opprime i palestinesi per il semplice motivo di essere musulmani e non ebrei. Anche i cittadini israeliani arabi sono sempre a rischio. Su base quotidiana affrontano la discriminazione politica, sociale, economica e culturale.

All’inizio di novembre, la sessione sud-africana del Russel Tribunal sulla Palestina accusava Israele di sottoporre i palestinesi a condizioni di apartheid istituzionalizzata per come viene definita dal diritto internazionale.

Le politiche israeliane sono caratterizzate da discriminazione di stampo razzista. L’apartheid è un crimine internazionale. I testimoni comparsi davanti al Russel Tribunal hanno fornito testimonianze e prove di un’inequivocabile regime di apartheid impoInserisci linksto su chiunque non sia ebreo.

Le politiche ufficiali di Israele seguono criteri di discriminazione, repressione, isolamento e altre forme di abuso. Nonostante la persecuzione sia un crimine contro l’umanità, Israele la pratica con impunità.

Il Russel Tribunal e altre organizzazioni sono decisi a mettere fine ad ogni forma di ingiustizia perpetrata da Israele. Niente al di sotto sotto della piena giustizia è accettabile e tollerabile.

http://civiumlibertas.blogspot.com/2011/12/lautore-ebreo-anti-sionista-stephen.html

venerdì 6 gennaio 2012

1992 l’anno del Golpe in Italia e fine della nostra sovranità politica

Assolutamente da leggere!

VENT’ANNI DELLA NOSTRA STORIA!
UNA LUCIDA ANALISI SUGLI ULTIMI VENT’ANNI DELLA COMPLOTTISTICA ITALICA

Post n°968 pubblicato il 01 Marzo 2009 da
Voce di Megaride di anonimo

fonte:sitoaurora.splinder.com


COSA ERA ACCADUTO IN COSI’ POCO TEMPO PER RIBALTARE L’ITALIA?
Cos’era accaduto in così poco tempo per ribaltare tutta l’Italia, la storia e la religione come un calzino? Era accaduto che era crollato il Muro di Berlino, e orde di compagni ipnotizzati dall’isola che non c’è, aspettavano i custodi della fede fuori dalle sezioni con i bastoni in mano dopo tanti anni di prese per il cubo. I geni del marketing delle masse avevano previsto per tempo la grande opportunità, e avevano iniziato a tessere la propria tela coi “vertici“, e a preparare la strada per “orientare diversamente” il popolino del muro di Berlino: caduta la prima pietra, era già pronta una “Santa Alleanza” mediatico-giudiziaria che distogliesse l’attenzione del popolino con la terza media dai mille “contrordini, compagni!” verso una “missione per conto di Dio” che li facesse sentire di nuovo “importanti” per le sorti del mondo.
In realtà
si trattava solo di un ramo di un golpe internazionale volto al controllo “dall’alto” delle realtà “locali“, basato in Italia, appunto, sul totale controllo di magistratura e media.

Sentiamo le testuali parole di Piero Sansonetti, in quel periodo di inizio golpe condirettore, insieme a Veltroni, de L’Unità:
Chi contava? I giornali. E nacque un’alleanza di ferro tra quattro giornali italiani: il Corriere, la Stampa, l’Unità e Repubblica. Il direttore dell’Unità era Veltroni, alla Stampa c’era Mauro, il caporedattore di Repubblica era Antonio Polito. Ci si sentiva due o tre volte al giorno, si concordavano le campagne, le notizie, i titoli“.
In due parole: Santa Alleanza tra i maggiori media del periodo per preparare la strada a “Mani Pulite“, con l’obbiettivo di sostituire il governo eletto dal popolo sovrano, con uno fantoccio formato, ovviamente, solo da aderenti al golpe internazionale.

ALLA TESI DI “MANI PULITE” ADERISCONO SUBITO TUTTI I COMUNISTI E…
In Italia aderiscono subito tutti i comunisti per salvarsi dai coltelli dei raggirati da decenni, la sinistra DC di De Mita, Ciampi, Scalfaro e Prodi, la sinistra PSI di Giuliano Amato. Ma le correnti di maggioranza, che occupano già le poltrone giuste per decisione popolare, non sentono ovviamente una impellente necessità di inchinarsi ad un complotto internazionale che promette loro ciò che, praticamente, già hanno (e per di più senza “pressioni esterne“). Inizia quindi la “resa dei conti“.
L’allora ministro degli interni, Vincenzo Scotti, alla presentazione del libro “L’Oro da Mosca” del giornalista Valerio Riva, ci svela quanto segue: tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, all’insaputa l’uno dell’altro e a distanza di pochissime settimane, il capo della polizia, quello del Sisde e Giovanni Falcone si recano al Viminale per informare il ministro degli interni di essere giunti, da diverse vie, ad individuare un “complotto internazionale” della lobby delle lobbies della grande finanza, insieme a mafia, camorra e kgb “deviato“, il cui intento è quello di “fare shopping in Italia” dopo aver sostituito, grazie ad un accordo mediatico-giudiziario, il governo “reale” con uno “fantoccio“, costituito solo da coloro che hanno aderito al “complotto”, e dopo aver fatto svalutare la lira. Falcone preavvisa anche Scotti che, se la consueta “guerra di diffamazione personale” inaugurata da Luciano Violante nei suoi confronti in ogni sede istituzionale non sortirà nel frattempo particolari effetti, incontrerà a fine maggio il collega moscovita Stepankov per “chiudere il cerchio“, ma che “attentati mafiosi” potrebbero arrivare prima di quella data per iniziare a destabilizzare l’opinione pubblica italiana e quindi spianare la strada ai complottisti dal punto di vista del “siluramento mediatico-giudiziario dei politici non complottisti“.

FALCONE, PRIMA DI RIUSCIRE A INCONTRARE IL COLLEGA RUSSO, CASUALMENTE SALTA IN ARIA
Vincenzo Scotti in marzo allarma quindi ufficialmente tutte le prefetture, e direttamente anche il Parlamento, ma entrambe le “istituzioni” sottovalutano l’allarme lanciato da Falcone e servizi segreti, nonostante gli attentati mafiosi si verifichino realmente e, soprattutto, nonostante i “poteri forti” inizino a spostare progressivamente le proprie pedine nello scacchiere della magistratura per farle sedere nelle poltrone “giuste“. Poche ore prima dell’incontro col collega russo, casualmente Falcone salta in aria a Capaci, e casualmente quella stessa sera due camion pieni zeppi di documenti escono a fari spenti da Botteghe Oscure, come accadde in tanti luoghi ed in tante occasioni del passato dalle “ambasciate russe“: gli uomini del SISDE che li stavano sorvegliando da tempo, attendono frementi l’autorizzazione alla perquisizione da settimane agognata, ma casualmente ricevono invece la notizia che il loro “capo operativo” è stato improvvisamente ed inopinatamente “silurato“… come quello del Norad la notte tra il 10 e l’11 settembre 2001… quindi anni di indagini vanno in un attimo a p…
E’ il 23 maggio 1992, e casualmente il 2 giugno numerosi esponenti di spicco del complotto denunciato in inverno da Falcone (e non solo) a Scotti, salpano da Civitavecchia sul panfilo reale Britannia per una scampagnata lontano da orecchie indiscrete…
Casualmente, i servizi segreti intercettano una comunicazione dal Britannia alla Procura di Milano, e ancor più casualmente il giorno dopo Maurizio Losa dal TG1 ci informa che molti “pezzi da novanta” anticomplottisti del governo in carica, Craxi compreso, sono appena stati iscritti nel registro degli indagati. Craxi si era sempre lamentato del potere assoluto del suo grande amico Giuliano Amato nelle “questioni economiche del PSI“, e il grande amico Giuliano Amato si era sempre vantato che “non si muovesse foglia” in tutte le questioni “di denaro” del PSI, se prima non ci fosse stata la propria autorizzazione, però, per la Santa Alleanza della magistratura coi quattro maggiori quotidiani del Paese, improvvisamente Craxi diventa il più grande ladro tangentaro della storia d’Italia, mentre contemporaneamente Giuliano Amato diventa miracolosamente il presidente del consiglio di un governo fantoccio che… tenterà di salvare l’Italia dalle tangenti e quindi da Craxi… Misteri della fede…

GIULIANO AMATO VA AL GOVERNO E UNA BANCA D’AFFARI DICHIARA CHE…
Venti minuti dopo che Giuliano Amato ha miracolosamente ricevuto l’incarico di salvare l’Italia dalle tangenti di Giuliano Amato, casualmente la banca d’affari internazionale più rappresentata sul Britannia si sente miracolosamente costretta ad annunciare al mondo intero che i titoli di stato italiani, da lei stessa applauditi e consigliati al mondo pochi mesi prima, ora che l’italica economia è leggermente migliorata, sono miracolosamente divenuti inaffidabili…
Perché inaffidabili, la stampa specializzata chiede a gran voce? “Perché l’Italia non privatizza i suoi gioielli di Stato…”, è la risposta dei lupi di mare del Britannia.
Gli esperti del settore ridono di gusto a tanta imbecillità, ma le altre banche presenti sul Britannia iniziano a svendere tonnellate di titoli di Stato italiani. Il Bilderberg storico Giuliano Amato annuncia al Paese di volergli tanto bene da sentirsi costretto a pagare una follia la consulenza delle 3 maggiori banche d’affari del Britannia per “farci uscire vivi dalla crisi“, e manda questi gentiluomini guidati da Soros a dettare ordini all’altro Bilderberg storico Carlo Azeglio Ciampi (incoronato a Stresa dai vertici della –OMISSIS- planetaria), in quel momento, casualmente, numero uno di BANKITALIA.
Dall’azione congiunta di tanta genialità italo-rotschildiana, scaturisce la perdita, tra “diretto” e “indotto“, di oltre 100.000 miliardi di vecchie lire di quasi vent’anni fa, l’uscita della nostra moneta dallo SME, e la sua conseguente, pesante svalutazione. Casualmente a quel punto la maggioranza bulgara delle “privatizzazioni” finisce a società straniere… Che risparmiano prima il 25 – 30% per la svalutazione, poi almeno altrettanto per una “sottovalutazione” di consulenti geniali come tal Romano Prodi.
L’informazione, radunata intorno all’ex “ammazza Agnelli/De Benedetti” Paolo Mieli, “copre” il tutto con migliaia di titoloni sull’eliminazione mediatico-giudiziaria di chi non aderisce al complotto, quella ridicola farsa che qualche povero di spirito continua a chiamare “Mani Pulite“.
Antonio Polito, come detto uno dei “Quattro dell’Ave Maria” della Santa Alleanza, scrive testualmente: “Certo, Craxi non aveva torto quando diceva di sentirsi accerchiato. C’era un vuoto, i partiti pesavano pochissimo, il governo era altrettanto debole, perse in pochi mesi una decina di ministri che si dimettevano subito, appena ricevuto l’avviso di garanzia, anche per le nostre campagne di stampa. La dimostrazione più evidente di quel patto si è avuta col decreto Conso. Certo, l’uomo era specchiato, l’oggetto era tentatore e l’idea nemmeno campata in aria: la soluzione prevedeva che i politici coinvolti in Tangentopoli se ne andassero subito a casa. Però decidemmo insieme di ostacolare quel decreto, di ostacolare la soluzione politica… E non fu difficile… In quel clima ci bastava scrivere “decreto salva ladri”, e il gioco era fatto. Non c’era potere politico che potesse contrastarci. In quel vuoto abbiamo interpretato e qualche volta indirizzato l’opinione pubblica. Facemmo quel patto proprio perché il nostro peso era enorme“.

MIELI SI VANTA DI INCONTRARSI DUE O TRE VOLTE ALLA SETTIMANA CON DI PIETRO
Per coloro, magari stranieri, che non conoscono bene la lingua italiana, traduco brevemente: Mieli si vanta di incontrarsi 2-3 volte alla settimana con Di Pietro, comunque sempre almeno il sabato mattina a colazione, insieme concordano chi “asfaltare” e chi “salvare“, Mieli si sente 3-4 volte al giorno con i numeri uno degli altri 3 quotidiani della Santa Alleanza per concordare titoloni esplosivi per condannare preventivamente qualcuno (non importa se innocente) e assolvere preventivamente altri (non importa se colpevoli), ma guai mai se qualcuno osa proporre una “asfaltatura democratica a 360 gradi dei tangentari“, perché i primi a saltare sarebbero ovviamente proprio i loro padroni… E così accadde che, quando nell’autunno 1993 vennero fissate le elezioni politiche per il successivo marzo 1994, sulla scena politica erano rimasti solo i complottisti al gran completo (perché “intoccabili“), più Bossi e Fini “che non se li voleva nessuno“…
A quel punto, col consueto grave errore di valutazione sulla reale scolarizzazione degli italiani, a Botteghe Oscure e in Via Solferino si accolse quasi con sollievo la “discesa in campo” di chi era miracolosamente riuscito a riunire sotto le proprie ali “quelli che non se li voleva nessuno“, poiché tale “miracolo” pareva dare un minimo di credibilità alle elezioni-farsa scaturite dall’intoccabilità di un Di Pietro che, nonostante statisticamente sbagliasse il 70-75% dei propri teoremi, continuava ugualmente ad arrestare impunemente tutto e tutti. Ma il 27 marzo 1994 accade l’impossibile: a forza di esaltare le doti umane e di imprenditore di San Silvio da Arcore, CGIL e PCI hanno talmente “innalzato” la notorietà del “Cavaliere Nero“, che quest’ultimo asfalta la “gioiosa macchina da guerra” alle politiche.
Non passa nemmeno una settimana, che il presidente di Banca IMI (a quei tempi ancora “statale” e come sempre in mano ai “poteri forti” del paese) si presenta al Bilderberg storico Oscav Luigi (in qualità, oltre che di Presidente della Repubblica, di presidente del Csm) per presentargli un esposto miracoloso. Perché “miracoloso“? Perché, come vedremo, Banca IMI nel processo noto come IMI-SIR(/Rovelli) ha per anni palesemente corrotto tutti i magistrati dei vari gradi di giudizio per ottenere uno “sconto” di una inevitabile pena, ottenendo alla fine un “quasi-dimezzamento” (economico) della pena stessa, proprio un paio di mesi prima dell’inaspettata vittoria di San Silvio istantaneamente divenuto Satana Origine di Tutti i Mali. E ora, mentre ancora nei “piani alti” della banca si festeggia il risultato di tanta corruzione di magistrati, si manda il presidente della banca da Oscav con un esposto che ipotizza corruzione di magistrati realizzata dalla parte avversa=danneggiata dal dimezzamento finale (…), guidata occultamente, non ci crederete mai, da Satana Origine di Tutti i Mali…

VIENE COINVOLTO BOSSI PER POTER FARE IL RIBALTONE
Oscav Luigi trasmette l’esposto alla magistratura competente e lo manda in copia a Bossi minacciando di coinvolgerlo nel caso in cui “voti la fiducia” al “Santo da Arcore” istantaneamente trasformatosi in “Satana Origine di tutti i Mali“.
Umberto Bossi temporeggia per alzare la posta del “tradimento“, e quindi intanto vota la fiducia a Satana, poi si mette alla finestra e aspetta proposte dal Quirinale.
Poche ore dopo il voto di fiducia, Remigio Cavedon, ex Direttore de “Il Popolo” ed ex consigliere personale di Oscav, per altri motivi si reca in visita al Quirinale e, come vedremo tra breve, in una lunga, amichevole chiacchierata, viene informato da Scalfaro che esiste già un complotto mediatico-giudiziario per mandare a casa Satana Origine di tutti i Mali, che vi partecipano tutti i “poteri forti“, tutta la vecchia politica, tutta la magistratura, tutta l’informazione e pure tutte le forze dell’ordine, compreso il capo nazionale della polizia, Parisi, amico fidato dello stesso Cavedon…
L’ex direttore del Popolo viene anche informato che “si sta lavorando ai fianchi” di Bossi, che il ribaltone è già cosa fatta, e che Satana non vincerà mai e poi mai le successive elezioni, poiché la magistratura si sta inventando qualcosa per spazzarlo via per sempre…
Scalfaro, come stiamo per vedere, lo informa anche che la motivazione di gran lunga più importante di questa “compattezza” del fronte anti-Satana, riguarda gli interessi di tutti i partecipanti alla “Santa Alleanza antiSatana” nei confronti di alcuni mega-affari dell’IRI, dove Satana sta già scoperchiando qualche pentola molto rischiosa. Infatti, Satana, appena ricevuta la fiducia, ha affidato la guida della Commissione Antimafia alla toga più rossa dell’universo, e questa, già a suo tempo collaboratrice esterna di Falcone e Borsellino nel Pool antimafia, seguendo il filo delle ultime indagini dei due colleghi saltati in aria, ha già scoperto la truffa del secolo, 200.000 miliardi di tangenti tra “diretto” ed “indotto” legati alla TAV, finiti a mafia, camorra, grande finanza, cooperative rosse e uno stuolo di politici, il 100% dei quali, casualmente, si sta proprio in quei giorni stringendo intorno alla “Santa Alleanza per Prodi” che salverà la povera Italia da Satana Origine di tutti i Mali. In tale ottica, come vedremo meglio in apposito capitolo, il governo-fantoccio scaturito dalla follia della e dall’inettitudine degli italiani (che solo ora, a distanza di tanti anni, si stanno riscattando. E con gli interessi, a giudicare dalle ultime tornate elettorali…), presieduto dallo zerbino Bilderberg Giuliano Amato, con una seduta straordinaria in notturna a fine anno (29 dicembre 1992), firma in extremis un provvedimento che aggiri/raggiri una legge europea sulle “grandi opere“, che poche ore dopo, il primo gennaio 1993, sarebbe entrata a tutti gli effetti in vigore (riunione in piena notte dei ministri Barucci, Reviglio e Tesini).

COMMISSIONANO A NOMISMA UNA COLOSSALE CONSULENZA
Tale provvedimento europeo, prevedeva che per tutte le “grandi opere” di ciascuno dei Paesi membri, come la TAV, fosse realizzata un’asta aperta alle società, appunto, di tutta l’Europa Unita, ma questo avrebbe complicato pesantemente la successiva spartizione già decisa delle tangenti, quindi il provvedimento preso in extremis passò il “potere decisionale” all’IRI, nella persona, scoprì la Commissione Antimafia, di Romano Prodi, che, per essere sicuro di non sbagliare nella scelta dei “contractors” cui affidare i lavori della TAV (si sa mai gliene scappasse, per distrazione, anche uno solo non mafioso…), commissionò una colossale consulenza al Romano Prodi di Nomisma, che riuscì nella miracolosa impresa di scegliere solo ed esclusivamente società appartenenti al complotto, molte delle quali non possedevano nemmeno operai ed attrezzature per poter eseguire i lavori per i quali stavano ricevendo decine di migliaia di miliardi di vecchie lire (dei primi anni ’90.
Solo la Finanziaria 1993 di Giuliano Amato e del suo governicchio servo dei Bilderberg destinò alla truffa 9.000 miliardi direttamente, più del doppio indirettamente…). A quel punto, come stiamo per vedere, la Commissione Antimafia scoprì che già Falcone aveva individuato, grazie anche a mega-dossier dei reparti speciali di Carabinieri e Guardia di Finanza, lunghe catene di subappalti che passavano sempre e comunque da società di mafia e camorra, per finire, con mediamente solo il 10-20% dei soldi iniziali, in cooperative rosse che, oltre che partecipare alla spartizione, nemmeno rispettavano le regole sul lavoro per i propri operai e che, con i pochi soldi rimasti dopo tutta la catena di subappalti, nemmeno riuscivano a fare un terzo dei lavori commissionati e quindi battevano cassa verso Roma. Non solo: la toga più rossa del mondo, pluri eletto nelle fila di PCI/PDS, scopre che il 100% dei politici che hanno messo le mani in pasta nella truffa del secolo, si sta in quel momento radunando nella “Alleanza per Prodi” che doveva salvare l’Italia da Satana… e che il “distributore di tangenti” dell’affare TAV, il banchiere italo svizzero Pierfrancesco Pacini Battaglia, si era salvato per ben due volte in poco tempo dalla galera, prima per l’affare-Cooperazione, poi per la TAV, solo perché Antonio Di Pietro era intervenuto con minacce verso la Procura di Roma prima per evitargli due volte le sbarre, poi per “ripulire” due volte il dossier del tangentaro preferito di mafia e camorra, quindi “riverginarlo” due volte per potergli permette di distribuire più tranquillamente le tangenti.
Contemporaneamente Giuliano Amato passava all’antitrust, e casualmente, contemporaneamente alle indagini della toga rossa inaugurava una profonda (…….) indagine sulla “architettura societaria” sulla quale si basava la TAV e tutti i suoi sub-appalti, concludendo con una relazione finale nella quale affermava “tutto perfetto, nessuno dei problemi che qualche disinformato millanta…”. Casualmente, fino a quando a Palazzo Chigi siede Satana Origine di Tutti i Mali, il lavoro della Commissione Antimafia e dell’ex giudice senatore PCI/PDS procede spedito e senza ostacoli, casualmente dopo il ribaltone la Commissione viene congelata e si impedisce alla Toga più rossa del mondo di discuterne la Relazione Finale, poiché dopo tale atto, il documento “passerebbe alla storia” come “documento ufficiale dello Stato” con sopra scritto che il 100% dei malfattori e criminali appartiene al nuovo schieramento compatto anti-Satana che si prepara alle elezioni del 1996. Elezioni alle quali la toga più rossa del mondo si presenterà nonostante le minacce di Violante e D’Alema (attraverso il proprio braccio destro Bargone), e verrà trombato nel proprio seggio-sicuro poiché mafia, camorra e compagni di partito minacceranno amici, parenti e conoscenti dell’ex giudice (mille denunce giacciono ancora senza seguito…), costringendolo addirittura a trasferire molto lontano la propria famiglia. Al magistrato rimarrà quindi il tempo di riassumere la Relazione Finale della Commissione Antimafia “congelata” dalla mafia rossa in un libro, che lo stesso autore presenterà in anteprima e di persona al nuovo presidente del consiglio (e proprio a Palazzo Chigi), il quale avrà un collasso dal quale, per la sfortuna di 60 milioni di italiani, verrà salvato in extremis da Beniamino Andreatta.

http://www.stampalibera.com/?p=11230

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martedì 3 gennaio 2012

Il Manifesto di Verona del 14 novembre del 1943



di Filippo Giannini

Sono passati quasi settanta anni da quando il 14 novembre 1943, in Castelvecchio a Verona, si celebrò il congresso del Partito Fascista Repubblicano, con il proposito di fissare in un “Manifesto” le linee essenziali del nuovo Stato Repubblicano. Come la Carta del Lavoro, nata il 21 aprile del 1927, sarebbe divenuta legge dello Stato quindici anni dopo con la promulgazione dei Codici Civili, così il Manifesto lanciato a Castelvecchio, al di là di alcuni contenuti legati alla situazione del momento, doveva essere un abbozzo dei criteri sui quali costruire la futura Costituzione nazionale. Un preambolo lo definiva il punto 18, ma era di grande rilievo perché confermava il ripudio dello Stato agnostico, proprio delle democrazie parlamentari derivate dai principi del 1789.
Erano trascorsi poco più di due mesi dalla resa che aveva affondato l’Italia nello smarrimento mettendola alla completa mercé dei suoi nemici, ed i convenuti di Verona erano ancora con il cuore in tumulto e ansiosi di cancellare l’onta subita. Nobili e legittimi sentimenti davvero poco adatti alla pacata riflessione necessaria per concepire e studiare certi istituti. Ed infatti lo stesso Mussolini confidò a Bruno Spampanato: .
Alla fine, nel fervore del momento e nell’ansia dell’azione fu approvata per acclamazione l’ipotesi di lavoro, e fu un vero miracolo di consapevolezza e di concentrazione, tanto che, se da un canto può uscirne diminuito il valore sotto l’aspetto giuridico-tecnico, dall’altro ne è aumentato quello ideale e morale, perché, pur davanti alla materiale sconfitta incombente. per la preponderanza avversaria, quegli uomini vollero gridare al mondo le proprie idee perché a loro sopravvivessero. Fu una vampata di purissima fede per la quale ciascuno dei presenti non avrebbe esitato a bruciare la propria vita, ma nel contempo fu la conferma che l’idea che aveva trasfigurato l’Italia e accesa la speranza in Europa, aveva contenuti inequivocabili e profonde radici nell’animo di quanti in essa credevano.
Nel rievocare dopo quasi sette decenni quel giorno memorabile, non dimenticando che l’azione politica deve essere l’applicazione di una salda concezione dell’Uomo, della vita e dello Stato, ma deve procedere e svilupparsi per operare nella mutevole e complessa realtà come tutto ciò che è vivo, ci chiediamo se quegli assunti possano riproporsi oggi, e negli stessi termini. La risposta è che il Manifesto di Verona contiene proposizioni tutt’ora valide e pertanto, opportunamente modificato per renderlo idoneo al mutare dei tempi. Da esso possono trarsi buone basi per correggere l’attuale deriva negativa della situazione politica ed avviare la costruzione di un nuovo Stato, guidato realmente dal popolo e non dai grandi commessi, o commissari come in Europa li chiamano, o Ministri in Italia. In ogni caso tutti più attenti all’economia che non alla politica, alla quale quest’ultima, quella vera in aderenza al volere della plutocrazia internazionale, della quale costoro sono servitori più o meno coscienti.
Ed allora raccogliendo il testimone da coloro che ci hanno preceduto a Verona, e nel solco delle idee da loro espresse, noi vogliamo lanciare un nuovo “Manifesto” con il quale proporre tale Stato, condizione unica per riprendere quel cammino di civiltà del quale l’Italia in passato è stata maestra, da sola o insieme ad altre Nazioni dell’antica Europa. Uno Stato, che possiamo definire ad integrale partecipazione del popolo al potere, e che nell’ambito di un corretto vivere sociale consente ad ognuno di esercitare la propria libertà, e la possibilità reale di partecipare al potere, scevro da falsità, da ipocrisie, e da predomini dell’uomo sull’uomo. Così correggendo i danni prodotti da idee ormai ampiamente dimostratesi errate per non aver costruito la democrazia che si ripromettevano, ma delle oligarchie, e delle peggiori, perché formate da potentati economici attenti più al profitto che non ai destini dell’umanità. L’errore degli Stati moderni infatti, è stato determinato dall’essersi basati sul noto trinomio: “LIBERTÀ’, UGUAGLIANZA, FRATERNITÀ” dal 1789. Però l’uguaglianza non esiste in natura, ed affermarla a base della organizzazione sociale è cosa estremamente deleteria, come nel volgere dei tempi ben si è dimostrato e tuttora dimostra, con la conseguenza che la libertà è solo nelle dichiarazioni, mentre al popolo ne resta molto poca, e la fraternità è di fatto sparita. Occorre invece e per quanto possibile, organizzare uno Stato nel quale nessuno possa artificiosamente impedire ad altri di tentare di concretizzare l’essenza dèi proprio vivere, della quale la propria quotidianità è l’armonica realizzazione, secondo le proprie capacità e volontà, quest’ultima effettivamente realizzata e non solo enunciata:
Riteniamo che per cambiare le cose, si debba considerare che, in quanto parte di un gruppo, l’interesse particolare di ciascun individuo, spirituale o materiale che sia, può trovare migliore e più continua soddisfazione se tanto avviene nel contempo per l’intero gruppo. Gruppo che diviene popolo quando di tanto prende coscienza, e Nazione quando si accorge dei legami di continuità esistenti fra il vivere di ognuno e quello comune del gruppo stesso, nella consapevolezza delle medesime radici e dell’essere “comunità di destino”. Ciò vuol dire che quel che conta per garantire la libertà, non è l’uguaglianza, ma la socialità, altro grande valore indispensabile per la realizzazione della libertà stessa. Il suddetto trinomio allora si riassume in un unica parola: SOCIALITÀ, che con esclusione dell’uguaglianza gli altri due comprende, e nella considerazione della quale solo può parlarsi di effettiva sovranità del popolo, visto nelle sue diversità come nel suo insieme, richiedendo però ad ognuno il contemporaneo adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, cosicché dal gioco armonico delle diversità sia fatta sempre più vigorosa e più ricca la vita comune.
Ecco il Corporativismo, e con esso la Socializzazione, che soccorrono alla realizzazione di uno Stato nel quale non hanno voce dottrine teoriche e spesso utopistiche, ma realtà effettive, relative ad ogni attività umana intellettuale o materiale, ciascuna rappresentata in una comune assemblea istituzionale e raggruppata in una propria categoria.
Uno solo è il modo per combattere e vincere il capitalismo che subordina l’Uomo alle cose e travalica il campo economico trasformandosi in plutocrazia: eliminare ogni forma di parassitismo sociale e porre come finalità comune le priorità poste dalla realizzazione della libertà e dello sviluppo della Nazione, dando vita ad uno Stato che “Noi” chiamiamo ORGANICO. Uno Stato del quale ricevere la cittadinanza, possa dal forestiero essere considerato altissimo onore, come era un tempo il vivere con la legge romana. Sarà naturalmente necessario accantonare l’attuale Costituzione, e pur tenendo conto della nostra allergia per tali documenti ridondanti di belle parole poi inascoltate nei fatti e causa di eccessive e talvolta pruriginose staticità idonee per chi detiene il potere ma non per il popolo, sostituirla con un testo che contenga i principi fondamentali, le forme istituzionali ed il loro funzionamento.
Se i “18 punti” del “MANIFESTO DI VERONA” non pretendevano di essere più che un significativo “preambolo”, lo schema del “MANIFESTO PER IL XXI SECOLO” che “Noi” proponiamo dovrà essere un aggiornamento di quel preambolo, lasciandone immutato lo spirito, proseguendone gli intenti e precisando che non si tratterà mai di pesanti macigni, ma di linee sempre modificabili, allorché sarà dato di tradurlo in diritto positivo o in qualunque momento in caso di successive necessità
Aggiungiamo altresì a scanso di equivoci da parte di chiunque, che intendiamo raggiungere il nostro scopo all’interno e nel rispetto delle leggi vigenti.
Un passo dopo l’altro, per l’Italia e l’Europa di domani.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=12306