martedì 26 febbraio 2013

TIRIAMO LE SOMME DA QUESTE ELEZIONI



di Maurizio Barozzi 

Dunque, da quello che si può capire dovremmo avere una Camera con maggioranza della sinistra di Bersani, un Senato in equilibrio di numeri, e in entrambi i rami del Parlamento, una forte presenza del Movimento 5Stelle di Grillo.Con queste proporzioni, a bocce ferme, sarebbe impossibile varare un governo stabile. Se consideriamo che “stabilità” vuol dire scempio della Nazione e depauperamento di quel poco, quasi niente, di Stato sociale che è rimasto, la mancanza di questa “stabilità” non può che essere positiva, perchè i rischi della ingovernabilità sono più che compensati dalle difficoltà e impedimenti che troverebbero gli Organismi mondialisti e le Istituzioni europee, a perpetuare, attravgerso i loro “tecnici” e i partiti tradizionali, il massacro del nostro popolo. Chissà se poi si possa anche aprire la strada a qualche speranza di riscossa nazionale.Non a caso la stampa estera ha subito espresso preoccupazioni per la situazione italiana. Le loro preoccupazioni, ovviamente, costituiscono le nostre minime speranze di riscossa.

Stabilito questo, facciamo una semplice considerazione: è evidente che se non ci fosse stato il “fenomeno Grillo” ora avremmo il “governo dell’ “alternanza” ovvero di Centro Sinistra guidato da Bersani il quale avrebbe poi sicuramente chiuso il cerchio con una alleanza con Casini e Monti.Questa prospettiva, ma del resto sarebbe stata deleteria anche una difficile affermazione di Berlusconi il quale, in ogni caso avrebbe anche lui chiuso il cerchio con una alleanza con il centro di Casini e Monti, questa prospettiva, dicevamo, conseguenza di una vittoria di Bersani, avrebbe anche portato alla elezione di un Presidente ella Repubblica, di un finto “sinistro”, in realtà un uomo dei Banksters, probabilmente Prodi o Amato.Quello che chiamano lo “tzunami Grillo” ha invece scombinato le carte già assegnate ed ora si apre un periodo alquanto difficile da prospettare. Ma in buona parte almeno positivo se si considera lo scampato pericolo di un altro quinquennio “tradizionale” con governi a forte maggioranza di centro sinistra o, più improbabile, se fosse stato di centro destra.

Il Centro parassitario dei Casini e di Monti, escluso il gradito flop di Fini, è riuscito ad ottenere quel minimo bastante per portare Monti alla Camera. Questo consulente dei banksters, portato al governo per fare carne di porco dello Stato Sociale, avrebbe dovuto essere ridicolizzato ed espulso definitivamente dalla politica attiva, ma vuoi l’alleanza con il Vaticano, vuoi lo spazio politico che gli ha concesso il centro di Casini, ambiente da sempre pendolante nelle orbite governative nazionali o locali, dove la “raccomandazione”, l’ “inciucio” e il parassitismo sono la il loro brodo ci coltura, hanno permesso la sua elezione. Una vergogna per tutto il popolo italiano.Quanto sia spudorato quest’uomo e quanto si senta portato e protetto da certi “poteri forti”, lo possiamo vedere dalle sue indecenti dichiarazioni post elezioni, nelle quali ha affermato, senza una minimo di vergogna, che ora lui, di fatto ripudiato dall’elettorato, è ‘”l’ago della bilancia”. 

Restano le valutazione positive, sia sull’Astensionismo, arrivato a cifra da record, che sul successo del Movimento 5Stelle di Grillo, che dimostrano come il popolo italiano si sia veramente stancato di queste cariatidi della politica di questi parassiti di destra, di centro e di sinistra. L’ideale sarebbe stato quello di rottamarli tutti, ma per ora accontentiamoci.Basti pensare, che questi furfanti dei partiti tradizionali, negli ultimi 25 anni hanno distrutto interamente lo Stato Sociale: garanzie sul lavoro, pensioni, sanità, scuola, ecc., proiettando i cittadini nella indigenza e privandoli di ogni sostegno sociale; hanno disintegrato tutto quel tessuto di piccole imprese, ditte e managerialità che erano il vanto e la forza della nostra economia; hanno riportato gli anziani e non solo a raccattare avanzi nei mercati rionali; hanno liquidato tutto quel poco che era rimasto delle partecipazioni pubbliche che almeno garantiva, grazie al principio del non profitto, una distribuzione delle risorse e delle infrastrutture dei servizi ai cittadini, liberalizzando tutto quello che era possibile privatizzare, mettendolo così sotto la logica del profitto con gravi ripercussioni per la popolazione. E tutto questo per impinguare e garantire all’usura internazionale, ai banksters, altissimi profitti.Ma bastasse questo, no per carità, hanno anche svenduto ogni minimo residuo di sovranità nazionale, riempiendo il paese di basi militari Nato sotto controllo atlantico, basi anche atomiche esponendoci a rischi gravissimi; ci hanno portato in guerre assurde e indecenti per gli interessi atlantici.E per ultimo, grazie ad un mezzo colpo di Stato silenzioso, operato con la collaborazione di Napolitano, sono riusciti ad imporre, direttamente alla guida del governo del paese, un consulente delle grandi banche di affari, che in men che non si dica ha varato decreti, disposizioni e leggi atte, non solo ad adeguare tutta il tessuto economico e sociale agli interessi del sistema bancario, ma soprattutto ad ingabbiare e ammanettare i futuri governi del paese in modo che ottemperino, a prescindere di ogni altra sacrosanta necessità nazionale, al saldo dei debiti (la famosa “truffa” del debito pubblico) provocati dall’usura bancaria internazionale.

E di questo scempio della Nazione, in questi 25 anni sono stati tutti responsabili: la sinistra ex Pci ed oramai “liberal”, compresi i residuati di Rifondazione comunista che hanno liquidato un patrimonio quasi secolare di ideali, trasformandosi in una viscida tendenza politica di stampo neoradicale; il centro destra di Berlusconi, un coacervo di interessi privati, permeati dal più infame ideale liberista e consumista retaggio dell’americanismo, indecentemente asceso alla guida governativa del paese. Delle forze di Centro meglio non parlarne, sono lì, questi escrementi ex DC, da sempre presenti, dove c’è la “pappatoia” l’inciucio. E tutti questi partiti tradizionali, giocando sullo “scambio delle consegne del Parlamento”, determinato dall’alternanza politica, comunque determinata, continuavano ad andare avanti come se nulla fosse, grazie allo “spauracchip” che gli consentiva di turlupinare gli elettori: votate Bersani, altrimenti avremo ancora il “nano di Arcore”! No, votate Berlusconi, altrimenti vincono i comunisti! E giù idiozie di questo genere.Ora, di fronte allo scempio dello Stato sociale, alla dissoluzione totale della Nazione, una buona parte della popolazione, quella più intelligente, più colpita, più sensibile, si è ribellata e nonostante un certo “terrorismo” profuso a piene mani dai mass media, tutti di proprietà di gruppi finanziari interessati al Sistema (La Repubblica della finanza che ha in tasca il PD, è Sistema; il Messaggero dell’impero dei Caltagirone, sponsor di Casini, è Sistema: il Giornale e le Reti Mediaset sono Stistema, e così via), si è Astenuto o ha votato per Grillo. Se si considerano gli spauracchi e il lavaggi dei cervelli che il Sistema può e ha messo in atto, per sostenere i partiti tradizionali, non è poco.Sarà possibile, visto il successo elettorale ottenuto, trasformare questa affermazione in elementi positivi atti a impedire il proseguimento del massacro del popolo italiano?La domanda è alquanto problematica, perchè state pur certi che già da subito si sono messe in moto le tecniche infami del Sistema: primo, il ricatto della ingovernabilità agitato dai mass media e da tutti i partiti in via di rottamazione: spaventare il popolo per riesumare governi tradizionali; secondo la caccia, ed hanno anche avuto il coraggio di dirlo in televisione, a singoli elementi o gruppi di parlamentari del Movimento 5Stelle che andranno al parlamento.Si cercherà di comprarli, di corromperli di determinare qualche opportuna scissione. Conoscendo la nostra società occidentale, consumista, corrotta e corruttibile, abbiamo serie preoccupazione che queste manovre, in qualche modo, possano andare in porto. La storia ci insegna che come si mette piede nel Parlamento, nei consigli Regionali e Comunali, subito si è avviluppati in certe consuetudini, in certe “regola”, in un certo andazzo fatto di inciuci, allettamenti, possibilità di gestire e quindi ricavarne beni e potere, l’amminsitrazione pubblica. Sono sirene difficili da non ascotare. Lo abbiamo visto con Rifondazione Comunista, di cui abbiamo parlato, o anche con la Lega che da Roma ladrona, ci ha poi mostrato un sua perfetto calarsi nello stesso squallido andazzo per la cui denuncia aveva ottenuto tanti consensi.Staremo a vedere.

Un ultima osservazione: il flop clamoroso di alcuni gruppi come Casapound, Forza Nuova o della Sinistra antagonista. Ma possibile che ancora non si è capito che i ludi cartacei, le tornate elettorali, sono regolate da certe regole non scritte, da certe consuetudini consolidate, per superare le quale servono o gli appoggi dei mass media, che ovviamente in questi casi non ci possono essere, oppure un fenomeno particolare di “entusiasmo” collettivo, come è stato il caso di Grillo. Altrimenti non si supera la soglia della eleggibilità.Che almeno imparino, questi gruppi minoritari che vogliono professare antagonismo, una volta per tutte, che non è possibile “giocare” alle elezioni: non bastano le sacrosante ragioni di un certo antagonismo per avere il consenso popolare che necessiterebbe. La stragrande maggioranza delle persone che vanno a votare, sono gente semplice, facilmente influenzabile, sprovveduti che fanno oscillare le loro preferenze in base ad una infinità di fattori emotivi e ad una certa dose di interessi personali. Oltretutto il nostro paese è un paese di “vecchi” e quindi le forze giovanili scarseggiano, minimizzando la possibilità di ottenere voti di “rottura”.E’ così e basta, ce se ne faccia una ragione.

venerdì 22 febbraio 2013

I PARTITI SONO IL CANCRO DELLA DEMOCRAZIA


Gianfredo Ruggiero


Provate a fermare una qualsiasi persona per strada e domandategli cosa ne pensa dei politici. Vi risponderà peste e corna. Però la stessa persona alle prossime elezioni andrà diligentemente a votare e quindi a legittimarli, pur sapendo che sono in massima parte degli incapaci e spesso ladri e corrotti.
In passato li avremmo inseguiti con i forconi, ora invece non solo li tolleriamo e li manteniamo, ma li votiamo pure e, cosa ancora più grave, gli ascoltiamo senza renderci conto che quando aprono bocca parlano senza dire nulla. A parte le solite frasi fatte e scontate che dette da una normale persona sarebbero bollate come banalità.
Cosa significa che siamo diventati dei masochisti, oppure è il sistema che hanno architettato i padri costituenti a non lasciarci scampo e ad indurci alla più totale rassegnazione?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima capire come funziona questo perverso meccanismo che loro chiamano democrazia.
Lo stipendio di un parlamentare è alto, scandalosamente alto, e tale rimarrà perché gli serve per crearsi quel bacino elettorale necessario a garantirsi la rielezione alla fine del mandato e non correre quindi il rischio di tornare a lavorare.
La rete di consensi una volta creata va alimentata. Lo stipendio da parlamentare non basta a pagare le cene ai militanti,i regali per le assunzioni degli amici, i finanziamenti alle cooperative che poi lo sosterranno, ecc. In più vorrebbe anche godersi un po’ di quel bello stipendio che ogni mese gli viene puntualmente accreditato: la macchina di lusso, la seconda casa al mare e, magari, anche l’escort o il trans (dipende dai gusti) per alleviare la fatica… Ecco allora che si passa alla fase 2, quella dei finanziamenti occulti da cui deriva il cosiddetto “costo della politica”.
Le grosse società di costruzioni o di servizi per garantirsi gli appalti devono “oliare il meccanismo“ che consiste nella elargizione di prebende e tangenti al nostro deputato, assessore o sindaco che sia. E qui il cerchio si chiude: l’imprenditore si aggiudica l’appalto e il prezzo comprende i denari che il nostro politico incassa per sostenere il suo mandato.
La commistione tra mafia e politica e l’intreccio tra politica e affari nasce proprio da questo presupposto, dalla necessità del politico di allargare sempre più il suo bacino elettorale e di incrementare i suoi introiti per mantenerlo. Questa è la sua priorità, il Parlamento può attendere.
Il malcostume riguarda tutti i partiti, nessuno escluso. Lo conferma il lungo e colorato elenco di uomini politici inquisiti per mazzette, voti di scambio e utilizzo distorto dei finanziamenti pubblici che il notiziario ci scodella quotidianamente.
La corruzione della politica non è una degenerazione del sistema o il caso sporadico di qualche mela marcia – come vogliono farci credere – bensì la base della democrazia, di questa democrazia gestita e soffocata dai partiti.
In più i partiti, essendo associazioni private al pari delle Onlus e dei sindacati, sono esclusi dalla compilazione della denuncia dei redditi e i loro bilanci, nonostante le enormi cifre che ricevono dallo Stato, non sono consegnati alla Agenzia delle Entrate per essere passati al setaccio e resi consultabili come avviene con i cittadini e le Imprese, ma sono semplicemente depositati in Parlamento dove le verifiche sono puramente formali. Così vuole la Costituzione
Non a caso tutti gli scandali recenti è passati che hanno investito i tesorieri di partito sono scaturiti da indagini delle Guardia di Finanza e mai dagli organi di controllo del Parlamento.
La cosiddetta prima repubblica è crollata sotto il peso della corruzione, la seconda è stata edificata allo stesso modo. Chi parla di terza non è molto distante, in linea di pensiero, dalle precedenti.
Come mai, allora, ad ogni elezione andiamo puntualmente a votarli? Siamo forse stati colpiti dalla sindrome di Stoccolma, quella che porta la vittima di un sequestro ad infatuarsi del proprio carceriere? Per comprendere quale capolavoro i padri di questa repubblica nata dalla resistenza sono stati capaci di realizzare, è sufficiente domandarci perché ogni anno siamo chiamati a votare per le varie elezioni politiche, comunali, provinciali, regionali, europee, per i referendum, ecc. quando sarebbe più semplice ed economico raggrupparle in una unica scadenza. La risposta è facile: le continue votazioni servono a tenere alta l’attenzione verso la politica e a distrarre la nostra mente. Il perenne dibattito che ne scaturisce e la contrapposizione tra partiti servono a creare quella sorta di clima da stadio che coinvolge e accalora gli elettori e li porta a non capire che i problemi che i partiti si propongono di risolvere con il loro consenso in realtà li hanno creati proprio loro.
Non è finita: la decisione di chi dovrà sedere in Parlamento spetta in apparenza al cittadino elettore, in realtà è il capo partito che dispone. Infatti la composizione delle liste elettorali – e dei candidati alle primarie, altra presa in giro – è definita dalla segreteria di partito sulla base dei consensi (il cosiddetto “pacchetto di voti”) che ogni candidato può garantire. Le capacità e le competenze dell’aspirante deputato sono utili, ma non determinanti (questo spiega la presenza nelle liste elettorali di sportivi, attori e personaggi televisivi).
In pratica l’elettore è chiamato a ratificare decisioni prese dall’alto, nelle buie stanze dei partiti e senza alcun coinvolgimento popolare. Nella migliore delle ipotesi può scegliere all’interno di una rosa di candidati, le cosiddette preferenze, sempre calate dall’alto.
Tra partiti, poi, non vi sono differenze sostanziali, cambiano solo i cavalli di battaglia e gli slogan elettorali: federalismo per la Lega, giustizialismo per Di Pietro, mito americano per Berlusconi, pugno duro e tolleranza zero per le Destre, socialismo scolorito e ambientalismo annacquato per le sinistre… in realtà i loro programmi sono modi diversi di intendere lo stesso sistema imperniato sull’ideologia liberal-capitalista e basato sul potere assoluto e soffocante dei partiti.
La capacità dialettica, l’uso sapiente degli aggettivi (libertà, democrazia, tolleranza, pluralismo, solidarietà, ecc.) con cui i politici si riempiono la bocca e infarciscono i loro vuoti discorsi ci affascina. A sentirli parlare ci verrebbe voglia di votarli tutti.
A ciò si aggiunge l’asservimento della “libera stampa” sempre pronta a  denunciare gli scandali dei politici e gli sprechi di denaro pubblico (vedi i quotidiani servizi di striscia la notizia), ma che a mettere in discussione il sistema e a prospettare alternative al regime dei partiti neanche ci pensa.
Esattamente come avviene nella cinematografia hollywoodiana che può tranquillamente proiettare le violenze, la corruzione, l’arroganza e la forza bruta del potere, le ingiustizie e le nefandezze del sistema tanto nessuno metterà mai in discussione il modello americano. Infatti alla fine del film la libertà, la giustizia e la democrazia trionfano sempre.
I politologhi che affollano i salotti alla Bruno Vespa ammettono che il sistema è perennemente malato però — questa è la loro tesi — il sistema possiede gli anticorpi necessari per superare le ricorrenti crisi, non c’è quindi bisogno di cambiarlo, è sufficiente l’alternanza di governo o tuttalpiù, quando i mercati si inquietano e l’Europa si allarma, nominare qualche esecutivo tecnico per massacrarci di tasse e ridare fiducia ai mercati. Morale: abbiate fiducia nei partiti e continuate a votarli.
I signori del potere possono quindi dormire sonni tranquilli, ci pensano i mass media ad ammansirci. Al riguardo è stato profetico Orwell(3) che nel suo libro “1984” (scritto quasi quarant’anni prima, nel 1948) ha descritto esattamente la nostra attuale società che trae il suo consenso dalla falsificazione della memoria storica e dal condizionamento dei mezzi d’informazione. Fate caso ai titoli di quotidiani e notiziari e gli argomenti trattati: sono sempre gli stessi, un caso? No, è il gioco delle parti!
Torniamo al politico di turno. Una qualunque persona animata di sincero idealismo che volesse impegnarsi in politica per il bene comune o è straricco, in grado come Berlusconi di costruirsi un partito su misura, oppure deve aderire ad un partito esistente.
E qui inizia la trafila che lo porterà a fare e ricevere favori, a promettere elargizioni a questa e quella associazione di volontariato, a prospettare appalti alla cooperativa di turno e a farsi sostenere da qualche potente lobby.
E se non accetta il sistema e vuole continuare a fare l’idealista? Nessun problema rimarrà un semplice e innocuo consigliere comunale, senza futuro politico, guardato con diffidenza dai suoi compagni di partito e silurato alla prima occasione.
Veniamo ora alla questione chiave, quella riguardante la differenza tra democrazia e libertà che sono usati come fossero sinonimi, quando invece sono due concetti ben distinti.
La Democrazia è una forma di Stato che affida l’esercizio della volontà popolare ad una sua rappresentanza. Sulla definizione di rappresentanza popolare passa l’enorme differenza tra la Democrazia Parlamentare, quella attuale delegata ai partiti, e la Democrazia Diretta, il nostro ideale, che si basa sull’ingresso in Parlamento dei rappresentanti delle società civile.
La Democrazia di oggi, inoltre, si esprime e si esaurisce attraverso un semplice gesto: una croce su una scheda per eleggere un parlamentare che molto spesso manco conosciamo (sfido chiunque a indicarmi qual è stato il deputato o senatore che ha contribuito ad eleggere alle ultime elezioni). Rilasciata questa delega in bianco la nostra democrazia si conclude.
La stessa filosofia è applicata al concetto di libertà. Siamo un Paese libero perché chiunque può manifestare il suo pensiero, scrivere ai giornali, protestare in piazza e perfino scioperare e poi… tutto come prima. «si, si protestate pure tanto poi alla fine decidiamo noi… per il vostro bene, naturalmente» questo è quello che pensano i nostri politici. La loro ostentata sicurezza deriva dalla certezza che nessuno li smuoverà mai.
Per libertà io invece intendo non solo quelle politica e di espressione, ma soprattutto quelle civili: libertà di prospettare un futuro ai nostri figli, libertà di avere un lavoro sicuro, una casa in proprietà e una pensione degna di questo nome, un’assistenza sanitaria garantita e una scuola pubblica seria; libertà di dormire con le finestre spalancate e di passeggiare a tarda sera senza il timore di essere  aggrediti….questa è la libertà, la vera libertà che solo uno Stato serio e svincolato dai partiti può garantire.
L’esaltazione della Resistenza elevata a mito fondante, la demonizzazione del Fascismo definito il male assoluto e la continua e ossessiva riproposizione dell’Olocausto ebraico sono fattori determinanti per indurre in noi la convinzione che oltre la (loro) democrazia, c’è solo la dittatura e il ritorno ad un passato di sopraffazione, morte e distruzione.
Lo scopo è chiaro: scoraggiare e bloccare sul nascere qualunque tentativo, anche involontario, di messa in discussione del regime dei partiti. Possiamo parlarne male, denunciare le loro schifezze, il loro asservimento ideologico, ma guai a toccarli perché “ i partiti sono il baluardo della democrazia”.
Dobbiamo invece ribellarci a questa dittatura del pensiero ed avere il coraggio di opporci a chi, in nome di una democrazia fasulla e di una libertà formale, vuole in realtà perpetuare il suo smisurato potere e i suoi enormi privilegi.
Gianfredo Ruggiero
(1) Nel suo celebre libro George Orwell rievoca le sue grandi paure – il totalitarismo, la falsificazione e la perdita di memoria storica indotta dai mezzi d’informazione, la corruzione del linguaggio, l’annullamento dell’identità individuale – convogliate in una descrizione di società del futuro di una attualità sconvolgente e raggelante. Ed. Oscar Mondadori. Ristampa 2011.

lunedì 18 febbraio 2013

IL PROGRESSO AVANZA ma la civiltà muore


di Gianfredo Ruggiero


Quando, nel 1922, si insediò il nuovo governo a guida fascista il primo provvedimento in ambito sociale fu l’abolizione del lavoro minorile, seguito dalla settimana lavorativa di 40 ore, dalle ferie retribuite, dall’istituzione dell’INPS e dell’INAIL, dalla Magistratura del Lavoro, dai contratti collettivi, dalla liquidazione (TFR), dalle case popolari, dalle colonie estive, dalle esenzioni tributarie per le famiglie numerose, dalla sanità pubblica e dalla scuola per tutti … in poche parole fu fondato lo Stato Sociale, invidiato da tutto il mondo civile e poi malamente scimmiottato da Roosevelt con il New Deal americano (l’America si risollevò dalla grande depressione degli anni trenta solo con l’entrata in guerra che diede slancio all’industria degli armamenti, ancora oggi pilastro dell’economia USA).
Lo Stato Sociale fu poi completato nel 1943 con la “Socializzazione delle Imprese” che introdusse nell’ordinamento italiano la partecipazione dei lavoratori alla gestione ed agli utili delle grandi Aziende, immediatamente abolita nel 1945 come primo atto del nuovo governo di liberazione.
Di questa idea rivoluzionaria, che se mantenuta avrebbe posto fine alla contrapposizione padroni-operai e superato in un sol colpo le ideologie marxista e capitalista, rimane solo una labile traccia nella nostra Costituzione (art.46). 
La Germania, invece, ne ha tratto spunto per introdurre la cogestione, motore della sua possente economia.
In quegli anni, grazie alla diffusa libertà d’Impresa (si soppresse la libertà politica per esaltare le libertà civili, afferma lo storico Gioacchino Volpe), il sostegno del Governo all’economia, al controllo sull’operato delle banche e alla successiva istituzione dell’IRI e dell’IMI, si affermarono tutte quelle grandi Imprese, a partire dalla Fiat, che oggi conosciamo.
Molte di queste grandi Aziende, che hanno fatto dell’Italia una potenza economica mondiale, sono oggi scomparse, trasferite all’estero o trasformate in semplici marchi commerciali.
La  globalizzazione, imposta dalla finanza apolide e accettata da tutti i governi, ha sostituito il principio fascista dell’interesse nazionale con quello capitalista del libero mercato che significa: produco dove mi pare e alle condizioni che voglio e i risultati, in termini di delocalizzazioni industriali, invasione di prodotti cinesi,  guerra tra poveri che contrappone immigrati sfruttati a disoccupati italiani e conseguente razzismo strisciante, sono sotto gli occhi di tutti.
Con la fine del Fascismo iniziò il graduale smantellamento dello Stato Sociale, paradossalmente difeso dalla sinistra (prima che diventasse forza di governo).
Negli ultimi decenni la scellerata politica delle privatizzazioni e della flessibilità del lavoro, voluta dalla destra e accetta dalla sinistra (non a caso il lavoro interinale è stato introdotto da Prodi e perfezionato da Berlusconi), ha cancellato ogni residua traccia dello Stato Sociale voluto da Mussolini.
La pietra tombale è stata posta oggi dalla riforma FIAT-Marchionne che con i referendum-ricatto ha riportato l’Italia indietro di oltre 80 anni. Ai tempi dell'italietta giolittiana e dei “padroni dalla belle braghe bianche”.
….e la politica? Tace e acconsente.
Gianfredo Ruggiero, Presidente Circolo Excalibur
Excalibur

Circolo Culturale Excalibur - Alternativa Verde
Varese (Italia)
Cod. Fiscale 91049420127



sabato 16 febbraio 2013

Plutocrazia farisaica



Francesco Fatica

Una corretta inquadratura della storia del Novecento non può prescindere dal mettere nel giusto rilievo l’accorta regia americana per raggiungere il predominio economico mondiale, purtroppo ormai conseguito.
Infatti, a ben vedere, le due guerre mondiali, come ha giustamente rilevato Luigi Saverio(1), si configurano come due episodi convergenti di un unico disegno che ha scatenato le due guerre - ormai riconosciute come vere e proprie guerre civili europee - per ottenere l’abbattimento della supremazia europea ed il conseguente sfaldamento degli imperi coloniali, che apportavano ricchezza al Vecchio Continente, lasciando così campo libero all’affermarsi dell’egemonia economica mondiale di Wall Street.
Questo disegno così articolato e sincronizzato poteva riuscire soltanto con il coordinamento spregiudicato e cinico della massoneria universale, che si è avvalsa di ignominiose collusioni e criminali favoreggiamenti di tanti europei infiltrati nei più alti gradi dell’establishment.(2)
La strategia callida adottata dal “Supremo Grande Oriente Universale” di Wall Street fu semplicemente quella di spingere gli europei a combattersi fino al vicendevole annichilimento, e di intervenire poi, a guerra ormai conclusa, per poter assidersi prepotentemente e pesantemente al tavolo della pace, determinando ogni volta, a Versailles ed a Parigi, le condizioni che avrebbero riacceso le rivalità fra europei.
Si rifletta bene.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Volendo esaminare, in particolare gli eventi a noi più vicini e brucianti della seconda guerra mondiale, risalta con immediatezza e chiarezza l’uso strumentale dell’illusorio ideale democratico, liberaleggiante, “libertario”, nella propaganda per abbattere gli stati autoritari. Qui è più difficile riconoscere la linea di fondo della strategia, in quanto l’ideale democratico è stato ormai mitizzato dogmaticamente; il popolo è stato illuso di essere “l’unico depositario del potere” secondo le sue “libere” convinzioni. Ma basta riflettere invece in realtà, sul potere enorme che hanno oggi, in maniera sempre più crescente gli attori della propaganda, (i cosiddetti ”opinion makers”, cioè letteralmente “fabbricanti di opinioni”) per suggerire, diffondere, ribadire e confermare le opinioni del popolo, distratto oltretutto, con l’antica, ma sempre valida strategia del “panem et circenses”, dai pur gravi problemi che l’affliggono.
Oggi i mass-media hanno incapsulato i nostri più profondi convincimenti, i nostri più reconditi pensieri.
Il mito della libertà, della democrazia, dell’indipendenza, si conferma soltanto come un mito, ma l’illusione democratica resta tenacemente incastrata nelle nostre menti offuscate da un diluvio monocorde di informazioni suggestionanti.
Infatti la tanto strombazzata libertà di stampa resta limitata ed in pratica annullata dalla difficoltà di procurarsi i capitali per sopperire ai carichi finanziari necessari per la realizzazione e per la diffusione. Centuplicatamene poi la stampa che conta, e non solo la stampa, ma ancora peggio le radio, le televisioni cosiddette “libere”, il cinema, l’editoria, hanno bisogno di consistenti impegni finanziari geometricamente proporzionali all’importanza del mezzo di suggestione ideologica.
E qui sta il nocciolo della truffa: attraverso un’oculata e attenta inondazione di sovvenzioni occulte si è padroni della stampa e del resto dei mass-media più importanti, la minuta informazione si può lasciare alla libera iniziativa individuale, tanto quel che importa è fabbricare l’opinione di una maggioranza. E non sarebbe importante neanche arrivare a catturare le coscienze della maggioranza del popolo, è sufficiente arrivare a plagiare la maggioranza dei votanti!
Passando alle cifre: in quei paesi, come la stessa America, dove vota poco più del 50 per cento del popolo, basta arrivare a convincerne un 26 per cento per ottenere una maggioranza che autorizzi anche i più criminosi disegni di chi abbia avuto la possibilità finanziaria di asservire mass-media e partiti.
Questo sporco gioco finanziario a maggior ragione ha efficacia nel sostenere qualche partito politico, dove è evidente per chi voglia rifletterci, l’enormità crescente delle spese per necessità organizzative, di propaganda e quant’altro. E’ pur vero che ci sono stati leaders che hanno usufruito di finanziamenti per svolgere un loro disegno politico indipendente, ma la necessità di ottenere e conservare un sostegno finanziario finisce per ridurli al vassallaggio.
Ciò premesso, vogliamo esaminare i retroscena delle vicende che più ci toccano da vicino.
La particolare guerra civile che dilaniò l’Itala fu voluta fortemente dagli angloamericani che la finanziarono largamente e senza rimetterci una lira, anzi guadagnandoci sopra al cambio, e addebitandone gli importi alle finanze già esauste del regno del Sud.
Dunque gli “Alleati” assoldarono mercenari disposti ad assassinare quei compatrioti che, essendo fascisti, non erano disponibili ad accettare il vassallaggio agli americani. Le sanguinose tragedie della guerra civile ebbero anche l’effetto - producente ancora per gli americani - di dilaniare il contesto nazionale italiano, annientandone praticamente la potenzialità di indipendenza e contribuendo ad incrinare ulteriormente il lacerato contesto unitario europeo.
In breve anche quegli illusi partigiani che credevano di impegnarsi nelle lotte fratricide più criminali per ottenere il trionfo del comunismo, finirono invece ciecamente per favorire il trionfo del supercapitalismo internazionale di Wall Street.
Ed il vassallaggio assassino continuò e fu farisaicamente tollerato anche dopo la fine della guerra; e furono tollerate ed avallate le cosiddette corti di assise straordinarie (le minuscole sono d’obbligo). Si otteneva così la selezione e poi l’eliminazione cruenta dei fascisti più convinti ed ideologizzati. Ancora conformemente gli americani non hanno opposta alcuna remora nel consegnare ai partigiani, o alle CAS che li richiedevano, quei prigionieri di guerra che erano reclusi nei loro campi di concentramento. Si otteneva così il doppio effetto di far trucidare i più irriducibili oppositori al capitalismo e di rinfocolare il desiderio di vendetta dei fascisti verso quelli che apparivano idiotamente i responsabili della Mattanza. Ma si generarono inoltre nella massa non impegnata sentimenti di orrore, di repulsione e sbigottimento che hanno contribuito a scavare un solco profondo tra italiani.
Anche questo fece gioco per l’America occupante e padrona. Divide et impera.
Tuttavia, paradossalmente, gli oppositori al regime di occupazione nel Sud invaso, fascisti clandestini, non venivano sottoposti a trattamenti altrettanto feroci, nonostante le pene di morte esplicitamente minacciate dai bandi dell’AMGOT (Allied Military Governement of Occupied Territory).
Può sembrare strano, ma i Tribunali Militari Territoriali di Guerra del regno del Sud, strettamente monitorati dal regime di occupazione, in tutti i numerosi processi di cui ebbero ad occuparsi, furono costretti a sconfinare nell’assurdo giuridico pur di evitare le pene di morte previste dal Codice Militare di Guerra per i numerosi fascisti appartenenti a bande armate.
Gli stessi agenti del CIC, il controspionaggio americano, si occuparono spesso di relegare in campo di concentramento per la durata della guerra quei fascisti che potevano costituire una preda per tante corti di giustizia italiane, sottraendoli così al loro zelo antifascista. Esempio paradigmatico è il trattamento riservato a una ventina di fascisti clandestini del Gruppo “Onore” di Roma, inviati in campo di concentramento, suscitando le ire di qualche zelantissimo funzionario di polizia in foia di promozione, di cui sono state rintracciate le testimonianze nell’Archivio Centrale dello Stato. Un altro esempio sensazionale è la vicenda della leggendaria principessa Maria Pignatelli, che, inviata nel tempo in vari campi di concentramento, non fu mai sottoposta a processo.
La spiegazione di tanti paradossi sta nel voler preservare elementi sicuramente anticomunisti, che avevano dato prova di coraggio, forza d’animo e spiccato senso dell’onore e quindi fedeltà alla parola data. E pertanto, tra tanti tiepidi anticomunisti badogliani, ambigui e poco affidabili, gli unici a poter dare una seria garanzia di impegno anticomunista, erano proprio quei fascisti.
Analogamente gli americani dell’OSS si comportarono con gli appartenenti alla Decima, ritenuti giustamente anticomunisti, e in molti casi a torto anche scarsamente ideologizzati in senso fascista.
Quando, nell’immediato dopoguerra, polizia e magistratura neo-democratiche cominciarono ad arrestare un po’ dappertutto i reduci della X Mas che erano tornati alle loro case, il ten. MOVM Luigi Ferraro andò a protestare al Comando Alleato a Venezia, che inviò immediatamente dispacci urgenti a tutte le polizie per effetto dei quali tutti gli arrestati furono prontamente rilasciati. Tutti, tranne il guardiamarina, agente speciale Gino Kalby, rimasto in carcere per la pervicace e puntigliosa opposizione dell’inesorabile maggiore dei carabinieri reali, del C.S. di Napoli, Oreste Pecorella. Atto sovrumano di caparbia testardaggine poliziesca, perfino in contrasto con i suoi diretti padroni dell’OSS!(3)
L’astiosa eccezione, un dettaglio che conferma la regola, vale a dimostrare, ove ce ne fosse bisogno, che gli americani, se avessero voluto, avrebbero potuto salvare tantissime vittime dalla ferocia antifascista. Specialmente dalla ferocia di tanti, come Scalfaro, che avendo operato al servizio della RSI, desideravano allinearsi zelantemente alla moda spietata della nuova opportunità.
A morte! A morte!
Facendo un salto di sessant’anni, la cronaca attuale ci dà conferme chiarissime dei postulati suesposti e sostenuti.
Quando vennero a mancare i finanziamenti dall’Urss, abbiamo potuto assistere al pellegrinaggio di un D’Alema a Wall Street. Avrebbe potuto essere un semplice viaggio da turista, non c’è che dire, nulla autorizza il lettore a drizzare le antenne; c’è di fatto però che si allinearono alla politica americana.oltre Tony Blair laburista d’assalto, anche la smaniosa sinistra europea e l’inclita sinistra italiana.
Ed inconsapevoli soldati inglesi e italiani andarono a morire d’uranio impoverito per Bush.
Più tardi spudoratamente, ma forse sbaglio, un altro leader fece un analogo viaggio di piacere a Wall Street; è stato un errore parlare di sdoganamento, si trattava di un semplice, meritato viaggio di svago, di diporto, di sollazzo se volete, di evasione dopo tanto faticare a tenere unito un partito, che peraltro aveva cominciato a prendere l’aire diportista e vacanziero già a Fiuggi. E senza dubbio fu un viaggio di piacere pure quello in Israele, anche se per uno sfizio “esotico” il leader si fece fotografare con la Chippa.
Fatto sta che il partito adesso non soffre più delle periodiche crisi finanziarie di tanti anni fa. E se proprio capita che qualche crisi locale pur si manifesta, si tratta soltanto di crisi di oppositori, in quanto i cordoni della borsa li tiene ben stretti il leader: sono il suo scettro di comando.
E se pure si dovesse manifestare un dissenso in una qualche fastosa e solenne assemblea nazionale, tutto rientrerà poi a causa della necessaria, canonica contabilizzazione e ripartizione delle spese… democraticamente.

E intanto soldati italiani sono mandati a morire in terre lontane per sostenere la politica di Bush.
E anche a costo di aggravare la crisi economica dello Stato, il popolo italiano paga le spese perché venga imposta in Iraq e poi magari anche in Iran la democrazia, farisaico strumento di egemonizzazione plutocratica.
La democrazia…un mito. Ma ora sappiamo che cos’è.
Francesco Fatica
(1) - Luigi Saverio,Fascismo, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2003.

http://www.isses.it/

Video appendice:
http://ildocumento.it/attivismo/la-guerra-alla-democrazia-di-john-pilger.html

Questo film documentario (The war on democracy) parla del potere dell’impero e di quello del popolo. E’ stato girato in Venezuela, Bolivia, Cile, Guatemala, Nicaragua e Stati Uniti. Racconta la storia, attraverso la voce dei protagonisti che la vivono, del “giardino nel retro” dell’America, il termine spregiativo dato a tutta l’America Latina. Descrive la lotta dei popoli indigeni prima contro la Spagna, poi contro gli immigranti europei che hanno rinforzato la vecchia elite. Le riprese si sono concentrare sui barrios, dove vive il “popolo invisibile” del continente, in baracche infernali che sfidano la legge di gravità.

Racconta, soprattutto, una storia molto positiva: quella del sollevarsi dei movimenti sociali che ha portato al potere governi che promettono di ergersi contro chi controlla la ricchezza nazionale e contro il padrone imperiale. Il Venezuela ha spianato la strada, e un punto focale del film è una rara intervista faccia-a-faccia con il presidente Hugo Chavez, la cui crescente consapevolezza politica, e il cui senso della storia (e dell’umorismo) sono evidenti. Il film indaga il colpo di stato del 2002 contro Chavez e lo inserisce in un contesto contemporaneo. Descrive anche le differenza tra il Venezuela e Cuba, e il cambiamento nel potere economico e politico da quando Chavez è stato eletto per la prima volta.

John Pilger è un giornalista vincitori di numerosi premi, autore di libri e regista di documentari, che ha iniziato la sua carriera nel 1958 in Australia, la sua patria, prima di trasferirsi a Londra negli anni ’60. Ha iniziato come corrispondente estero e reporter dalla prima linea, a partire dalla guerra in Vietnam del 1967. E’ un feroce critico delle avventure estere, economiche e militari, dei governi occidentali.

“Per i giornalisti occidentali”, dice Pilger, “è troppo facile vedere l’umanità in termini della sua utilità per i ‘nostri interessi’ e per come segue le agende dei governi che decretano chi siano i tiranni buoni e quelli cattivi, le vittime degne e quelle indegne, e presentare le ‘nostre’ politiche come sempre benigne, quando di solito è vero il contrario. E’ il lavoro del giornalista, anzitutto, guardare nello specchio della propria società”.

Pilger crede anche che un giornalista dovrebbe essere custode della memoria pubblica e cita spesso Milan Kundera; “La lotta del popolo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”.



mercoledì 13 febbraio 2013

Nicola Bombacci e la socializzazione


di: Maurizio Barozzi


Genova, 15 marzo 1945, siamo quasi all’epilogo di una guerra spietata imposta all’Europa dalle grandi plutocrazie occidentali.
Tanti, anche nelle file del fascismo pensano a come salvarsi, qualcuno persino a come riciclarsi e comunque nessuno si fa più illusioni, la guerra è inevitabilmente perduta e le conseguenze nazionali e personali saranno gravissime.
Il 12 febbraio dell’anno precedente, il 1944, erano stati varati i primi decreti Legge sulla Socializzazione delle imprese: una riforma rivoluzionaria per il mondo del lavoro, ma anche per tutta l’economia nazionale la quale, accompagnandosi con altre riforme come quella sul libero mercato azionario, sul mercato immobiliare e della casa, sui delicati settori primari del vestiario e dell’alimentazione, e soprattutto alla legislazione Corporativa e alle Leggi sullo Stato sociale, veniva a instaurare l’unica forma di socialismo possibile: quella “dentro” la Nazione e preservando comunque l’iniziativa e la proprietà privata (senza le quali si “uccide” los viluppo e sconfinare nel supercapitalismo di stato), ma subordinandole agli interessi dello Stato e inquadrandole in un ottica di giustizia sociale. L’esatto contrario dello Stato liberista.
Purtroppo l’attuazione della Socializzazione finì per insabbiarsi a causa delle necessità belliche, ma soprattutto a causa di un triplice boicottaggio:
in primis quello degli industriali che, ovviamente, non volevano spartire la direzione delle Aziende con il mondo del lavoro, nè tantomeno ripartire gli utili. Questi pescecani, che sono magari disposti a farlo come “elargizioni”, fuori busta, elemosina, ma mai come atto dovuto di giustizia sociale, presero ad appoggiarsi e a giocare su due sporchi tavoli per boicottare la socializzazione: i tedeschi e i comunisti.
I tedeschi, infatti, secondo elemento del boicottaggio, ragionavano esclusivamente in termini di economia di guerra e quindi erano unicamente interessati a quel poco di produzione militare e para militare che l’industria italiana poteva garantirgli: ergo, se gli industriali gli assicuravano che questa socializzazione era una complicazione alla produzione, i tedeschi gli davano ascolto.
Terzo elemento di boicottaggio della socializzazione furono i comunisti. Presenti clandestinamente nelle fabbriche tra i rappresentanti sindacali, i comunisti boicottarono con tutte le loro forze quella riforma che, ideologicamente, li spazzava letteralmente via dal mondo del lavoro. Era veramente la fine della marxiana lotta di classe, ma questa volta non in virtù di una pace sociale in qualche modo imposta alle categorie produttive, ma per una ricomposizione sociale, ideologica e pratica che rendeva inutili e assurde le rivendicazioni di classe.
Fu così che i comunisti passarono la parola d’ordine di boicottare tutte le elezioni dei delegati dei lavoratori nel complesso socializzato. E, salvo alcune aziende, dove le elezioni si tennero con ampia partecipazione, nel complesso ci riuscirono, con l’approvazione padronale e praticamente riuscirono a far agire i lavoratori contro i loro interessi, aiutati dalla paura, dal terrore, che incutevano, forti delle prospettive che ci sarebbero state con la fine di una guerra oramai scontata nel suo esito.
Le sinistre completarono poi l’opera a guerra finita quando, accogliendo le richieste Alleate, abolirono tutte le Leggi sulla socializzazione.
In cambio gli furono concesse svariate opere del Regime, sedi e locali di altissimo valore dove si installarono i sindacati, organismi vari e quant’altro, e per abbindolare e tacitare la classe operaia, gli vennero concesse legittimazioni di rappresentanze sindacali e qualche gratifica.
Insomma un immondo baratto: in cambio di immobili e piatti di lenticchie per i lavoratori, la grande riforma socialista e rivoluzionaria venne abrogata, per sempre. Gli Agnelli, i Valletta, i Falk, gli Edison, e tutti gli altri industriali della Confindustria, che anche sotto il fascismo si erano abbondantemente arricchiti, ringraziarono.
Ma torniamo a quel 15 marzo 1945 ed esattamente in piazza De Ferrari a Genova, dove un eccellente e genuino oratore, che era stato socialista, poi tra i fondatori del comunismo nel 1921 ed aveva conosciuto Lenin anche nelle ore pericolose della rivoluzione bolscevica, cioè il romagnolo Nicola Bombacci, classe 1879, un tempo chiamato il Lenin di Romagna, arringò una enorme folla che, più che altro, fu individuata negli operai delle industrie navali liguri e delle fabbriche siderurgiche e meccaniche di Sampierdarena, di Cornigliano, di Sestri Ponente, di Pegli e di Voltri, nonché della Valbisagno e della Valpolcevera.
Nicola Bombacci, come ricostruito da Bruno de Padova (http://www.italia-rsi.org/uomini/bombacci.htm) diede sfoggio a tutta la sua eloquenza rivolgendosi ai produttori genovesi:
<<Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre… . Ed aggiunse: Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno… Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario…>>.
Ricorda De Padova: “Nel contempo, tra lo stupore di tutti per quel linguaggio senza indugi, l’operaio metallurgico Paolo Carretta – presente col pubblico – salì spontaneamente sul palco e volle testimoniare della sua esperienza drammatica di comunista esule nell’URSS staliniana, fatto che consentì a Bombacci di esortare i liguri al riscatto dell’Onore nazionale dopo il tradimento dei Savoia, di Badoglio e dei massoni, ma anche tutti a partecipare attivamente alla formazione dei consigli di gestione nelle aziende perché si trattava di “Conquiste che, comunque vada, non devono andare perdute” onde galvanizzare la socializzazione in fase di compimento, dato che “Presto tutte le fabbriche saranno socializzate e sarà esaminato anche il problema della terra e della casa perché, tutti i lavoratori devono possedere la loro terra e la loro casa…”.
La genesi della Socializzazione, venne riassunta su una Corrispondenza Repubblicana del 24 febbraio 1944, attribuita a Mussolini:
<<Il secondo degli otto punti che precedono il testo del decreto sulla socializzazione delle imprese approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 febbraio, dice che uno dei criteri fondamentali che hanno ispirato il decreto stesso è la rivendicazione della concezione mussoliniana di una più alta giustizia sociale, di una più equa distribuzione della ricchezza, della partecipazione del lavoro alla vita dello Stato... Già il 20 marzo 1919 tre giorni prima della fondazione dei Fasci, Mussolini così parlava agli operai di Dalmine: “Non siete voi i poveri, gli umili, i reietti secondo la vecchia retorica del socialismo letterario; voi siete i produttori ed è in questa vostra qualità che voi rivendicate il diritto di trattare da pari con gli industriali… Voi giungerete a funzioni essenziali nella vita moderna. Il divenire del proletariato è problema di capacità e di volontà… E’ il lavoro che nelle trincee ha consacrato il suo diritto a non essere più fatica, disperazione, perché deve diventare orgoglio, creazione, conquista degli uomini liberi nella Patria libera e grande entro e oltre i confini”.
Il 9 ottobre 1919 aveva luogo la prima grande adunata fascista. Ecco quel che conteneva la relazione Fabbri sul programma del fascismo, letta in quella occasione: “Problema sociale: a) sollecita promulgazione di una legge che sancisca per tutti i lavoratori la giornata legale di otto ore sull’effettivo lavoro; b) miglioramento di paga; c) partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori al funzionamento tecnico dell’industria; d) affidamento alla stesse organizzazioni proletarie della gestione d’industria e servizi pubblici; e) modificazione del disegno di legge d’assicurazione sull’invalidità e vecchiaia, fissando il limite d’età a seconda dello sforzo che esige ciascuna specie di lavoro; f) obbligo ai proletari di coltivare le terre; le terre non coltivate dovranno essere date a cooperative di contadini; g) riforma della burocrazia ispirata al senso della responsabilità individuale”.
Il ministero delle Corporazioni veniva inaugurato il 31 luglio 1926.
E Mussolini diceva con precisazione nettissima:
“La gente del lavoro fu fino a ieri misconosciuta e negletta dallo Stato vecchio regime. La gente del lavoro si accampò fuori dello Stato e contro lo Stato. Oggi tutti gli elementi della produzione, il capitale, la tecnica, il lavoro, entrano nello Stato e vi trovano gli organi corporativi per l’intesa e la collaborazione”.
Al congresso dei sindacati fascisti in Roma, tenutosi il 7 maggio 1928, il Duce faceva la seguente programmatica dichiarazione:
“Occorre ancora migliorare qualitativamente le nostre masse, far circolare cioè la linfa vitalissima della nostra dottrina nell’organismo sindacale italiano. Quando queste condizioni si siano realizzate, noi passeremo audacemente ma metodicamente alla terza e ultima fase: la fase corporativa dello Stato italiano. Il secolo attuale vedrà una nuova economia. Come il secolo scorso ha visto l’economia capitalistica, il secolo attuale vedrà l’economia corporativa… Bisogna mettere sullo stesso piano capitale e lavoro. Bisogna dare all’uno e all’altro uguali diritti e uguali doveri”.
E il 6 ottobre 1934 il Duce ribadiva il suo programma sociale con le seguenti parole, in cui per la prima volta veniva definito il concetto della «più alta giustizia sociale”:
“Il fascismo stabilisce l’uguaglianza verace e profonda di tutti gli individui di fronte al lavoro e di fronte alla nazione… Che cosa significa questa più alta giustizia sociale? Significa il lavoro garantito, il salario equo, la casa decorosa; significa la possibilità di evolversi e di migliorare incessantemente. Non basta. Significa che gli operai, i lavoratori devono entrare sempre più intimamente a conoscere il processo produttivo e a partecipare alla sua necessaria disciplina”.
Un logico sviluppo del concetto di giustizia sociale è la seguente affermazione fatta da Mussolini il 13 marzo 1936: “Devono raccorciarsi e si raccorceranno, nel sistema fascista, le distanze fra le diverse categorie di produttori…”.
Il 23 marzo 1936, infine, Mussolini pronunciò un discorso alle Corporazioni parlando delle “industrie-chiave» che interessano direttamente e indirettamente la difesa e la vita della nazione. In tale occasione, egli si poneva questi interrogativi:
«… L’intervento dello Stati in queste grandi unità industriali sarà diretto o indiretto? Assumerà la forma della gestione o del controllo?”. E rispondeva:
“In taluni rami potrà essere gestione diretta, in altre indiretta, in altri un efficiente controllo. E’ perfettamente logico che anche nello Stato fascista questi gruppi di industrie cessino di avere anche de iure la fisionomia di imprese a carattere privato… Questa trasformazione costituzionale di un vasto importante settore della nostra economia si farà senza precipitazione, con calma, con decisione… In questa economia i lavoratori diventano con pari doveri collaboratori nell’impresa, allo stesso titolo dei fornitori di capitale o dei dirigenti tecnici”.
Sarebbe facile, come appare ovvio a chiunque conosca le manifestazioni del pensiero sociale mussoliniano, continuare; ma queste poche citazioni sono sufficienti per documentare la coerenza rivoluzionaria del fascismo, il quale non rinnega ora le proprie origini e i propri ventennali sviluppi, ma si rifà alla loro più genuina essenza travolgendo gli esterni ostacoli e le interne resistenze che si frapponevano alla piena realizzazione dei suoi altissimi fini sociali>>.
Era scontato che, con questi presupposti, Bombacci si schierasse immediatamente a fianco di Mussolini, ben conscio del tragico destino che avrebbe coinvolto entrambi.
Del resto Bombacci, già negli anni ’20, si era reso conto del carattere fraudolento del comunismo. I suoi atteggiamenti, le sue posizioni atipiche, finirono per farlo espellere dal PCdI, mentre al contempo, nonostante i dissidi e le opposte barricate, Mussolini e Bombacci erano sempre stati tra loro uniti da una profonda amicizia.
Nei primi anni di governo, anzi, Mussolini in qualche modo utilizzò Bombacci e le sue entrature in Russia, per portare avanti vari accordi commerciali con quel paese, compreso il riconoscimento internazionali dell’Urss.
Durante il ventennio Bombacci si ritrovò emarginato dai suoi ex compagni comunisti, mal visto dai fascisti, in particolare quelli con tendenze reazionarie e finì anche in gravi ristrettezze economiche famigliari. Ma potè sempre contare sulla solidarietà e gli aiuti “discreti” di Mussolini. Generosità questa che Bombacci non dimenticò mai.
L’avvento delle Corporazioni, la politica autarchica e le tante riforme sociali del ventennio spinsero Bombacci ad esprimere molte approvazioni alla politica mussoliniana. Dal 1936 Mussolini aveva anche consentito a Bombacci, esempio non unico, ma raro, nella dittatura del ventennio, di pubblicare una sua rivista, nomata “La Verità”, non a caso un nome a similitudine della Pravda sovietica.
Anche per la guerra, Bombacci si rese ben conto che, al di là della propaganda, era in atto uno scontro apocalittico con le grandi plutocrazie occidentali.
Nel pensiero e nel comportamento di Bombacci, quindi, ci fu molta più coerenza di quella di altri socialisti e anarchici, come per esempio Leandro Arpinati e Torquato Nanni, altri rivoluzionari romagnoli, tutti amici di Mussolini, che però finirono per optare, di fatto, per l’Occidente liberista degli Alleati.
Bombacci, invece, fu tra i più entusiasti della proclamazione della Repubblica Sociale da parte di Mussolini dopo l’8 settembre.
Egli vide finalmente il Duce libero dai condizionamenti savoiardi, dagli industriali, dalla Chiesa e dai Generali. Mussolini, come sappiamo, pur “prigioniero” dei tedeschi, non si fece sfuggire questa occasione storica, mai verificatasi in Italia, e procedette alle sue grandi riforme rivoluzionarie. E “nicolino”, come lo chiamava affettuosamente Mussolini, fu tra i più entusiasti e partecipi a quel progetto fin dal congresso del PFR a Verona nel novembre 1943.
Se Angelo Tarchi, ministro dell’Economia Corporativa e il prof. Manlio Sargenti, Capo gabinetto al ministero e tra gli estensori del manifesto di Verona, erano preposti alla attuazione della Socializzazione, Bombacci fu un tutto fare, tanto che Mussolini ebbe a dire: <<Bombacci, che vive giorni di passione, è in prima linea tra coloro che si battono per una vera rivoluzione sociale>>.
Ma Bombacci svolse anche un altro compito, assieme all’ex Prefetto e segretario di Mussolini, Luigi Gatti, si impegnò in una inchiesta a tutto campo per smascherare quegli ambienti massonici e di “putrido capitalismo” che erano stati dietro al delitto Matteotti. Il dossier, a cui aveva lavorato anche Bombacci, ovviamente sparì letteralmente una volta finito nelle mani dei partigiani, ma per fortuna ne abbimo amie notizie dal socialista Carlo Silvestri che ebbe modo di vederlo e di parlare spesso con Mussolini, Bombacci e Gatti.
Fatto sta che l’ inchiesta in RSI di Bombacci per il delitto Matteotti, la sua vecchia partecipazione, negli anni ’20, ad accordi e traffici con i Sovietici, accordi che tra l’altro evitarono all’Italia, fino al 1941, il terrorismo delle cellule comuniste (i soli atti terroristici vennero compiuti durante il ventennio da cellule politiche legate a lobby massoniche) ed infine un altra partecipazione di Bombacci, nel primo semestre del 1943, alle iniziative di Mussolini per addivenire ad una tregua con i Sovietici, giocarono sicuramente nella decisione, altrimenti ingiustificata, che condannò Bombacci a morte in quel di Dongo. Ed è questo un aspetto criminale e molto poco indagato e conosciuto.
Quando la sera del 25 aprile, nella Prefettura di Milano, venne deciso lo sganciamento verso Como, Bombacci, tranquillo, con la sua valigetta necessaire, seguì il suo amico Mussolini. Salì con lui in macchina e con tutta la colonna si diressero verso Como. Lo seguì fino all’ultimo, fin nell’autoblinda bloccata a Nesso.
In quelle ultime ore, a chi gli chiedeva perchè, lui Bombacci, che in definitiva non aveva indossato la camicia nera, andava adesso a correre quei rischi mortali, lui rispose: <<Mussolini è la rivoluzione socialista, dove va lui vado io!>>.
Resta solo da dire che Mussolini, Bombacci e la Rivoluzione, non solo furono liquidati dagli anglo americani, vennero ripudiati dai comunisti, ma vennero anche rinnegati dai “neofascisti” missisti nel dopoguerra.
La socializzazione infatti, per un partito di destra, conservatore, da subito stampella della DC in un ottica anticomunista, era un fardello ingombrante. Per anni non se ne sentì più parlare, se non qualche accenno in sedi locali, o retorici richiami sulla stampa di partito o qualche esponente missista.
Poi quando il progetto di Michelini di fare del Msi la gamba liberale dei governi democristiani, dopo un effimero successo con il governo Tambroni del 1960 fu, e non a caso, subito liquidato e vennero varati i governi di centro sinistra, il riferimento a destra della DC diventò il Pli di Malagodi. Si aprirono così, nel partito spazi per una contestazione alla segreteria di Michelini (che però teneva strette nelle mani le borse del partito). Attorno alla figura dell” “attore” Almirante, sorse la corrente dissidente di “Rinnovamento”, la quale fece propri alcuni presupposti sociali della RSI tra cui la Socializzazione. Se ne venne così a parlare, la si dibattè, anche in opposizione alla destra di Romualdi, ma era tutta una commedia, finalizzata alla spartizione delle poltrone. Ed infatti, al congresso decisivo, quello missista di Pescara del 1965, Almirante, di fatto, liquidò “Rinnovamento” accordandosi con Michelini.
E la Socializzazione restò solo una vuota retorica, uno slogan da comizio, per abbindolare gli sprovveduti.
Il progetto di una ricomposizione socialista dell’economia, sognato da Mussolini, venne quindi tradito, per primi, dai suoi falsi epigoni.
Di questo progetto, aveva detto Mussolini a Milano a dicembre del 1944: “Qualunque cosa accada, è destinato a germogliare”.
Giustamente l’avvocato Manlio Sargenti, uno dei padri preposti da Mussolini a quel progetto, rivelò: <Purtroppo questo progetto non si è avverato. Gli italiani hanno dimenticato quella che costituiva la più originale, la più innovatrice proposta della loro storia recente. L’hanno dimenticata quelli stessi che si sono considerati gli epigoni dell’idea del Fascismo e della Repubblica Sociale>.
In altra occasione venne anche chiesto al prof. Manlio Sargenti, che come tanti aveva aderito al Msi, ma che poi ovviamente, come tanti altri, abbandonò il partito:
“Quali furono le motivazione che la spinsero alla scelta del MSI?”
Risposta: <<Questo appariva come l’unico soggetto capace di continuare l’opera della RSI, della quale conservava, nel segno distintivo il ricordo. E fu appunto questa prospettiva a indurre me, come gli altri che nell’Italia settentrionale aderirono al Movimento, a scegliere questa alternativa nonostante il pericolo a cui si andava incontro>>.
“Che posizione ebbe Lei quando il MSI aderì alla Nato?
Risposta: <<... io fui della corrente che si oppose per i motivi che ora soprattutto si rivelano determinanti; perchè la Nato si è sempre più rivelata lo strumento della supremazia americana e del controllo dell’America sulla politica dei paesi che vi hanno aderito. Lo spirito del MSI fu perduto nel momento in cui il Movimento votò a favore dell’adesione alla Nato>>.
Troppo ottimista il buon Sargenti, in realtà il Msi era già nato bacato dietro un preciso obiettivo reazionario e tramite manovre di forze reazionarie, massoniche e dell’Oss americano, finalizzate a spostare a destra la gran massa di reduce del fascismo repubblicano che di destra certo non erano.

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=18966

venerdì 8 febbraio 2013

La gioia violata





“Crimini contro gli italiani 1940-1946”

 I vincitori della II Guerra Mondiale celebrarono i grandi processi di Norimberga( 1945) e Tokio( 1946),per punire gli sconfitti. Veniva così sostituito definitivamente al concetto fino ad allora vigente dello “ justus hostis”, propria dello “jus publicum europaeum”, con il “nuovo concetto” di “ bellum justum” o “ justa causa belli” di medievale memoria. Ora l’aggressore non è più un “justus hostis”,ma un “criminale” nel pieno significato penalistico del termine, un vero e proprio “outlaw”, fuorilegge, e si può quindi processare i capi dei vinti ed i loro collaboratori. Non rispondono più gli Stati delle varie guerre, ma gli individui. Crimini di guerra, crimini contro l’umanità ,genocidio , ogni motivo è buono per fare giustizia sommaria degli avversari. Ovviamente la “giustizia” in questo caso operò a senso unico. Non potendo sterminare gli avversari “manu militari”,per non perdere in immagine, li si trattò da criminali comuni, e cosi venne fatto in tanti altri processi minori che si celebrarono dopo il 25 Aprile in Italia e l’otto Maggio in Germania e successivamente in Giappone.
Ma nessun processo fu mai  intentato contro coloro che nelle fila Alleate, Sovietiche, Jugoslave e Francesi, si macchiarono di nefandezze contro i civili ed i militari dell’Asse, in spregio delle convenzioni internazionali allora vigenti. Questo perché  a Norimberga  s’introdusse una forma flessibile di “selettività giudiziaria”, che sancì il principio che “il comportamento delle potenze vincitrici non poteva essere equiparato con gli stessi standard legali applicati ai loro nemici”Vi è un capitolo sottaciuto, nascosto, appena sussurrato della nostra storia nazionale, che riguarda proprio i crimini perpetrati contro i nostri soldati e civili  dal 1940 al 1946. Una pagina vergognosa che finalmente ha trovato in questo libro di Federica Saini Fasanotti per le Ed di Ares, una sua completa descrizione. Vengono così ripercorse con dovizia di particolari e dati, le vicende che interessarono uomini in armi e civili, dalla campagna di Francia del 1940, alla fine della guerra.
Vi furono numerose violazioni del diritto umanitario nei confronti dell’Italia, con  attacchi contro centri abitati e mezzi della Croce Rossa. Gli inglesi ( ..i portatori della libertà secondo certa vulgata corrente..) si distinsero, come già fatto sulla Germania con la tecnica dell’ “ Area bombing”, che mirava alla distruzione delle abitazioni,più che  a colpire gli obiettivi militari. In Albania ed in Africa Settentrionale gli uomini della Raf si accanirono in special modo ,contro ospedali ed edifici con il simbolo della Croce Rossa,  mentre la Regia Aeronautica e la Marina adottarono sempre una condotta di guerra improntata ad un comportamento cavalleresco ed umanitario. Numerosi furono i prigionieri italiani eliminati direttamente sul campo di battaglia  nel deserto libico–egiziano. I reparti di fanteria del Commonwealth britannico, soprattutto quelli provenienti dall’Oceania, furono autori di massacri di prigionieri appena catturati e mutilizioni di cadaveri. Durante la campagna di Tunisia,  nella battaglia di Takrouna,i “reparti maori” del generale Freyberg uccisero a baionettate tutti i prigionieri italo-tedeschi e gettarono vivi da un dirupo anche due soldati italiani. 
I prigionieri condotti nei campi britannici ebbero un trattamento, ben diverso da quello riservato  stessi in Italia, dove venne posta ogni cura nel dare degni condizioni di vita ai soldati di sua maestà.
Altro episodio pressoché sconosciuto è l’affondamento dell’incrociatore ausilisario “Laconia”(1) ,al largo della Sierra leone, con a bordo nostri prigionieri di guerra. Al momento del naufragio, gli inglesi chiusero le stive causando l’annegamento di 1300  nostri soldati. Nel corso delle operazioni di soccorso ai superstiti ad opera di sommergibili dell’Asse, l’aviazione alleata mitragliò le scialuppe di salvataggio.
Una pagina dimentica è quella degli internati italiani in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, allo scoppio delle ostilità. Con l’inizio della guerra le autorità britanniche arrestarono subito 4000 italiani, e  non vi furono distinzioni tra fascisti ed antifascisti…. La sorte dei nostri civili evacuati dall’Africa Orientale Italiana, fu ancor peggiore dei militari. Gli uomini in buono stato furono trasferiti in Kenya, Rhodesia, Uganda, Sud Africa e Tanganika, mentri le donne, i bambini i vecchi , vennero raccolti in campi inospitali in AOI, nei pressi di Mandera, Berbera, Dire Daua, Harar, veri “ inferni per vivi”…. Qui i bambini italiani morivano di morbillo e di altre malattie. Nei “campi di concentramento” britannici in Africa, vi furono quasi duemila morti.
Francesi e  Greci si distinsero anche loro per la sistematica violazione delle leggi umanitarie.Il rapporto del nostro Ministero della Guerra, definì brutale il comportamento verso i nostri soldati catturati, sia che fossero feriti o meno. Sorte peggiore toccò a coloro che alla conclusione della campagna africana, furono consegnati dagli alleati ai francesi di De Gaulle. Da notare che la cosiddetta “Francia Libera”  non era riconosciuta da nessuna potenza belligerante, come “governo legittimo” (… De Grulle riuscì alla fine della guerra nel capolavoro di far sedere la Francia, sonoramente battuta dalla Germania nel maggio del 1940, a fianco delle potenze vincitrici.., senza che i francesi avessero realmente contribuito all’esito finale della guerra in Europa NdA), nemmeno dagli Alleati. Quindi i francesi non avrebbero potuto trattenere alcun prigioniero di guerra. Nonostante ciò, le condizioni  imposte ai nostri militari, furono tra le più disumane ed indegne di una nazione civile. Sul fronte jugoslavo la guerra aveva oramai assunto una connotazione di ferocia estrema da ambo le parti, ma, come ricorda l’autrice, le forze armate italiane furono nella maggior parte dei casi costrette a reagire a causa del comportamento “barbaro” dei partigiani slavi. “Nel luglio del 1941, nella zona di Podgorica ( Montenegro), soldati della divisione Messina furono massacrati. Quando la zona venne riconquistata, si trovano 70 cadaveri dei nostri tagliati a pezzi e incastrati nei canali di scolo della strada. Sui cadaveri si erano avventati dei maiali”.
Successivamente, dopo l’armistizio, le violenze si spostarono anche sui civili dell’Istria e della Dalmazia.Da parte italiana non vi fu mai alcun intento di  “pulizia etnica” e di “sbalcanizzione “ dei territori  ex jugoslavi. La Legge di guerra italiana ed il codice penale militare erano allora pienamente corrispondenti alle norme internazionali ed alle consuetudini che regolavano la condotta della guerra secondo il diritto internazionale.
Gli Usa, dopo la loro entrata in guerra nel 1941, si allinearono subito al comportamento dei britannici, radendo al suolo interi abitati nelle nostre città, mentre i piloti dell’Us Air Force mitragliavano sistematicamente tutto quello che si muoveva sulle strade. In Sicilia con l’eccidio all’aeroporto di Biscari ( Ragusa), dove furono trucidati 73 prigionieri dell’Asse, si aprì la tragica lista di massacri e violenze sul suolo italiano. Lo stesso Patton, arringò i soldati della 45° divisione di fanteria: “ Ci scontreremo con il nemico..Gli porteremo la guerra in casa..Non avremo pietà..Quel bastardo deve morire..Dovete avere l’istinto assassino.. Conserveremo la fama di assassini e gli assassini sono immortali”.In Sicilia furono gli inglesi a dedicarsi con zelo all’internamento dei civili ritenuti “pericolosi fascisti”. Nei campi di concentramento di Siracusa, Fossa Creta vicino Catania, Messina, Pisturina e Priolo, migliaia di persone, civili, ma anche militari, rimasero per quasi un anno all’aria, senza baracche, senza alcuna assistenza medica, buttati sulla nuda terra, preda della malaria. Ancora nella primavera del 1994 vi erano detenuti ben 7000 prigionieri, trattati come animali da pascolo.
 Le truppe coloniali francesi si macchiarono di violenze di ogni sorta su donne, uomini e bambine, in questo istigate volentieri dagli ufficiali francesi, (…. Dopo la pessima figura fatta nel 1940, questi ultimi volevano forse riscattare in questo modo  l’ “onore della Francia )che rimaneva a guardare indifferenti l’accanirsi dei marocchini sui civili indifesi. 
Dopo l’otto settembre si registrò una recrudescenza dei crimini contro i nostri soldati. Il disprezzo,tale da rasentare spesso il razzismo, da parte degli alleati, crebbe allora ancor di più , proprio a causa del repentino voltafaccia della monarchia e di Badoglio. Le forze armate “cobelligeranti” furono mal viste soprattutto dai britannici ed utilizzate prevalentemente come bassa manovalanza nei porti e nei lavori di fatica. Questo d’altronde è il prezzo che si paga quando s’inizia una guerra da una parte, cercando poi di finirla in campo avverso.
Pregio indiscutibile di questo libro, che presenta anche un’interessante sezione fotografica, è quello finalmente di aprire uno squarcio sul quel “lato scomodo” della II GM, volutamente omesso anche dai “nuovi governanti” dell’Italia postbellica, dove i “cosiddetti liberatori” mostrano il loro vero volto, fatto di efferatezze gratuite, inutili stragi ,condotta disumana e criminale delle operazioni belliche. I fatti che oggi accadono nell’Iraq e nell’Afghanistan occupati, non fa altro che dimostrare quanto narrato in questo libro.                                                                                   

Federico Dal Cortivo

“La gioia violata” -Crimini contro gli italiani 1940-1946
Di Federica Saina Fasanotti
Ed.Ares pp.328  € 18

1)29 luglio 1942-piroscafo Laconia- trasporto di prigionieri italiani n.1400- dall’Egitto agli Usa.
Due piani di stive,uno dei quali sotto la linea di galleggiamento. I nostri soldati vengono stivati come animali nei locali angusti ricavati sottocoperta, con condizioni climatiche micidiali. Il caldo si tocca con le mani e rende precarie le condizioni di molti. Nella stiva più profonda non vi sono nemmeno gli oblò,nell’altra sono chiusi…. Il piroscafo britannico inizia il suo viaggio, e dopo aver attraversato il Capo di Buona Speranza, eccolo nell’Atlantico. Un pò d’aria tra le baionette delle guardie polacche e poi sottocoperta .All’alba del 22 settembre 1942, l’U-152 della marina germanica intercetta il Laconia, che era classificato come “incrociatore ausiliario”. La prassi prevedeva che le navi ospedale o che trasportavano prigionieri venissero segnalate al nemico. In questo caso nessuna segnalazione venne fatta dagli inglesi. Con due siluri il Laconia viene colpito al calare delle tenebre. Centinaia di prigionieri cercano scampo, provando a  sfondare le porte delle stive. Molti cadranno finiti a fucilate dai carcerieri. Tutti i membri dell’equipaggio cercano la fuga, lasciando volutamente al loro destino i soldati italiani. Molti di essi moriranno affogati, risucchiati  dalla nave. Al mattino del 13 settembre numerosi relitti  e cadaveri sulle acque dell’oceano testimoniano quanto accaduto.  Le speranze riprendono di notte quando tre sommergibili , due tedeschi ed il nostro Cappellini, emergono e prestano i soccorsi ai naufraghi. I vari comandi, sia dell’Asse, che Alleati, nonché i francesi, dispongono la sospensione delle operazioni militari, per consentire il proseguo di quelle di aiuto in mare. Intanto sono morti 1200 prigionieri di guerra italiani, dei quali 900 rimasti chiusi nelle stive della nave. I sommergibili con al traino i superstiti fanno rotta per l’appuntamento con navi francesi di Wichy, dove trasbordare i poveretti. Ma ecco che il 15 settembre spunta in cielo un B24 Usa, che nonostante l’ordine di cessare i combattimenti, attacca i sottomarini , causando danni all’U-156, il che costringe al trasferimento a bordo dell’’U-506 e del Cappellini, dei feriti gravi. Poi, finalmente, il 18 settembre, il trasbordo sulle  navi Gloire e Annamite della marina Francese e l’arrivo a Casablanca.