mercoledì 30 gennaio 2013

Tre domande di parte a un presidente di parte


 Mer, 30/01/2013

Il presidente del Tribunale della razza diventò il più stretto collaboratore di Togliatti al ministero di Grazia e Giustizia. Poi guidò la Consulta. Il Pci ha mai avuto nulla da ridere?

Illustre Presidente Napolitano, dopo aver sentito il suo vibrante discorso sul fascismo e l'antisemitismo, mi permetta di rivolgerle tre brevi domande.


La prima. Sapeva che il presidente dell'infame Tribunale della razza, nonché firmatario del «Manifesto della razza», Gaetano Azzariti, diventò il più stretto collaboratore del suo leader Togliatti al ministero di Grazia e Giustizia, dopo essere stato Guardasigilli con Badoglio? Avete mai avuto nulla da ridire, lei e il suo Partito, sul fatto che poi, grazie a questi precedenti, lo stesso Azzariti sia diventato presidente della Corte costituzionale fino alla sua morte nel 1961?
La seconda. Sapeva che il primo concordato tra lo Stato italiano e gli ebrei fu fatto nel 1930 dal regime fascista? Una commissione composta da tre rappresentanti degli ebrei e tre giuristi varò un concordato in cui, scrive De Felice, «il governo fascista accettò pressoché in toto il punto di vista ebraico». Il presidente del consorzio ebraico, Angelo Sereni, telegrafò a Mussolini «la vivissima riconoscenza degli ebrei italiani» e sulla rivista ebraica Israel Angelo Sacerdoti definì la nuova legge «la migliore di quelle emanate in altri Stati».
Terzo. Presidente, ha mai detto e scritto qualcosa sulle centinaia di italiani, comunisti, antifascisti e a volte anche ebrei, che fuggirono dall'Italia fascista e furono uccisi nella Russia comunista con l'avallo del segretario del suo partito, il sullodato Togliatti? In Italia, persino sotto il Duce, avrebbero avuto una sorte migliore...

domenica 27 gennaio 2013

QUELLO CHE GLI STORICI NON DICONO


QUELLO CHE GLI STORICI NON DICONO



La collaborazione tra nazisti ed ebrei e l’atteggiamento ipocrita dell’Occidente democratico

di Gianfredo Ruggiero

La Germania nazionalsocialista considerava pregiudizialmente gli ebrei come un elemento estraneo alla nazione. Durante la sfortunata Repubblica di Weimar (1919-33), quando la popolazione tedesca subì la più grande crisi economica e sociale della sua storia (a causa soprattutto degli enormi debiti di guerra imposti dalle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale), molti ebrei, nonostante rappresentassero meno dell’1% della popolazione, raggiunsero nel settore economico-finanziario posizioni di alto livello e di considerevole benessere tali da essere additati, a causa della loro presunta cupidigia, come responsabili della stato di crisi in cui versava la Germania. A ciò si aggiungeva l’atavico antiebraismo cristiano, il nazionalismo esasperato e il mito della purezza ariana dell’ideologia hitleriana. 
L’origine ebraica di Karl Marx, il teorico del comunismo, e di parte della dirigenza socialista tedesca, contribuì a rafforzare tale convincimento su cui basò la sua azione Adolf Hitler che fin da subito adottò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno all’emigrazione. Quest’ultimo aspetto rispecchiava l’ideale della patria ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista il quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare.
Come risultato, il Governo di Hitler sostenne con vigore il Sionismo e l’emigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41 (1).
L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei trovò però forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, convocata da Roosevelt, dove i trentadue due stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L’unica nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 700, tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza (L’Italia fascista, invece, pur non avendo partecipato alla conferenza, da anni attuava una politica di ospitalità nei confronti degli ebrei).
L’atteggiamento ipocrita delle nazioni democratiche riguardo l’accoglienza degli ebrei è stato condensato in una frase di Goebbels che nel marzo 1943 poteva rilevare sarcasticamente:

« Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà un giorno uno stato ebraico in qualche parte del mondo? Lo si saprà a suo tempo. Ma è interessante notare che i paesi la cui opinione pubblica si agita in favore degli Ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono i pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione artistica, ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono loro le frontiere e dicono che non sanno che farsene. E’ un caso unico nella storia questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni »(2).

Un episodio che testimonia il rifiuto dell’America ad accogliere gli ebrei riguarda la vicenda della nave St.Louis. Partita da Amburgo il 13 maggio 1939 con 937 profughi Ebrei, la nave era diretta a Cuba dove i migranti erano convinti di ottenere il visto per gli Stati Uniti. Sia Cuba sia gli Stati Uniti rifiuteranno però il permesso d’accesso ai rifugiati, obbligando così la nave a tornare in Europa.
Anche l’ipotesi di creare, prima nell’Isola di Madagascar e poi in Palestina, uno stato ebraico fallì per la forte opposizione di Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Fallirono anche le trattative condotte Ministro degli Affari Esteri germanico Helmut Wohltat nell’aprile 1939 con il governo inglese per un insediamento ebraico in Rhodesia e nella Guinea britannica (3).
Nonostante la sostanziale indisponibilità, che rasentava il boicottaggio, delle nazioni democratiche la politica emigratoria del governo nazista proseguì con l’istituzione dell’”Ufficio per l’Emigrazione Ebraica” con sedi a Berlino, Vienna e Praga che aveva il compito di agevolare il trasferimento degli ebrei e dei loro beni in Palestina. Furono anche organizzati dei campi di addestramento in Germania dove i giovani ebrei potevano essere iniziati ai lavori agricoli prima di essere introdotti più o meno clandestinamente in Palestina (all’epoca la Palestina era un protettorato inglese che si opponeva con forza alla colonizzazione ebraica, nonostante nel 1917 si impegnò formalmente, con la dichiarazione di Balfour del 2 novembre, a costituire il focolare ebraico in Palestina).
Fatto singolare e che nei circa 40 campi e centri agricoli della Germania hitleriana gestiti direttamente dal Mossad in cui i futuri coloni venivano addestrati alla vita nei kibbutz, sventolava per la prima volta quella bandiera blu e bianca che un giorno diventerà il vessillo ufficiale dello Stato di Israele (4).
Per liberarsi della presenza ebraica favorendo l’emigrazione in Palestina, il governo tedesco stipulò con le organizzazioni sioniste il cosiddetto “Accordo di Trasferimento” noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato all’acquisto di attrezzi per l’agricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.
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Certificato di trasferimento di capitali ebraici dalla Germania alla Palestina
L’accordo di Trasferimento è stato sottoscritto il 10 agosto 1933 dal Ministro dell’economia del Reich Kurt Schmitt e dal rappresentante del Movimento Sionista in Palestina  Haim Arlosoroff che agiva per conto del Mapaï, il partito Sionista antenato del partito Laburista israeliano. A questa iniziativa politico-commerciale parteciparono personaggi divenuti in seguito molto noti come i futuri Primi Ministri David Ben-Gurion e Golda Meir (che collaborava da New York)(5).
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, grazie all’ Haavara e ad altri accordi tedesco-sionisti, dei circa 522 mila ebrei presenti in Germania più della metà, 304 mila, poterono lasciare il paese con i loro beni superando il rigido embargo inglese. Alcuni di loro trasferirono in Palestina considerevoli fortune personali.
L’importo complessivo di danaro trasferito per mezzo dell’Haavara fra l’agosto del 1933 e la fine del 1939, fu di circa 139 milioni di marchi  (equivalenti a oltre 40 milioni di dollari). A cui si aggiungono ulteriori 70 milioni di dollari attraverso accordi commerciali collaterali. Grazie a questi trasferimenti e ai prelievi obbligatori imposti dal Movimento Sionista sulle transazion, furono costruite le infrastrutture del futuro stato ebraico in Palestina.
Lo storico ebreo Edwin Black sottolinea che i fondi ebraici provenienti dalla Germania ebbero un significativo impatto in un paese sottosviluppato com’era la Palestina degli anni ’30. Con i capitali provenienti dalla Germania furono costruite varie importanti imprese industriali, compresi l’acquedotto Mekoroth e l’industria tessile Lodzia. «attraverso questo patto, il Terzo Reich di Hitler fece più di ogni altro governo negli anni ’30 per sostenere lo sviluppo ebraico in Palestina» conclude Edwin Black(6).
Questa intesa portò successivamente ad un accordo commerciale tra Governo tedesco ed organizzazioni ebraiche con il quale arance e altri prodotti coltivati in Palestina venivano scambiati con macchinario agricolo tedesco(7).
Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre la collaborazione tra nazisti tedeschi ed ebrei sionisti è la medaglia commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la svastica e sull’altra la stella di David.
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Medaglia commemorativa della collaborazione tra autorità tedesche e associazioni ebraiche sioniste durante gli anni trenta

Altra vicenda poco nota riguarda la nave passeggeri partita nel 1935 dal porto tedesco di  Bremerhaven con un carico di ebrei diretti ad Haifa, in Palestina. Questa nave, recava sul  fianco il suo nome, Tel Aviv, scritto in caratteri ebraici, e sull’albero sventolava la bandiera nazista con la croce uncinata. La nave di proprietà ebraica era comandata da un membro del Partito Nazionalsocialista(8).

Altro esempio della stretta collaborazione tra regime hitleriano e sionismo tedesco riguarda i gruppi giovanili ebraici come il “Bétar“ ed ai boy scouts sionisti cui fu permesso di indossare uniformi proprie  e di sventolare bandiere con simbolo dello Stato Sionista (cosa negata ad esempio ai gruppi giovanili cattolici, nonostante il Concordato).

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Manifestazione del gruppo giovanile ebraico tedesco Betar nel 1934

Intanto il governo britannico, da sempre ostile agli insediamenti ebraici in Palestina, impose delle restrizioni ancora più drastiche. In risposta a ciò, il servizio segreto delle SS concluse una alleanza con il gruppo sionista clandestino Mossad le-Aliya Bet  per portare illegalmente gli ebrei in Palestina. Come risultato di questa intensa collaborazione, vari convogli marittimi riuscirono a raggiungere la Palestina superando le navi da guerra britanniche pronte a colpire le imbarcazioni ebraiche. Nell’ottobre del 1939 era programmata la partenza di altri 10.000 ebrei, ma lo scoppio della guerra a settembre fece fallire il tentativo. Le autorità tedesche continuarono lo stesso a promuovere indirettamente l’emigrazione ebraica in Palestina negli anni successivi fino al 1941.

Una stima, seppur approssimativa, fissa in circa 800 mila gli ebrei che lasciarono i territori sotto il controllo germanico fino al 1941.

Con l’avvicinarsi della guerra ci fu la svolta e la posizione degli Ebrei cambiò in modo radicale. Il 5 settembre 1939, Chaim Weitzmann, futuro primo presidente dello stato di Israele, a nome dell’ebraismo mondiale si dichiarò parte belligerante contro i tedeschi e a fianco di Gran Bretagna e Francia (Jewish Chronicle, 8 settembre 1939). Questa vera e propria dichiarazione di guerra, che precedette l’identico atto del  marzo ’33, causò un inasprimento delle misure repressive contro gli ebrei e conferì ai nazisti una motivazione legale per la loro reclusione.WEIMAR_020

La prima pagina del quotidiano londinese Daily Expressi del 24 Marzo 1933: “L’Ebraismo dichiara guerra alla Germania, Ebrei di tutto il mondo unitevi”. “Il popolo israelita del mondo intero dichiara guerra economica e finanziaria alla Germania. La comparsa della svastica come il simbolo della nuova Germania fa rivivere il vecchio simbolo di guerra degli Ebrei. Quattordici milioni di ebrei sono uniti come un solo corpo per dichiarare guerra alla Germania. Il commerciante ebreo lasci il suo commercio, il banchiere la sua banca, il negoziante il suo negozio, il mendicante il suo miserabile cappello allo scopo di unire le forze nella guerra santa contro il popolo di Hitler”.

Il diritto internazionale, infatti,  prevede  la possibilità di internare i cittadini di origine straniera per evitare possibili azioni di spionaggio a favore dei paesi di origine (art. 5 della convenzione di Ginevra), cosa che fece l’America con i cittadini di origine giapponese: dopo averli spogliati di tutti i beni confiscandogli casa, attività e conti bancari, furono rinchiusi in campi di concentramento in condizioni disumane. Verso la fine della guerra nel campo di prigionia di Hereford, nella ricca America, i soldati italiani che rifiutarono di collaborare con gli alleati venivano volutamente sottoalimentati e lasciati morire di tubercolosi, senza cure, sotto l’acqua o il sole cocente, in mezzo agli abusi dei carcerieri che non esitavano ad uccidere al primo cenno di insofferenza. Prima di loro gli inglesi avevano internato, durante la guerra contro i Boeri,  oltre 100 mila donne e bambini nei campi di concentramento in sud Africa,  di questi  27 mila morirono di stenti, malattie e malnutrizione (crimini passati sotto silenzio).

Lo scoppio del conflitto pose fine alla politica tedesca di incoraggiamento al trasferimento degli ebrei verso la Palestina (nel 1942 restava in attività nella Germania un solo Kibbutz a Neuend(9).

Tuttavia, nei primi anni di guerra, i rapporti tra nazisti e organizzazioni ebraiche non furono del tutto interrotti, ma si spostarono sul piano prettamente militare in funzione anti inglese, anche se  l’influenza che ebbero sugli avvenimenti bellici fu praticamente nulla.

Agli inizi di gennaio del 1941 una piccola, ma importante organizzazione sionista, Lehi o Banda Stern (il cui leader Avraham Stern fu assassinato dalla polizia britannica l’anno successivo), fece ai diplomatici nazisti a Beirut una proposta formale di alleanza per lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele(10).

Con il proseguimento della guerra che richiedeva sempre più soldati al fronte e operai nelle fabbriche il governo tedesco abbozzò l’idea di utilizzare massicciamente gli ebrei nell’industria bellica. Dopo l’attacco alla Russia l’idea del lavoro forzato prese corpo e fu perfezionata nel corso della conferenza di Wannsee del  20 gennaio del 1942 con il definitivo abbandono della politica di emigrazione e l’adozione della cosiddetta “soluzione finale territoriale” (eine territoriale Endlösung) che sostituiva la politica del trasferimento con quella della deportazione di tutti gli ebrei nei campi di lavoro dell’est.

«Adesso, nell’ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale. Quanto all’eventuale residuo che alla fine dovesse ancora rimanere, bisognerà provvedere in maniera adeguata, dal momento che esso, costituendo una selezione naturale, è da considerare, in caso di rilascio, come la cellula germinale di una rinascita ebraica» (Dal protocollo di Wannsee del 20 gennaio 1942).

Gli studiosi dell’Olocausto hanno sempre sostenuto che il piano generale dell’ebreicidio nazista venne ideato nella riunione di Wannsee, ma Norbert Kampe direttore del Centro Commemorativo della Conferenza di Berlino, contesta questa tesi. Egli  afferma che la conferenza riguardò solo “questioni operative” e non fu in alcun modo una piattaforma di “processi decisionali”, confermato dal fatto che alla conferenza di Wannsee Hitler e i suoi ministri non erano presenti.

Dove erano situati grandi insediamenti industriali furono istituiti campi di lavoro, come per esempio la fabbrica di caucciù sintetico a Bergen-Belsen, la I.G. Farben ad Auschwitz, la Siemens a Ravensbrück, la fabbrica sotterranea delle V-2 di Mittelbau-Dora collegata al campo di Buchenwald.

Il compito di utilizzare al meglio i campi di concentramento come centri di produzione industriale fu affidato all’Ufficio Centrale di Amministrazione Economica delle S.S. diretto da Oswald Pohl.

Il lavoro coatto fu utilizzato anche dalla società di costruzioni Todt per il ripristino delle linee di comunicazione (strade, ponti ferrovie,) che venivano costantemente distrutte dai bombardamenti alleati. questi lavori, che richiedevano un’enorme massa di operai (più di 1.500.000 nel 1944), furono svolti in buona parte ebrei e prigionieri di guerra(11).

Un aspetto inquietante e poco dibattuto riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dell’esistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale (come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia).

Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i cosidetti “paladini della libertà”?

Nel “Giorno della Memoria” esprimiamo la nostra piena solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove, rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei carnefici.

Gianfredo Ruggiero

Note                                                                                                                      

1)    Il giornale ufficiale della SS, “Das Schwarze Korps”, dichiarò il proprio sostegno al Sionismo in un editoriale di prima pagina del maggio del 1935:

 « Può non essere troppo lontano il momento in cui la Palestina sarà di nuovo in grado di ricevere i propri figli che ha perduto per più di mille anni. A loro vanno i nostri migliori auguri ».

Gli ebrei sionisti a loro volta, nel settembre del 1935 dopo la promulgazione della legislazione razziale tedesca (leggi di Norimberga) che sancivano la netta separazione della comunità ebraica dal resto della nazione tedesca ponendo il divieto di matrimoni misti e altre pesanti limitazioni che andavano in tale direzione, dichiararono, attraverso un editoriale del più diffuso settimanale sionista tedesco, il “Die Judische Rundschau”:

« la Germania viene incontro alle richieste del Congresso Mondiale Sionista quando dichiara gli ebrei che oggi vivono in Germania una minoranza nazionale… Le nuove leggi danno alla minoranza ebraica in Germania la propria vita culturale, la propria vita nazionale. In breve, essa può creare il proprio futuro ».

 2)    Bernd Nellessen: “Der Prozesi von Jerusalem”, Düsseldorf/Wien, 1964, p. 201.

3)    Theodor Herzl, nella sua prima opera “Der Judische Staat” (Lo stato ebraico)  aveva  individuato, nell’isola di Madagascar il luogo ideale dove fondare lo stato di Israele. Questa ipotesi fu presa in seria considerazione dai nazionalsocialisti in quanto l’insediamento in Palestina, la patria ideale degli ebrei, avrebbe inevitabilmente portato ad un scontro con gli arabo-palestinesi (cosa che effettivamente avvenne a partire dal 1948). Tuttavia anche questa ipotesi fu in seguito accantonata a causa del netto rifiuto delle democrazie occidentali. La patata bollente ritornò, di conseguenza, nelle mani dei tedeschi che riprese l’opzione Palestina.

4)    Manvell e Fankl: “SS und Gestapo”.

5)    L’accordo di Trasferimento autorizzava i Sionisti a creare due camere di compensazione, la prima sotto la supervisione della Federazione Sionista Tedesca di Berlino, l’altra sotto la supervisione dell’Anglo Palestine Trust in Palestina. L’ufficio di Tel Aviv è stato chiamato Haavara Transfert Office Ltd.  Si trattò di un vero e proprio accordo commerciale che, fra l’altro, contribuì a rompere il boicottaggio mondiale anti-nazista organizzato contro la Germania. Le compagnie erano due: la Haavara, ebraica a Tel Aviv, e la Paltreu, tedesca a Berlino. Il deposito minimo era di 1.000 sterline inglesi presso la Banca Wasserman di Berlino oppure presso la Banca Warburg di Amburgo. Tom Segev in “Le septieme million”, ed. Liana Levi, 1993.

6)    Edwin Black: “The Transfert Agreement”, 1984; F. Nicosia: “Third Reich”; W. Feilchenfeld: “Haavara-Transfer”; Encyclopaedia Judaica: “Haavara”, Vol. 7.

7)    Questa sorta di baratto esteso a tutte le esportazioni/importazioni, cardine della politica economica nazista che contribuì alla ripresa della Germania dopo i disastri della Repubblica di Weimar, fu fortemente osteggiato dalle organizzazioni ebraiche non sioniste che, al contrario, sostenevano l’embargo dei prodotti Made in Germany.

8)    W. Martini: “Hebräisch unterm Hakenkreuz”, Die Welt , 10 gennaio 1975.

9)    Y. Arad: “Documents On the Holocaust”, 1981, p. 155.

10) http://holywar.org/Sio_Naz.htm.

11) Creata da Fritz Todt, l’organizzazione operò in stretta sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la Seconda guerra mondiale. Il principale ruolo dell’impresa era la costruzione di strade, ponti e altre opere di comunicazione, vitali per le armate tedesche e per le linee di approvvigionamento, così come della costruzione di opere difensive: la Linea Sigfrido, il Vallo Atlantico e – in Italia – la Linea Gustav e la Linea Gotica.

Link

Falsificazioni fotografiche http://ita.vho.org/valendy/ugo.htm

campo di concentramento di Buchenwald:http://www.fncampoli.altervista.org/bw.htm

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Una risposta a OLOCAUSTO


sabato 5 gennaio 2013

IL TESTAMENTO DI MUSSOLINI Scritto il 27 Aprile 1945


Scritto il 27 Aprile 1945

Nessuno che sia un vero italiano, qualunque sia la sua fede politica, disperi nell'avvenire. Le risorse del nostro popolo sono immense. Se saprà trovare un punto di saldatura, recupererà la sua forza prima ancora di qualche vincitore. Per questo punto di fusione io darei la vita anche ora, spontaneamente, qualunque sia purchè improntato a vero spirito italiano. Dopo la sconfitta io sarò coperto furiosamente di sputi, ma poi verranno a mondarmi di venerazione. Allora sorriderò, perchè il mio popolo sarà in pace con se stesso.

Il lavoratore che assolve il dovere sociale senz'altra speranza che un pezzo di pane e la salute della propria famiglia, ripete ogni giorno un atto di eroismo. La gente del lavoro è infinitamente superiore a tutti i falsi profeti che pretendono di rappresentarla. I quali falsi profeti hanno buon gioco per l'insensibilità di chi avrebbe il sacrosanto dovere di provvedere. Per questo sono stato e sono socialista. L'accusa di incoerenza non ha fondamento. La mia condotta è sempre stata rettilinea nel senso di guardare alla sostanza delle cose e non alla forma. Mi sono adattato socialisticamente alla realtà. Man mano che l'evoluzione della società smentiva molte delle profezie di Marx, il vero socialismo ripiegava dal possibile al probabile. L'unico socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo, punto di confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi rispetto all'interesse collettivo.

La politica è un'arte difficilissima tra le difficili perchè lavora la materia inafferrabile, più oscillante, più incerta. La politica lavora sullo spirito degli uomini, che è una entità assai difficile da definirsi, perchè è mutevole. Mutevolissimo è lo spirito degli italiani. Quando io non ci sarò più, sono sicuro che gli storici e gli psicologi si chiederanno come un uomo abbia potuto trascinarsi dietro per vent'anni un popolo come l'italiano. Se non avessi fatto altro basterebbe questo capolavoro per non essere seppellito nell'oblio. Altri forse potrà dominare col ferro e col fuoco, non col consenso come ho fatto io. La mia dittatura è stata assai più lieve che non certe democrazie in cui imperano le plutocrazie. Il fascismo ha avuto più morti dei suoi avversari e il 25 luglio al confino non c'erano più di trenta persone.

Quando si scrive che noi siamo la guardia bianca della borghesia, si afferma la più spudorata delle menzogne. Io ho difeso, e lo affermo con piena coscienza, il progresso dei lavoratori. Tra le cause principali del tracollo del fascismo io pongo la lotta sorda ed implacabile di taluni gruppi industriali e finanziari, che nal loro folle egoismo temevano ed odiano il fascismo come il peggior nemico dei loro inumani interessi. Devo dire per ragioni di giustizia che il capitale italiano, quello legittimo, che si regge con la capacità delle sue imprese, ha sempre compreso le esigenze sociali, anche quando doveva allungare il collo per far fronte ai nuovi patti di lavoro. L'umile gente del lavoro mi ha sempre amato e mi ama ancora.

Tutti i dittatori hanno sempre fatto strage dei loro nemici. Io sono il solo passivo: tremila morti contro qualche centinaio. Credo di aver nobilitato la dittatura. Forse l'ho svirilizzata, ma le ho strappato gli strumenti di tortura. Stalin è seduto sopra una montagna di ossa umane. E' male?  Io non mi pento di avere fatto tutto il bene che ho potuto anche agli avversari, anche nemici, che complottavano contro la mia vita, sia con l'inviare loro dei sussidi che per la frequenza diventavano degli stipendi, sia strappandoli alla morte. Ma se domani togliessero la vita ai miei uomini, quale responsabilità avrei assunto salvandoli? Stalin è in piedi e vince, io cado e perdo. La storia si occupa solamente dei vincitori e del volume delle loro conquiste ed il trionfo giustifica tutto. La rivoluzione francese è considerata per i suoi risultati, mentre i ghigliottinati sono confinati nella cronaca nera.

Vent'anni di fascismo nessuno potrà cancellarli dalla storia d'Italia. Non ho nessuna illusione sul mio destino. Non mi processeranno, perchè sanno che da accusato diverrei pubblico accusatore. Probabilmente mi uccideranno e poi diranno che mi sono suicidato, vinto dai rimorsi. Chi teme la morte non è mai vissuto, ed io sono vissuto anche troppo. La vita non è che un tratto di congiunzione tra due eternità: il passato ed il futuro. Finchè la mia stella brillò, io bastavo per tutti; ora che si spegne, tutti non basterebbero per me. Io andrò dove il destino mi vorrà, perchè ho fatto quello che il destino mi dettò.

Non è la fede che arriva nell'ora del crepuscolo quella che mi sostiene, è la fede della mia infanzia e della mia vita che mi impone di dover credere, anche quando avrei diritto di dubitare. Non so se questi miei appunti saranno mai letti dal popolo italiano; vorrei che fosse così, per dargli la possibilità di raccogliere in confessione di fede il mio ultimo pensiero. Non so nemmeno se gli uomini mi concederanno il tempo sufficiente per scriverli. Ventidue anni di governo non mi rendono probabilmente degno, a giudizio umano, di vivere altre ventiquattro ore.

Ho creduto nella vittoria delle nostre armi, come credo in Dio, Nostro Signore, ma più ancora credo nell'Eterno, adesso che la sconfitta ha costituito il banco di prova sul quale dovranno venire mostrate al mondo intero la forza e la grandezza dei nostri cuori. E' ormai un fatto che la guerra è perduta, ma è anche certo che non si è vinti finchè non ci si dichiari vinti. Questo dovranno ricordare gli Italiani, se, sotto la dominazione straniera, arriveranno a sentire l'insoffocabile risveglio della loro coscienza e dei loro spiriti.

Oggi io perdono a quanti non mi perdonano e mi condannano condannando se stessi. Penso a coloro ai quali sarà negato per anni di amare e soffrire per la patria e vorrei che essi si sentissero non solo testimoni di una disfatta, ma anche alfieri della rivincita. All'odio smisurato ed alle vendette subentrerà il tempo della ragione. Così riacquistato il senso della dignità e dell'onore, son certo che gli italiani di domani sapranno serenamente valutare i coefficienti della tragica ora che vivo. Se questo è dunque l'ultimo giorno della mia esistenza, intendo che anche a chi mi ha abbandonato e a chi mi ha tradito, vada il mio perdono, come allora perdonai al Savoia la sua debolezza.

I fascisti che rimarranno fedeli ai principii dovranno essere cittadini esemplari. Essi dovranno rispettare le leggi che il popolo vorrà darsi e cooperare lealmente con le autorità legittimamente costituite per aiutarle a rimarginare nel più breve tempo possibile le ferite della patria. Chi agisce diversamente dimostrerebbe di ritenere la patria non più patria quando si è chiamati a servirla dal basso. I fascisti, insomma, dovranno agire per sentimento, non per risentimento. Dal loro contegno dipenderà una più sollecita revisione storica del fascismo, perchè adesso è notte, ma poi verrà giorno.