martedì 27 novembre 2012

CITTADINI O SUDDITI ?



Quando al Festival di Venezia é arrivato il film “ Salvate il soldato RAYAN “ per un po’ di giorni le grancasse della promozione , giornali , TV , vari media , si sono riempiti di D-Day , di Omaha Beach , dei volti dei bravi ragazzi “ mangiatori di Cewing Gum “ che nel 1944 hanno lasciato le giovani vite sulle spiagge della Normandia per salvare l’ Europa dalla tirannide Nazifascista e riportare Democrazia , Pace e Giustizia in questo vecchio e sconsiderato continente che si era lasciato irretire dal fascino del male e stava spandendo l ‘ infezione della sua lebbra in tutto il mondo , mettendo in pericolo di contagio perfino i puri e puritani U.S.A...!!
Poveri ragazzi davvero !
Mandati al macello solamente per motivi di “Mercati” da una società ipocrita di cinici affaristi , alleata con un regime come quello Sovietico che aveva mietuto , e stava mietendo ( e la C.I.A. lo sapeva !) , un numero di vittime ben più alto di quello di cui era responsabile il Nazismo , con l ‘ aggravante di aver portato il Pese alla miseria anziché al benessere .
D‘altronde gli stessi U.S.A. non erano forse responsabili , prima della tratta degli schiavi negri e poi dell ‘ Olocausto “ dei Pellirossa , condotto con determinazione , metodo ed efficacia , tanto che questo , contrariamente a quello degli ebrei che non ha raggiunto lo scopo , é perfettamente riuscito ?
Ma , al di là delle retoriche agiografie e dei pomposi discorsi che riempiono i media e , per la verità , anche i libri di Storia , vediamo nei fatti , che sempre svelano il vero , cosa ci ha portato la vittoria "“Alleata”" nella seconda guerra mondiale .
E’ stata instaurata per noi una sudditanza politico economica che ha cancellato schemi di vita e di pensiero di secolare tradizione sociale e culturale per sostituirli con la laida religione del consumismo , del capitalismo e del profitto .
E ‘ stata umiliata e ridicolizzata la civiltà dei valori dello Spirito , delle comunità intese come somme di individualità , e sostituita dalla società mercantile dei banchieri in cui ’l'Uomo non si definisce rispondendo alla domanda : Chi sei ? , ma a quell’'altra : Quanto hai ?
Sono stati annientati modelli positivi come Altruismo , generosità , orgoglio , saggezza , autodisciplina , cultura , che sono diventati sinonimo di ingenua stupidità mentre sono diventati nuovi modelli la furbizia , l' ‘edonismo , l'‘ egoismo , il finalizzato servilismo , l' astuzia nel raggirare , il sapere le cose utili per emergere e far carriera .
Il “bombardamento” della pubblicità , motore del consumismo , ha riempito i cervelli di idee preconfezionate atrofizzandone lo spirito critico ed ha trasformato un insieme di popoli caratterizzati da proprie , originali dinamiche culturali , in una omogenea ed amorfa marmellata di rincoglioniti consumatori .
Si é diluita, sino a perdere significato , l’' identità Nazionale , che non é necessariamente ottuso nazionalismo , ma é coscienza della propria identità , delle tradizioni , del “sentire” la realtà in cui si vive come il proprio territorio spirituale e sentirsi contemporaneamente come partecipi di una continuità storica e culturale che le passate generazioni ci hanno consegnato e che dovremo passare alle generazioni a venire.
Siamo stati relegati a oggetti della Storia anziché esserne i protagonisti ed abbiamo delegato agli Sceriffi del mondo il compito di gestire la politica estera e di intervenire laddove i nostri interessi , visti nell‘'ottica dei loro interessi , erano in pericolo .
Ed allora noi non abbiamo nulla da celebrare e nulla da festeggiare nel ricordo del 25 aprile- 8 settembre Anzi , per noi sono i giorni della disfatta non tanto militare quanto politica e civile .
Quello che ci ricorda é l'inizio della nostra colonizzazione politica , economica e culturale .
E’ un giorno che vogliamo dedicare al proposito di riconquistare la nostra autonomia, la nostra emancipazione, la nostra supremazia culturale, civile, storica .
Diciamo NO alla globalizzazione per non essere sommersi e fagocitati dalla mediocrità e dalla amoralità della religione del denaro .
Diciamo NO al liberismo selvaggio perché vogliamo vivere in un mondo in cui la Politica determini l'economia e non sia l'economia a determinare la Politica .
Diciamo NO alla concezione Protestante - Calvinista della società “made in USA” , perché consideriamo preminente l‘'attività intellettuale dell‘'Uomo ed il suo arricchimento culturale, rispetto alla impostazione della vita verso l‘'obbiettivo dell' ‘accumulo di ricchezza .
Diciamo NO agli Hamburger ed alla Coca Cola, all‘eroina ed all‘a alienazione della logica del massimo efficientismo e del massimo profitto perché rivogliamo fondare la nostra vita e quella dei nostri figli sui principi Umanistici che sono alle radici della nostra Civiltà e vogliamo una esistenza improntata al valore dell‘'essere anziché a quello dell‘'apparire.!
 

sabato 17 novembre 2012

QUALCUNO APRIRA’ FINALMENTE GLI OCCHI E SOPRATTUTTO IL CERVELLO?


di Filippo Giannini

Da pochi giorni è venuto a mancare Alberto B. Mariantoni, giornalista, politologo di livello superiore. Chi scrive queste note ha goduto della sua amicizia e della sua stima. Per ricordarlo doverosamente riteniamo giusto citare il suo ultimo libro: Le storture del male assoluto – i “crimini” fascisti che hanno fatto grande l’Italia. Un libro che tutti, non solo gli italiani, dovrebbero leggere. Dal titolo si evince il senso dell’humor, caratteristico dell’Autore. Si notino, ad esempio i titoli dei Capitoli; ne citiamo alcuni: PARTE I – Un primo stralcio dei più evidenti ed incontrovertibili “crimini contro l’umanità” del Fascismo – Fa seguito una sfilsa inesauribile di leggi e decreti concepiti dal Governo mussoliniano a favore dei ceti più deboli e dei lavoratori; leggi e decreti sino a quel momento impensabili e sconosciuti non solo in Italia ma nell’intero mondo. Altro esempio: PARTE II  - A questi primi, notori, evidenti e ripugnanti “delitti” ne faranno seguito “altri”, ancora più gravi e meno conosciuti – E di nuovo l’elenco, documentatissimo, di altre decine di leggi sempre a favore di coloro che più di altri hanno bisogno di assistenza. E così di seguito Alberto Mariantoni elenca i delitti e le atrocità commesse dal Male assoluto, sino a giungere alla PARTE XXII.

   Ci fa piacere riportare uno stralcio di quanto l’Autore scrive a pagg. 10 e 11: <(…). Il Fascismo “male assoluto”? Mi chiedevo… E allo stesso tempo mi ponevo quest’altra  domanda: era mai possibile che mia madre, mio padre, le mie nonne, i parenti, gli amici, i conoscenti di quel tempo (di cui nessuno – per la cronaca – aveva un qualunque interesse diretto per farlo, né aveva mai rivestito, tra il 1922 ed il 1945, cariche o incarichi pubblici, ufficiali o ufficiosi, nel contesto di quel Regime), mi avessero tutti mentito?

   Era mai possibile – continuavo ad interrogarmi – che tutto ciò che, in famiglia, mi era stato detto o raccontato su quel periodo, oppure che io stesso avevo potuto accertare o toccare con mano, fosse stato, o continuasse ad essere, tutta un’illusione? Tutta un’allucinazione, un obnubilamento, un abbaglio? E, di conseguenza, un macroscopico e fallace inganno? Potevo, viceversa, continuare semplicemente a credere che il Fascismo, al limite, avesse esclusivamente realizzato qualcosa di buono, soltanto per la mia Rieti nativa?

   Insomma, ogni volta che le informazioni degli organi di stampa della restaurazione democratica insistevano a volere per forza legittimare la loro stessa esistenza ed i cambiamenti che erano intervenuti in Italia dopo la Seconda guerra mondiale, attraverso delle dettagliate descrizioni del Fascismo “male assoluto”, mi veniva in mente di effettuare la presente ricerca. Anche se, poi, per ragioni di tempo dedicate ad altro impegno professionale, intraprendevo momentaneamente i miei approfondimenti (durati, in tutto, una decina di anni), accumulavo delle note e, per finire, lasciavo perdere, rimandando sempre a “domani” il completamento e la redazione dell’attuale risultato.

   Ed intanto, la foga del regime democratico-assolutista nel quale sono nato e cresciuto non cessava di dipingere il Fascismo (e continua ininterrottamente a farlo!) come un “orribile mostro”. Come qualcosa di totalmente retrograde, incivile e ripugnante a cui nessuno, per nessuna ragione, doveva attingere ispirazione, né più accostarsi, né tanto meno interessarsi (…).

   Addio Alberto, sei stato un GRANDE; e chissà se lassù, oltre le nuvole, potrai accostarti a quell’UOMO del quale siamo ammiratori.

    Dopo aver ricordato Alberto Mariantoni, trattiamo di un altro uomo, ma da noi molto, molto meno stimato: Bruno Vespa. Questo giornalista “di regime” ha scritto un libro, già ampiamente pubblicizzato sia sui giornali che in televisione. Su “Il Giornale” dell’8 novembre, in prima pagina , su tre colonne, sopra una foto del Duce, si legge il titolo: Saggio storico di Bruno Vespa . QUANDO IL DUCE CI SALVO’ DALLA CRISI”. Questo argomento verrà sviluppato più ampiamente nel proseguo dell’articolo. Una volta ancora, ripetiamo quanto già scrivemmo: di economia ne comprendiamo molto poco, però quando azzardammo un giudizio circa le operazioni del governo “golpista” Mario Monti, in merito sostenemmo che questi per combattere la crisi ha posto in atto una politica economica opposta a quella che avrebbe dovuto svolgere e il giudizio di altri personaggi, sembra darci ragione. Scrive, infatti, Bruno Vespa, dopo aver ricordato che, nel Ventennio, lo stanziamento per opere pubbliche era stato quasi raddoppiato: <Nei primi dieci anni del mio governo – amava puntualizzare il Duce (D maiuscola nel testo, nda) – si è speso in opere pubbliche più di quanto abbiano speso i governi liberali nei primi sessant’anni dall’Unità d’Italia>. A proposito, non sarebbe interessante conoscere quanto è stato speso per opere pubbliche in regime democratico?

    In questi giorni gli studenti sono scesi in piazza per difendere le scuole pubbliche dagli attacchi del governo Monti. In merito a questa materia, ecco quanto scrive Vespa al riguardo: <Colpisce, invece, che non sia stato tagliato di una sola lira il bilancio della Pubblica istruzione (…)>.

   Come è noto la pressione fiscale che grava sugli italiani è la più pesante del mondo; su questa materia ricorda Bruno Vespa: <Fu lì che il Duce disse “basta”, con una frase che suonerebbe ancora oggi di notevole buonsenso “la pressione fiscale è giunta al suo limite estremo e bisogna lasciare per  un po’ di tempo assolutamente tranquillo il contribuente italiano e, se sarà possibile, bisognerà alleggerirlo, perché non ce lo troviamo schiacciato e defunto, sotto il pesante fardello (…)>. Osserva quasi stupito l’Autore: <I sindacati fascisti chiesero la riduzione dell’orario lavorativo settimanale a 40 ore a parità di salario: l’Italia fu il primo paese al mondo a introdurre tale misura fin dal 1934, una scelta così avanzata che è ancora in vigore ottant’anni dopo (…)>. Ma ascoltate: ripetiamo, pur essendo in piena crisi congiunturale, molto più pesante di quella attuale, ecco quali erano le preoccupazioni del “male assoluto”: <In un paese ancora povero, in cui pochissimi bambini potevano permettersi le vacanze al mare, fu provvidenziale l’istituzione delle colonie estive, i cui ospiti passarono da 150mila nel 1930 a 474mila nel 1934. Nel 1926, un anno dopo la sua costituzione, l’Opera Nazionale Dopolavoro contava 280mila iscritti, che un decennio più tardi erano saliti a 2 milioni 780mila, per raggiungere i 5 milioni alla vigilia della seconda guerra mondiale (…). Agli adulti la tessera del dopolavoro dava diritto a forti sconti su ogni tipo di svago: dal cinema ai teatri, dai viaggi alle balere, dagli abbonamenti ai giornali alle partite di calcio (…)>. E tu, operaio o persona a basso reddito, quanto paghi per mandare tuo figlio a scuola e quanto paghi per libri o quaderni? Ecco quanto ha “scoperto” Bruno Vespa: <Tutti, iscritti e non, avevano diritto se bisognosi alla refezione scolastica, a libri e quaderni gratuiti, all’accesso a colonie marine, ai campi estivi e invernali, all’assistenza nei centri antitubercolari (…)>. Questo e altro ancora attesta il signor Bruno Vespa nel suo libro che, al contrario di chi scrive queste note, venderà decine di migliaia di copie, grazie ai graziosi interventi televisivi e di stampa di cui può godere, al contrario di noi che, pur avendo già ripetutamente (e tanto di più) ricordato quanto di grande fu realizzato nel periodo del governo mussoliniano, non disponendo di alcun santo in Paradiso, ci dobbiamo accontentare di veder vendere i propri volumi nella misura della radice quadrata di quanto il valente giornalista della Rai potrà gode.

   Quanto sin qui ricordato non è nulla rispetto ai miracoli compiuti dal male assoluto, in poco più di vent’anni. Ne è prova quanto fece Roosevelt nel corso della sua campagna elettorale impostata all’insegna del New Deal, ossia ad un vasto intervento statale in campo economico, in altre parole proponendo un’alternativa al liberismo capitalista. Una volta eletto, Roosevelt (e questo nel dopoguerra fu accuratamente celato) inviò, nel 1934, in Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i più preparati uomini del Brain Trust, per studiare il miracolo italiano e uscire in qualche modo dalla crisi che attanagliava gli Usa. Al riguardo lo studioso Lucio Villari osserva: <Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato che, senza distruggere il carattere privato del capitalismo, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva>.

   Roosevelt inviò Tugwell a Roma per incontrare Mussolini e studiare da vicino le realizzazioni del Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda l’episodio, tratto dal diario inedito di Tugwell in data 22 ottobre 1934 (anche l’Economia Italiana tra le due Guerre ne riporta alcune parti, pag. 123): <Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti come anche l’efficienza dell’ammnistrazione italiana, è il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Ho qualche domanda da fargli che potrebbe imbarazzarlo, o forse no>.

   Questo fatto è ricordato anche da Bruno Vespa, con queste parole: <(…) Rexford Tugwell, l’uomo più a sinistra dell’amministrazione americana, pur collocandosi ideologicamente agli antipodi del fascismo, riconosceva che il regime stava ricostruendo l’Italia “materialmente e in modo sistematico (…). Il fascismo è la macchina sociale più scorrevole e netta, la più efficiente che io abbia mai visto. E ne sono invidioso>. Certo che nell’Italia libera, democratica e antifascista, certe cose non vanno ricordate!

  Quale è e come si articolava la risposta italiana alla grande crisi economica mondiale?

   Giorgio De Angelis [L’Economia Italiana tra le due Guerre] scrive: «L'onda d'urto provo­cata dal risanamento monetario non colse affatto di sorpresa la compagine governativa e provvedimenti di varia natura at­tenuarono, ove possibile, i conseguenti effetti negativi soprat­tutto nel mondo della produzione (...). L'opera di risanamento monetario, accompagnata da un primo riordino del sistema bancario, permise comunque al nostro Paese di affrontare in condizione di sanità generale la grande depressione mondiale sul finire del 1929 (...)».

   Sempre nello stesso volume, il professor Gaetano Trupiano, a pagina 169, afferma: «Nel 1929, al momento della crisi mondia­le, l'Italia presentava una situazione della finanza pubblica in gran parte risanata; erano stati sistemati i debiti di guerra, si era proceduto al consolidamento del debito fluttuante con una riduzione degli oneri per interessi e le assicurazioni sociali avevano registrato un sensibile sviluppo».

   In altre parole, come avevamo già scritto, mentre nel mondo decine di persone si uccidevano per la disperazione, in Italia, anche se la crisi internazionale stava producendo diversi danni, le inizia­tive del Governo erano riuscite ad evitare che la catastrofe assumes­se quelle drammatiche proporzioni che altrove si erano verificate (1).

   I ministri finanziari del Governo Mussolini e, ultimo in ordine di tempo fra questi, Antonio Mosconi, riuscirono a far sì, che negli anni fra il '25 e il '30, i conti nazionali registrassero attivi da primato.

   Vennero intraprese iniziative che ancor oggi non mancano di stupire per la quantità e la qualità dei meccanismi messi in opera e per il successo da essi ottenuto.

   Lo Stato affrontò la crisi congiunturale spaziando «dalla poli­tica monetaria alla politica creditizia, dalla politica finanzia­ria alla politica valutaria, dalla politica agricola alla politica industriale, dalla politica dei prezzi alla politica dei redditi, dalla politica fiscale alla politica del commercio estero, dalla politica previdenziale alla politica assistenziale» Sabino Cassese [L’Economia Italiana tra le due Guerre].

   Con questa varietà di interventi nella politica economica composta da un fattivo intervento nelle attività produttive e finanziarie, lo Stato italiano divenne titolare di una parte delle attività indu­striali.

   Seguendo questa impostazione, la cura fu quella più appropriata per il superamento della crisi, anche se comportò dei sacrifici: per sostenere le industrie a fine 1930 si rese necessaria una riduzione dei salari dell'8% circa per gli ope­rai; per gli impiegati la riduzione variò, a seconda dell'entità delle retribuzioni, dall'8 al 10%. Il sacrifìcio venne, però, quasi subito compensato dalla con­trazione dei prezzi delle merci, per cui il valore reale d'acquisto ammortizzò in breve tempo l'entità del taglio. Questi sacrifici furono affrontati da tutto il popolo con disciplina e partecipazione.

   In alcuni casi, soprattutto da parte dei senza lavoro (l'indice della disoccupazione subì nei primi mesi del '30 un brusco incremento), si verificarono contestazioni con manifestazio­ni, scioperi, a volte con serrate. Le principali agitazioni avvennero tra l'aprile 1930 e buona parte del '32; ma queste non si trasformaro­no mai in tumulto e tutte rientrarono in buon ordine, anche se le organizzazioni antifasciste dall'estero spingevano verso azioni violente.

   Nel periodo di maggior ristagno l'attività del Governo si svol­se con due diversi interventi: uno, immediato, che possiamo indicare come passivo, indirizzato ad assistere le famiglie più colpite dalla grande crisi; il secondo, che possiamo definire attivo, ten­dente ad incrementare gli investimenti statali nelle grandi opere.

   Fra gli interventi passivi possiamo ricordare, oltre al taglio degli stipendi e dei salari: la riduzione delle ore lavorative per evita­re, il più possibile, il licenziamento; l'introduzione della settima­na lavorativa a 40 ore (operazione che comportò il riassorbimento di 220 mila lavoratori); la diminuzione dei fitti; una forte riduzione delle spese nei bilanci militari; opere di assistenza diretta, come distribuzione di buoni viveri e centri di distribuzione di pasti. Mussolini seguiva con grande cura l'esecuzione di queste disposizioni; ne fa fede un telegramma inviato al prefetto di Tori­no in data 1° dicembre 1930: «Buono viveri è insufficiente. Mez­zo chilo di pane ai disoccupati senza famiglia sta bene, ma i disoccupati con famiglia devono avere oltre il pane il riso, condimento e carbone. Bisogna dare qualcosa di più del sem­plice pezzo di pane».

   Per concludere la parte riguardante gli interventi passivi, è interessante riportare il perentorio telegramma inviato da Musso­lini il 6 aprile 1931 al prefetto di Ferrara: «Dica ai dirigenti poli­tici e sindacali ferraresi che sciopero Po di Volano per ottene­re aumento di salario è grottesco e criminoso, tanto più che tratta­si di lavori pubblici finanziati col sudore e col sangue del con­tribuente italiano. Se domattina lavoro non sarà ripreso colla massima disciplina darò ordini perché lavoro stesso sia sospe­so sine die. Scioperare quando ci sono 700 mila disoccupati che cercano invano lavoro da mesi è atto di incoscienza sov­versiva che rivela persistenza vecchia mentalità e che va quin­di immediatamente stroncata. Istigatori sciopero devono esse­re esemplarmente condannati».

   L'intervento che possiamo indicare come attivo fu molto variegato e riguardò, come abbiamo più volte ricordato, quello dello Stato nelle più diverse attività della vita sociale. Fra gli in­terventi attivi, possiamo ricordare quelle iniziative che ancor og­gi sono al centro del mondo del lavoro e dell'arte: ci riferiamo al­le Fiere e attività similari. Non ultima, certamente, quella di Napoli, la Mostra Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare: concepita per far sì che ogni tre anni Napoli fosse al centro degli scambi economici e culturali fra l’Africa e l’Europa, una iniziativa ancora oggi valida… volendo. Per rimanere ancora a Napoli, possiamo citare la realizzazione degli ospedali collinari (il XXIII Marzo, poi intitolato a Cardarelli; il Principe di Piemonte, ribattezzato Monaldi; la Stazione Marittima; la Stazione di Margellina; il nuovo rione Carità con i palazzi delle Poste, delle Finanze, della Provincia e dei Mutilati; il Collegio Costanzo Ciano per 3 mila ragazzi (ancora oggi occupato dalla NATO); la nuova sede del Banco di Napoli; il palazzo dell’INA, e numerosi rioni di case popolari.

   Mussolini e i suoi collaboratori erano consapevoli dell’importanza che queste istituzioni, le Fiere appunto, potevano esercitare nel settore commerciale: negli scambi, nelle contrattazioni e nel rile­vante stimolo che tutto ciò poteva esercitare per la produzione e acquisto di beni, anche di origine lontana o di lontana destinazio­ne. In quest'ottica, e in occasione del Decennale (1932), il Du­ce trasformò la Fiera di Milano in Fiera Internazionale.

   La Fiera Internazionale di Milano  divenne (e ancora oggi lo è) la più importante d'Europa.

   A quella di Milano, la Fiera di Verona, di Napoli (poco sopra ricordata)  e, importantissima tuttora per i com­merci verso l'Oriente vicino e lontano, quella di Bari, battezzata Fiera del Levante.

   Solo la guerra vanificherà il completamento di quella Mo­stra che nei programmi doveva divenire la più importante del mondo: l'E/42 di Roma.

   Importantissimi anche i Festival del cinema di Venezia, di Roma, di Taormina.

   Altri interventi attivi videro la luce in quel periodo; ma per l'importanza che assumeranno nel futuro, dedicheremo ad essi una trattazione a parte.

   Tutto questo fu concepito e realizzato, in tempi fascisti (cioè in poco tempo), senza ruberie o scandali. Strano, vero? Eppure così fu!

   Lo Stellone italiano si è forse spento? Sembra proprio così. Il colpo di Stato organizzato da Giorgio Napolitano per portare Mario Monti al governo, con l’intento, almeno così ci avevano fatto credere, di ridurre il così detto debito pubblico, operazione che si è dimostrata un fiasco. Ma quel che terrorizza, se risultasse vero è quanto sostiene Pietro Valente in un suo saggio, nel quale asserisce addirittura, che <Monti è stato chiamato al governo col fine di aumentare il debito pubblico! Come visto sta assolvendo nel migliore dei modi il suo compito. Attenzione> continua sempre il saggio <però il signor Monti non solo ha il compito di aumentare il debito, ma deve anche accelerare i tempi! È per questa ragione che oltre ad aumentare il debito in se, aumenta la quota da pagare a breve termine, a meno di un anno (…). L’Italia, come gli altri paesi, ha grandi ricchezze, di cui vogliono impossessarsi coloro che stanno dietro ai vari Monti. Questi mettono a capo dell’amministrazione della cosa pubblica propri uomini di fiducia precisamente con il compito di accrescere il debito pubblico. Monti è solo l’ultimo di una lunga serie, probabilmente l’uomo finale, quello che deve dare la stoccata mortale all’Italia (…)>.

   Secondo lo scrittore russo Daniel Estulin, le cui idee sono state trasmesse (stranamente) anche su Rai/2, avverte gli italiani con queste parole: <Il vostro nemico è Mario Monti. È un traditore della nazione italiana, dovrebbe essere messo in prigione>. Parole di un giornalista russo di origini lituane, autore del dirompente  saggio sull’oscura influenza del Gruppo Bilderberg nella politica economica mondiale. Stando a quanto attestano varie fonti, sembrerebbe accertato che Mario Monti, avrebbe svolto la sua opera per diversi anni, come dirigente di rilievo nella Goldman Sachs.

   È mai possibile tutto ciò? Ci dobbiamo preoccupare? Certo che da tempo si parla di vendere i nostri beni, cosa mai in precedenza ventilata. In questo caso c’è una via d’uscita? Non credo, ma si può provare: andare tutti ad inginocchiarci dinnanzi a quella tomba a Predappio, chiedere perdono e invocare un miracolo. D’altra parte già una cosa simile avvenne tanti secoli fa, ricordate Lazzaro? L’impresa è disperata, anche perché quell’Uomo è ancora uno pocariello incazzatino con tutti noi; però conoscendolo…

 
   1) Se le nostre fonti d’informazioni risultassero giuste, i suicidi sotto il governo Mario Monti ammonterebbero ad almeno settanta unità. Cosa assolutamente inconcepibile sotto il governo del male assoluto

giovedì 15 novembre 2012

L'italietta antifascista è militarista

 
Riflessione Storica:

A chi accusa il Fascismo di aver creato una Nazione fortemente militarista e guerriera, faccio notare che quando scoppiò la Grande Crisi il bilancio della Difesa fu ta­gliato del 20% e quello della polizia del 30% .
All'epoca la situazione geopolitica era diversa dall'odierna, la seconda guerra mondiale era alle porte, e l'Italia Fascista era una grande potenza mediterranea, coloniale e continentale. Doveva difendere da sola i suoi traffici marittimi e salvaguardare la sicurezza del Mediterraneo, mare nostrum.
Oggi, la colonia della repubblica delle banane, che campa di mercenari e vive alle spalle dei soldati a stelle e strisce, ha addirittura aumentato le sue spese militari.
La repubblica antifascista che "ripudia la guerra", salvo poi parteciparvi camuffandole come ...
"missioni di pace", è al sesto posto nel mondo per livello assoluto di spese militari.
L'italietta antifascista, il paese in assoluto più indebitato dell’area euro, è anche quello col più alto livello di spese militari nella stessa area. Mentre Monti tartassa la massa e minaccia "lacrime e sangue", tagliando fondi all'istruzione e alla sanità, il settore delle spese militari è cresciuto dal 2010 dell’8,4%, con una spesa addizionale di 3,4 miliardi di euro.

Ecco le cifre internazionali, riferite ai bilanci 2011:

1. USA spese militari 692 miliardi di dollari;
PNL annuo: 15.000 miliardi di dollari
debito pubblico, circa 14.000 miliardi di dollari,
cioè circa 20 volte le spese militari: in altre parole l’intero debito pubblico americano è pari a 20 anni delle sue spese militari. Le spese militari annuali sono il 4,6% del PNL.

2. Cina spese militari 100 miliardi di dollari, un ottavo di quelle americane;
PNL annuo: 7.300 miliardi di dollari
debito pubblico, non ne ha. Le spese militari annuali sono l’1,37% del PNL.

3. UK spese militari quasi 74 miliardi di dollari;
PNL annuo: un po’ più di 2.400 miliardi di dollari
le spese militari annuali sono il 3,8% del PNL.

4. Giappone spese militari un po’ più di 70 miliardi di dollari;
PNL annuo: quasi 5.900 miliardi di dollari
le spese militari annuali sono l’1,19% del PNL.

5. Russia spese militari 56 miliardi di dollari;
PNL annuo: 1.850 miliardi di dollari
le spese militari annuali sono il 3% del PNL.

6. Italia spese militari 50,4 miliardi di dollari;
PNL annuo: 2.200 miliardi di dollari circa
debito pubblico, circa 1.900 miliardi di dollari, pari a circa 38 anni di spese militari.
Le spese militari annuali sono il 2,29% del PNL.

Forse la repubblica delle banane si sta armando per prevenire un eventuale collasso della sua economia, che porterà inevitabilmente al furore della massa e a golpe di varia natura.
La repubblica sente che la sua fine è vicina, nessun genere di arma riuscirà ad impedire l'inevitabile.

sabato 10 novembre 2012

Il comunismo gerarchico

Il libro di Sonia Michelacci Il comunismo gerarchico è l’opera più esaustiva pubblicata in Italia sulla concezione della proprietà privata nel fascismo italiano e nel nazionalsocialismo tedesco.

Il prof. Luigi Lombardi Vallauri rileva nella prefazione che questo libro «consente al profano colto di evocare dibattiti e contesti non obsoleti, scivolati giù nei flutti dell’oblio un po’ per motivi ideologici, un po’ per la tendenza degli storici a lasciare ultimi i temi giuridici».

In effetti Sonia Michelacci ha svolto un lavoro davvero prezioso per quanti vogliono approfondire l’argomento. Partendo dalla Carta del Lavoro del 1927, l’autrice esamina il dibattito che si svolse attorno al tema della proprietà privata negli anni del regime fascista.

Il principio di totalità sociale che stava alla base del fascismo implicava un ridimensionamento del diritto alla proprietà privata che sfociava nel vincolo della funzione sociale della proprietà, per cui il proprietario non doveva limitarsi a godere del bene che possedeva, ma doveva utilizzarlo per sviluppare la ricchezza e le possibilità di lavoro.

Questa concezione della proprietà aveva antecedenti nel pensiero cattolico, la cui notevole influenza nella cultura italiana non mancò di pesare sul dibattito in corso.
Già Tommaso d’Aquino aveva individuato nella proprietà una natura personale per quanto riguarda l’acquisto, e una natura comune per quanto riguarda l’uso.
Ancora alla fine del XIX° secolo, Leone XIII°, sebbene con mentalità più «borghese» considerasse la proprietà privata come un diritto di natura, scrisse nella Rerum novarum: «l’uomo non deve avere i beni esterni come propri, bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi nelle altrui necessità».

In seguito, nel convegno di Ferrara del 1932, Ugo Spirito formulò la tesi della «corporazione proprietaria», ovvero un superamento dell’economia individualista che doveva trasformare il diritto di proprietà in senso pubblicistico, nell’affermazione del superiore valore etico della rivoluzione fascista. La tesi di Spirito, bollata come «eretica», e sospetta di simpatie «bolsceviche», venne accantonata, e nel codice civile del 1942 si affermò una concezione borghese e individualista della proprietà privata, anche se lo stesso Mussolini nei suoi scritti espresse una certa insoddisfazione in merito.

La seconda parte del libro è dedicata agli sviluppi che il tema ha avuto nel periodo della Repubblica di Salò.
Nella RSI il fascismo attuò la sua originaria vocazione anticapitalista, e nei punti del Manifesto repubblicano di Verona si legge: «la proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa non deve però diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro»; inoltre si sanciva il diritto alla casa per tutte le famiglie.

In quest’ultima fase del fascismo, quindi, ci fu spazio per una rivincita delle idee di Ugo Spirito.
In particolare fu attuata la socializzazione delle imprese, che prevedeva la ripartizione degli utili da parte dei lavoratori, e il loro coinvolgimento nei consigli di fabbrica, sempre in un contesto di valorizzazione della personalità umana che segna una distanza incommensurabile dal collettivismo marxista.
A testimonianza di quanto fossero pericolose queste riforme per le ideologie di sinistra, l’autrice ricorda che, quando furono indette le votazioni per eleggere i rappresentanti degli operai alla F.I.A.T., il Partito Comunista Italiano minacciò di morte i lavoratori che avessero aderito all’iniziativa, ottenendo il risultato di far disertare le urne e guadagnandosi i ringraziamenti della famiglia Agnelli.

Inoltre, non appena la guerra finì, il C.L.N.A.I., pur essendo egemonizzato da elementi di formazione socialista e comunista, decretò immediatamente l’abolizione della legge sulla socializzazione delle imprese.
Così le ideologie liberali e quelle marxiste, partorite entrambe dall’illuminismo, si incontrarono in un fraterno abbraccio, per poi far finta di scontrarsi in modo da dar luogo a quella farsa che si chiama «democrazia».

La terza parte del libro è dedicata alla concezione della proprietà privata nel Nazionalsocialismo tedesco.
La NSDAP si caratterizzò fin dall’inizio come un fenomeno di etno-nazionalismo radicale, senza le ambiguità borghesi che avevano caratterizzato il fascismo.
Pertanto in Germania si fece strada una concezione della proprietà in cui il diritto soggettivo del singolo veniva ridotto a mera posizione giuridica: la posizione di possibilità del singolo colto nella sua funzione di membro della comunità.
Il proprietario viene quindi valutato non come soggetto di diritto, ma come membro della Volksgemeinschaft.
Werner Sombart definì efficacemente il nuovo concetto di proprietà privata con queste parole: «il diritto di proprietà non determina più le direttive dell’economia; ma sono queste a determinare l’ampiezza e la specie del diritto di proprietà».

Nel Nazionalsocialismo lavoratori e datori di lavoro facevano parte di un’unica organizzazione nella quale formavano una comunione di popolo-nazione-razza volta al superamento della lotta di classe.
Ai lavoratori dipendenti si riconosceva il diritto alle ferie per la prima volta sancite per contratto, e il divieto di licenziamento senza giusta causa.

L’attacco nazionalsocialista era diretto alla proprietà creditizia, che non è frutto del lavoro, bensì dell’usura: in questo modo si mirava a liberare il popolo dalla schiavitù dell’interesse in cui lo aveva gettato l’alta finanza ebraica.

Si vede anche in questo caso quanto lontane fossero queste concezioni da quell’ideale marxista dell’invidia, che in teoria dovrebbe dare a tutti in uguale quantità, ma che in realtà non dà niente a nessuno, perché soffoca il valore della personalità a pregiudizio di tutti.

Infine, di particolare interesse, nella legislazione nazionalsocialista era l’istituto dell’Erbhof, ossia il bene agricolo ereditario per i contadini di pura razza germanica, bene indivisibile, inalienabile e impignorabile, volto al mantenimento della comunità di Terra e Sangue radicata sul territorio; l’Erbhof, integrato da norme di evidente ispirazione feudale, era un fondamentale strumento giuridico per affermare un’idea organica di totalità sociale.

L’ottimo lavoro di Sonia Michelacci è una lettura particolarmente utile nell’epoca di turbocapitalismo devastante che caratterizza la globalizzazione.
Sebbene siano mutate molte delle condizioni sociali in cui si svilupparono le idee esposte nel libro, il dibattito attorno al senso della proprietà privata può trarre molti spunti utili da questo brillante studio.
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Sonia Michelacci, Il comunismo gerarchico, Edizioni di Ar, Padova, 2004, pp.196, euro 20,00.

sabato 3 novembre 2012

Lavorare meno per lavorare tutti : Ezra Pound e le sue teorie economiche

La rivoluzione culturale ed artistica alla quale portò Ezra Loomis Pound va rivalutata e contestualizzata ai giorni d’oggi, in questo periodo di crisi più che mai.
Quando si parla di crisi non bisogna focalizzare puramente i problemi economici ma c’è bisogno di analizzare anche le problematiche sociali e politiche che mettono in ginocchio il nostro paese, l’Europa ed il mondo in generale.
Pound ebbe la forza e la caparbia di padroneggiare una materia, come l’economia, che poco ebbe a che fare con la poesia e la letteratura; la sua rivoluzione fu tanto ardita e convincente da mettere in crisi l’establishment americano e le potenze plutocratiche ed usurocratiche che vinsero l’ultimo conflitto mondiale. La grande usura ebbe tanta paura di questa innovazione e delle informazioni dettagliate portate avanti dal poeta che decise di tarpare le ali ; rinchiudendolo in gabbie e manicomi, bollandolo come pazzo e, quando anche questo non fosse bastato, come fascista.
Cos’è che fece di questo letterato, nonché economista eterodosso, quindi difficilmente riconosciuto dall’economia convenzionale ed accademica, il nemico numero uno dell’usurocrazia?
Ciò che fece paura fu la documentazione e le idee che con forza venivano fuori dai suoi capolavori, come i Cantos ed i Cantos Pisani; idee economiche e politiche in pieno contrasto con l’establishment americano. Pound parlò di teorie definite “eretiche” solo perché non in linea con le idee liberal-capitalistiche e dell’interesse composto che erano tanto affermate negli U.S.A. ed in Inghilterra.
Estremamente interessante fu l’avvicinamento di Pound alla teoria socialcreditizia del maggiore C.H. Douglas o a quella della moneta-lavoro, in contrapposizione alla moneta-oro, portata avanti dal Gesell.
Due teorie queste non prive di spunti sui quali stava per fondarsi la politica economica e sociale della Repubblica Sociale Italiana, nonché due teorie dalle quali si può prendere spunto anche oggi e che quindi non sono ad appannaggio esclusivo dello scorso secolo; Una teoria ,quella socialcreditizia, che esclude qualsivoglia tipo di prestito ad interesse da parte di privati e presuppone inoltre che sia lo stato stesso ad aiutare ed incentivare il popolo con prestiti sociali, ciò sarebbe stato possibile abbandonando la moneta-oro ,e cioè mercificata, per la moneta-lavoro ,cioè una moneta basata sul lavoro della popolazione e che quindi non è soggetta ad esigenze di mercato ed a sovrapproduzioni che non fanno altro oltre ad affamare i cittadini gettandoli nella miseria.
Altro punto fondamentale sul quale Pound scrisse fu il lavoro, e probabilmente furono proprio queste considerazioni a renderlo pericoloso agli occhi degli stati plutocratici, egli difatti affermò “lavorare meno per lavorare tutti” schierandosi così inevitabilmente contro il capitalismo e l’usura che tentano di schiavizzare e fossilizzare la vitalità del cittadino in un circolo vizioso di prestiti, facili utopie e lavoro massacrante, ponendosi quindi come difensore estremo della felicità umana, da lui inquadrata nel tempo libero a disposizione se tutti lavorassero meno, senza però sfociare in velleità comuno-socialiste che siano ,in quanto fortemente convinto della necessità di una volontà che si imponga affinchè lo stato funzioni al meglio e tutti siano felici.
Espressione delle sue teorie fu la sua adesione al Fascismo e la forte mano data soprattutto nel suo ultimo periodo.
Un uomo che fece delle sue idee azioni gestendo ,durante il conflitto, un programma radio proprio sulle sue teorie economiche cercando di sensibilizzare così la popolazione mondiale alla lotta contro l’usura ed alla ricerca costante della felicità.
Un personaggio utile ed illuminante come pochi al quale bisogna guardare e dal quale imparare perché come egli stesso scrisse:
”Con usura nessuno ha una solida casa di pietra squadrata e liscia”

A cura della Redazione del Blocco Studentesco Napoli
Il poeta ed economista Ezra Loomis Pound