domenica 23 settembre 2012

FASCISMO CONQUISTA PROLETARIA

 
di Filippo Giannini
 

Il titolo è ricavato da un volume di prossima edizione: autori sono Martina Mussolini (nipote del Duce) e Andrea Piazzesi.

Questo articolo è dedicato a tutti quei lavoratori (operai, tecnici o impiegati) che hanno perso il lavoro o che sono in pericolo di perderlo, come i minatori in Sardegna, gli operai a Taranto, e attingendo al pensiero di Alessandro Mezzano, posiamo scrivere: <Se in Italia ci fosse ancora la Socializzazione delle aziende, il caso FIAT non esisterebbe) ecc.

Come primo incitamento: non permettete di far chiudere le fabbriche o qualsiasi posto di lavoro. Pretendete di socializzare le aziende dove prestate la vostra opera. Lo stesso proprietario può entrare nel contesto dell’azienda socializzata, così come è stato fatto in Germania con la Mitbestimmung, che per ironia della storia l’idea della partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa, aspramente avversata dagli alti esponenti tedeschi, attecchì in Italia, purtroppo quando la guerra era ormai alla fine e i liberatori ci imposero il miraggio della privatizzazione, il mito dell’economia di mercato, strumenti per riaffermare l’egemonia capitalistica sull’economia e sulla politica. Anche l’Argentina che agli inizi del 2000 andò in default per 112 miliardi di dollari, che causò, similmente come sta accadendo in Italia, il licenziamento di migliaia di lavoratori. Fortuna volle che Qualcuno adottasse le idee mussoliniane e mettesse in atto, nelle aziende in crisi, la SOCIALIZZAZIONE, e la ripresa è stata tanto rapida che oggi, addirittura la Presidente  della Repubblica Argentina Cristina Kirckner può lanciare questo messaggio: <Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina (…)>. L’esempio dell’Argentina, con grande scorno degli Usa, è seguita dal Venezuela che ha iniziato a socializzare le imprese del legno. L’esempio dell’Argentina e del Venezuela è ripreso da altri Paesi dell’America meridionale.

   Ed ora facciamo un po’ di Storia.

   Lo scorso anno preparai un articolo dal titolo: “Ancora, ancora, e ancora griderò: LAVORATORE, SEI STATO FREGATO!”; ed ecco perché: la socializzazione, prevista nei 18 punti del Manifesto di Verona, nella Rsi, fu un’altra pietra miliare della politica sociale del Fascismo. Pietra miliare derisa, disconosciuta e condannata dai politicastri di oggi, e tu lavoratore non devi continuare a farti fregare. La tua salvezza è ancora e solo nel pensiero mussoliniano, checché vogliano sostenere gli incapaci, i ladroni, i furfanti di questa repubblica, impostaci dai liberatori. Il punto 9  del Manifesto affermava: <Base della Repubblica Sociale e suo oggetto primario è il lavoro manuale, tecnico, intellettuale in ogni sua manifestazione>. Forse, nel caos di oggi, l’articolo più necessario è il 12, che recita: <In ogni azienda industriale, agricola, privata, parastatale, statale le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa fissazione dei salari, nonché all’equa ripartizione degli utili, fra il fondo di riserva, il frutto del capitale azionario e la partecipazione agli utili stessi da parte dei lavoratori. In alcune imprese ciò potrà avvenire con una estensione delle prerogative delle attuali commissioni di fabbrica; in altre sostituendo i Consigli di amministrazione con Consigli di gestione composti da tecnici e da operai con un rappresentante dello Stato, in altre in forma di cooperative parasindacali>. Quindi, tu lavoratore che stai per perdere il lavoro, con la politica sociale mussoliniana, saresti diventato partecipe anche alle decisioni aziendali, cioè saresti stato tu a decidere se l’azienda doveva essere chiusa oppure no.

Per i lavoratori che sono sul punto di essere sfrattati, ricordo l’articolo 15: <Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà (…)>. E Mussolini anche su questo punto non scherzava; ricordate la IACP (istituto Autonomo Case Popolari) che vide la luce nell’infausto Ventennio? Quanti appartamenti vennero costruiti e quanti ceduti alla classe proletaria? L’Italia proletaria e fascista non fu un’espressione demagogica, ma la sublimazione del pensiero e della vita che sollevò dalla palude una massa di uomini e li avviò verso la realizzazione sociale, morale, civile (da uno scritto di Gian Carlo De Martini).

  Pur essendo d’accordo con quanto scritto da Gaetano Rasi nel sostenere che l’economia corporativa, che aveva modernizzato l’Italia e aveva avviato, intorno al 1935, la seconda rivoluzione industriale italiana, che fu la base del cosiddetto miracolo economico del decennio che va dal 1953 al 1963, questo nuovo miracolo potrebbe avvenire anche oggi, a condizione che le fabbriche non chiudano, che il capitale rappresentato dall’esperienza e dalle capacità dei lavoratori non venga disperso.

    Con queste parole il professore di Scienze Politiche presso l’Università di Gerusalemme, col saggio “La Terza Via Fascista” (Mulino 1990), definisce lo Stato corporativo: <Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi anni del secolo>. L’Autore continua a spiegare: <Le ragioni dell’attrazione esercitata dal Fascismo su eminenti uomini della cultura europea (e aggiungerei: non solo europea, nda), molti dei quali trovarono in esso la soluzione dei problemi relativi al destino della civiltà occidentale>. Sono proprio le soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del professore, ebreo, di Scienze Politiche: <Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l’alto e di partecipazione>.

   Lo Stato Corporativo era la strada che portava alla Socializzazione. Da tutto cio’ si evince il motivo per il quale i governi che seguirono nel dopoguerra, sotto il controllo della grande finanza internazionale, per evitare un libero confronto, sono stati costretti a creare una cortina di menzogne e contestualmente varare leggi antidemocratiche e liberticide, quali la “Legge  Scelba”, “La Legge Reale”, e la “Legge Mancino”>.

    Nell’ultima intervista rilasciata da Mussolini al giornalista Gian Giacomo Cabella il 22 aprile 1945 – quindi a poche ore dal suo assassinio – fra l’altro, alla domanda del perché della guerra, ebbe a dire che <le nostre idee hanno spaventato il mondo>, ovviamente spaventato il mondo dell’alta finanza; infatti la nascita dello Stato corporativo rappresentò il mezzo per superare i limiti del cosiddetto Stato liberale e l’incubo dello Stato sovietico.

   Il Diritto Corporativo tendeva a porre l’Uomo al centro della società, postulando principi dei quali citiamo alcuni dei più caratterizzanti:

1)      ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa,

2)      partecipazione dei lavoratoti agli utili dell’impresa;

3)      partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali, ONDE EVITARE CHIUSURE DI AZIENDE E LICENZIAMENTI IMPROVVISI (quindi altro che art. 18! nda) SENZA CHE NE SIANO INFORMATI PER TEMPO I DIPENDENTI, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;

4)      intervento dello Stato attraverso suoi funzionari, immessi nei Consigli di Amministrazione, allorquando le imprese assumono interesse nazionale, a maggiore difesa dei lavoratori,

5)      diritto alla proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;

6)      diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale contro l’appiattimento collettivista e le concentrazioni capitaliste;

7)      edificazione di una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la Previdenza Sociale, l’assistenza gratuita alla maternità e all’infanzia, le colonie marine e montane per bambini poveri, l’assistenza agli anziani, il dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via decendo;

8)      eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che se un cittadino non può farsi giustizia  da sé, altrettanto deve valere per i conflitti sociali; evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale;

9)      abolizione dei sindacati di classe, ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano, e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;

   Questi enunciati (ma non solo questi) che spiegano chiaramente i danni che avrebbero creato alla grande finanza, risalgono ai primi degli anni ’30, non sono che il logico sviluppo di quelli formulati nel 1919 e che ritroveremo espressi, ancor più lapidariamente, nel “Manifesto di Verona”.

   L’11 marzo 1945, il fondatore del Partito Comunista d’Italia (P.C.d’I), Nicola Bombacci, parlando al Teatro Universale, di fronte alle Commissioni interne degli stabilimenti industriali, fra l’altro affermò: <Il socialismo non lo farà Stalin, ma lo farà Mussolini che è socialista>. E il 13 marzo successivo, parlando allo stabilimento industriale dell’Ansaldo, di fronte a più di mille operai disse: <Fratelli di fede e di lotta, guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi chiedete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin, di vent’anni fa? Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano nella Repubblica Sociale Italiana, è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi  a rivendicare i diritti degli operai>.

   Quale era la strada intrapresa da Nicola Bombacci? Per giungere allo Stato Organico, alla Socializzazione dello Stato, il passaggio era (ed ancora oggi dovrebbe essere) lo Stato Corporativo.

Michael Shanks, economista di vasta esperienza internazionale, già direttore della Commissione europea degli affari sociali e presidente  del Consiglio nazionale dei consumi, nel suo libro What is wrong with the modern world? (Cosa c’è di sbagliato nel mondo moderno?) indica lo Stato Corporativo di Mussolini, di fronte alla persistente crisi del liberismo e del marxismo, come l’unico modello per uscire dalle contrapposizioni vigenti nella Democrazia Parlamentare. Non c’è alternativa, conclude l’economista inglese: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato. Ed oggi siamo sfascio dello Stato!

   A te lavoratore, la strada fu già tracciata più di ottanta anni fa, poi subentrò l’oro, Qualcuno a questo contrappose il sangue. NON TI FAR FREGARE!

   Concludiamo con uno stralcio del discorso di Benito Mussolini tenuto a Milano il 6 ottobre 1934 (riportato nel volume all’inizio citato): <(…) ho detto che l’obiettivo del regime nel campo economico è la realizzazione di una più alta giustizia sociale per tutto il popolo italiano. Che cosa significa? Significa il lavoro garantito, il salario equo, la casa decorosa, significa la possibilità di evolversi e di migliorare incessantemente). E la Storia ha dimostrato che questo avvenne, ma nel tempo del “male assoluto”. “Male assoluto” fu certamente per il grande supercapitale e per gli attuali ladroni di regime!

sabato 1 settembre 2012

Democrazia del lavoro

Interessante articolo di Filippo Giannini con i calce i commenti di M. Barozzi e G. Vitali
Democrazia del lavoro
(per intenderci quella Mussoliniana)
Filippo Giannini       
     
L'11 marzo 1945, il fondatore del Partito Comunista d'Italia, Nicola Bombacci, parlando al Teatro Universale, di fronte alle Commissioni interne degli stabilimenti industriali, fra l'altro affermò: «Il socialismo non lo farà Stalin, ma lo farà Mussolini che è socialista». E il 13 marzo successivo, parlando allo stabilimento industriale dell'Ansaldo, di fronte a più di mille operai disse: «Fratelli di fede e di lotta, guardiamoci in viso e parliamo pure liberamente: voi vi chiedete se io sia lo stesso agitatore socialista, comunista, amico di Lenin, di vent'anni fa? Sissignori, sono sempre lo stesso, perché io non ho rinnegato i miei ideali per i quali ho lottato e per i quali, se Dio mi concederà di vivere ancora, lotterò sempre. Ma se mi trovo nelle file di coloro che militano nella Repubblica Sociale Italiana, è perché ho veduto che questa volta si fa sul serio e che si è veramente decisi a rivendicare i diritti degli operai».
Quale era la strada intrapresa da Nicola Bombacci? Per giungere allo Stato Organico, alla Socializzazione dello Stato, il passaggio era (ed ancora oggi dovrebbe essere) lo Stato Corporativo.
Michaal Shanks, economista di vasta esperienza internazionale, già direttore della Commissione europea degli affari sociali e presidente del Consiglio nazionale dei consumi, nel suo libro What is wrong with the modern world? (Cosa c'è di sbagliato nel mondo moderno?) indica lo Stato Corporativo di Mussolini, di fronte al persistente crisi del liberismo e del marxismo, come l'unico modello per uscire dalle contrapposizioni vigenti nella Democrazia Parlamentare. Non c'è alternativa, conclude l'economista inglese: o lo Stato Corporativo o lo sfascio dello Stato.
Oggi, anno 2011 Era LXVI dello Stato Sfascista, siamo giunti allo Sfascio dello Stato.
È sotto gli occhi di tutti (a parte di coloro che ne godono i privilegi) le ingiustizie e le disuguaglianze che consentono e alimentano una società basata su sistemi liberali in politica e liberisti in economia. Questi sistemi sostenitori di una libertà che si trasforma in anarchia dove solo il più svelto, il più spregiudicato, il più privo di scrupoli, il più prepotente, il più imbroglione, il più ricco prevale su tutti. E ancora una volta ricordiamo l'ammonimento di Benito Mussolini: «La corruzione non è NEL sistema, ma è DEL sistema», e possiamo aggiungere che ciò è ampiamente comprovato. Allora, giusto come ha scritto il giornalista Franco Monaco: «Per rifare l'Italia, per rifarla Nazione bisogna mandare all'aria anzitutto i partiti. Perché una vera democrazia è cosa ben diversa da quella di loro comodo, grottesca impalcatura di gole profonde. Una vera democrazia non può fondarsi che sulla serietà pura e semplice del lavoro, quindi su una rappresentanza chiara, diretta e responsabile di tutte le categorie produttive».
Ora un po' di storia.
Prima con il Lodo di Palazzo Vidoni dell'ottobre 1925, poi con la Carta del Lavoro presentata il 21 aprile 1927 (sì, signori, addirittura più di ottanta anni fa) codificava, per la prima volta al mondo, i rapporti fra capitale e lavoro, cioè fra il proprietario di un'azienda e il lavoratore, basava l'intero sistema sulla collaborazione di classe in contrapposizione all'allora vigente lotta di classe, rendendo, in pratica, due forze non più ferocemente antagoniste, ma collaborative nel comune interesse. Di nuovo Franco Monaco (Quando l'Italia era ITALIA, pag. 47): «Questa unitarietà di comportamento dei datori di lavoro e dei lavoratori non poteva essere basata che su una loro uguaglianza totale: giuridica, politica ed economica. Perciò l'ordinamento corporativo ridimensionava il capitale, gli toglieva la vecchia arroganza padronale, lo faceva diventare strumento tecnico dell'economia, senza per altro mettere in discussione la proprietà privata». La Carta del Lavoro fu la premessa legislativa necessaria per l'impalcatura dell'apparato corporativo. Con la creazione nel luglio 1926 del Ministero delle Corporazioni, nel 1930 vide la luce il Consiglio Nazionale delle Corporazioni.
L'insieme dell'edificio corporativo andava costruito in tempi assennati perché sottoposto a continue verifiche, limature, variazioni, aggiunte. A seguito di ciò, con la legge del febbraio 1934 il sistema corporativo appariva quasi compiuto, mancava solo la sostituzione della ormai praticamente esautorata Camera elettiva con un organo espresso dalle corporazioni. Le elezioni plebiscitarie a lista unica, nel marzo 1934 e conseguente impresa etiopica, avevano probabilmente ritardato la variazione istituzionale e la creazione del nuovo assetto rappresentativo corporativo.
Nel 1939 entrò in funzione la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, organo legislativo e rappresentativo, con 600 deputati chiamati Consiglieri Nazionali.
La nascita dello Stato Corporativo rappresentò il tentativo di superare i limiti del così detto Stato liberale e l'incubo dello Stato sovietico. Il Secondo conflitto mondiale infranse l'esperimento in una fase che era già cruciale a causa dell'isolamento internazionale provocato dalle sanzioni e dall'autarchia. Così si espresse il Direttore de Il Giornale d'Italia in un vecchio articolo.
Il Dottor Sebastiano Barolini di Pontinia (LT) ha scritto che ha avuto la ventura di studiare il Diritto Corporativo che pone l'uomo al centro della Società e, riassumendo:
1) Ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese;
2) Partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese;
3) Partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali onde evitare chiusure di aziende o licenziamenti improvvisi senza che ne siano informati per tempo i dipendenti, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;
4) Intervento dello Stato attraverso i suoi funzionari immessi nei consigli di amministrazione allorquando le imprese assumono interesse nazionale a maggior difesa dei lavoratori (altro che l'intervento di Marchionne);
5) Diritto alla proprietà in funzione sociale e cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;
6) Diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale di contro all'appiattimento collettivista e alle concentrazioni capitaliste;
7) Edificazione si una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la previdenza sociale, l'assistenza gratuita alla maternità e all'infanzia, le colonie marine e montane per i bambini poveri, l'assistenza agli anziani, il dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari e via dicendo;
8) Eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che un cittadino non può farsi giustizia da sé altrettanto deve valere per i conflitti sociali ad evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale;
9) Abolizione dei sindacati di classe ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;
10) Attuazione, particolarmente nel Mezzogiorno, della bonifica integrale, che toglie ai latifondisti le terre incolte, le rende produttive e le distribuisce in proprietà gratuita ai contadini poveri.
Nell'Enciclica di Pio XI Quadragesimo anno, si legge fra l'altro: «Ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari ed amministratori del capitale di cui però dispongono a loro grado e piacimento». Insieme alle famose Encicliche Rerum Novarum e Centesimus Annus si può affermare che le Encicliche papali sono la trasposizione politica dei problemi sociali che avevano proposto la Chiesa.
Quindi rivolgiamo una esortazione ai giovani, ne va del vostro futuro: dedicatevi allo studio del Diritto corporativo e ignorate le interessate e fraudolenti, mendaci voci che vi parlano di spinte corporative o di iniziative settoriali corporative. Lo Stato Corporativo è tutto l'opposto perché è volto, attraverso l'esame dei programmi proposti dalle singole Confederazioni di categoria, a formulare una seria e globale programmazione economica ben diversa da quelle inconsistenti dall'attuale disonesto e incapace regime.
Siamo ora declassati a Nazione di serie B a causa dell'incapacità e corruzione dell'attuale regime.
A dimostrazione di quanto scritto, oltre al già citato Michaal Shanks, diamo la voce ad altri studiosi e autorità che sono al di sopra di ogni sospetto di simpatie per il passato regime.
Un riconoscimento alla validità della proposta corporativa venne addirittura da Gaetano Salvemini: «L'Italia è diventata la Mecca degli studiosi della scienza politica, di economisti, di sociologi, i quali vi si affollano per vedere con i loro occhi com'è organizzato e come funziona lo Stato corporativo fasci­sta. Giornali, riviste, periodici specializzati, facoltà di scienze politiche, di economia, di sociologia, delle grandi come delle piccole università, inondano il mondo di articoli, di saggi, opuscoli, libri che formano già una biblioteca di dimensioni rispettabili sullo Stato corporativo fascista, le sue istituzioni, i suoi aspetti politici, i suoi indirizzi di politica economica, i suoi effetti speciali».
In questo contesto non possiamo non ricordare che quando Mussolini, nel 1934, affermò. «L'America va verso l'economia corporativa», disse molto meno di quanto non si potrebbe credere. L'America non riusciva a superare la crisi economica che l'attanagliava e Roosevelt, favorevolmente colpito dalla politica mussoliniana, inviò attraverso Italo Balbo, «parole di apprezzamento per l'organizzazione corporativa del nostro Paese». In merito ha scritto Vaudagna: «In Italia intellettuali, politici e giornalisti videro nel New Deal una sorta di corporativismo in embrione, che seguiva la strada aperta dal fascismo». Roosevelt, nel contesto di una economia che era sempre stata ispirata ai principi del più sfrenato ed incontinente liberismo, introdusse, con le buone e assai più con le cattive, il coordinamento economico da parte dello Stato, la qual cosa fu, non a torto, valutato come un punto di svolta determinante.
Zeev Sternhell, ebreo, professore di Scienze Politiche presso l'Università di Gerusalemme, col saggio "La terza via fascista" ("Mulino" 1990), nel quale, tra le molte altre considerazioni, possiamo leggere: «Il Fascismo fu una dottrina politica, un fenomeno globale, culturale, che riuscì a trovare soluzioni originali ad alcune grandi questioni, che dominarono i primi anni del secolo». L'autore continua a spiegare: «Le ragioni dell'attrazione esercitata dal Fascismo su eminenti uomini della cultura europea, molti dei quali trovarono in esso la soluzione dei problemi relativi al destino della civiltà occidentale». Sono proprio le soluzioni sociali ad attrarre maggiormente il giudizio del professore di Scienze Politiche: «Il corporativismo riuscì a dare la sensazione a larghi strati della popolazione che la vita fosse cambiata, che si fossero dischiuse delle possibilità completamente nuove di mobilità verso l'alto e di partecipazione».
 Torniamo a Roosevelt. Questi aveva impostato la campagna elettorale all'insegna del New Deal, ossia ad un vasto intervento statale in campo economico, proponendo un'alternativa al liberismo capitalista. Una volta eletto Roosevelt (e questo nel dopoguerra venne accuratamente nascosto) inviò, nel 1934, in Italia Rexford Tugwell e Raymond Moley, due fra i suoi più preparati uomini del Brain Trust per studiare il miracolo italiano.
 E allora, per tornare al titolo di questo pezzo, riprendiamo uno stralcio del lavoro di Lucio Villari: «Tugwell e Moley, incaricati alla ricerca di un metodo di intervento pubblico e di diretto impegno dello Stato che, senza distruggere il carattere privato del capitalismo, ne colpisse la degenerazione e trasformasse il mercato capitalistico anarchico, asociale e incontrollato, in un sistema sottoposto alle leggi e ai principi di giustizia sociale e insieme di efficienza produttiva». Roosevelt inviò Rexford Tugwell a Roma per incontrare Mussolini e studiare da vicino le realizzazioni del Fascismo. Ecco come Lucio Villari ricorda il fatto tratto dal diario inedito di Rexford Tugwell in data 22 ottobre 1934 (Anche l'Economia Italiana tra le due Guerre, ne riporta alcune parti; pag. 123): «Mi dicono che dovrò incontrarmi con il Duce questo pomeriggio… La sua forza e intelligenza sono evidenti come anche l'efficienza dell'amministrazione italiana, è il più pulito, il più lineare, il più efficiente campione di macchina sociale che abbia mai visto. Mi rende invidioso… Ma ho qualche domanda da fargli che potrebbe imbarazzarlo, o forse no».
Erano gli anni che da tutto il mondo (e lo ripeto: da tutto il mondo) politici e studiosi venivano in Italia per studiare il MIRACOLO ITALIANO. Esattamente come oggi, vero? E chi può ci smentisca!
Andiamo verso la conclusione e citiamo di nuovo Franco Monaco: «C'è una sola strada da percorrere, tutta italiana, ma preclusa ai grassatori: una strada da riprendere con un impegno non tribunizio, ma di studio e di ampia informazione pubblica, se si vogliono veramente ricostruire i valori crollati».
Per valori crollati, Franco Monaco si riferisce a quelli crollati nella non troppo lontana sconfitta militare del 1945, quando i liberatori ci imposero le loro leggi, quelle basate essenzialmente sul valore del dollaro.
Torneremo presto sull'argomento, in quanto convinti corporativisti.
Filippo Giannini       
 
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la Nota di Maurizio Barozzi

L'ottimo articolo di F. Giannini merita alcune considerazioni:
1. Le Corporazioni durante il ventennio, pur essendo un enorme passo sociale in avanti rispetto ai periodi precedenti (ed oggi dovremmo dire, anche rispetto al presente) furono in buona parte piegate agli interessi padronali, come ebbe onestamente a riconoscere lo stesso Mussolini in Repubblica. E questo nonostante la buona volontà di molti veri fascisti che vennero però a trovarsi emarginati rispetto alla grande maggioranza dei "fascisti italioti", camerati per opportunismo, conservatori nell'animo e nel portafogli, quelli insomma che troveremo poi intenti a boicottare la nostra guerra del sangue contro l'oro e a determinare il 25 luglio. Gli stessi che, ma guarda un pò!, li ritroveremo di nuovo TUTTI, quasi nessuno escluso, in quel partito qualunquista, bottegaio, reazionario e ultra conservatore che fu il MSI, a braccetto con liberali, monarchici e vecchi tromboni trombati dei Servizi, tutti al servizio degli atlantici: dai Birindelli, ai Miceli, ecc. ecc.
A scusante del fascismo possiamo dire che il ventennio fu un periodo "straordinario" nel quale i grandi impegni della Nazione e il suo sviluppo avevano la preminenza ed in questo senso il padronato potè godere di grandi privilegi (niente a che vedere ovviamente rispetto a quelli di cui gode oggi e senza neppure la scusante dell'interesse nazionale!).
Questo per dire che senza la socializzazione le corporazioni sono una riforma incompiuta nella quale il padronato trova comunque il sistema per piegarla ai propri interessi. Non per nulla i missisti, a poco a poco, emarginarono sempre più i discorsi retorici sulla socializzazione, usati più che altro nelle sezioni ad uso dei gonzi, accentuando invece quelli sulle corporazioni: in un regime demo capitalista le corporazioni non solo non possono assolutamente raggiungere il principio di parità tra capitale e lavoro, che resta del tutto teorico, ma addirittura attraverso un sistema elettivo a base corporativa consentirebbero all'economia privata di controllare lo Stato ancor più che in un regime democratico semplicemente elettivo (tutto questo nonostante che iil sistema corporativo, sempre in via teorica, potrebbe essere proprio la risoluzione dei gravi problemi sociali e politici che la democrazia elettiva presenta.
Il fatto è che la democrazia e lo stato liberista, trasformano in merda tutto quello che toccano e quindi le corporazioni, oltre a non poter essere disgiunte dalla socializzazione delle imprese, dalla riforma del mercato azionario e del mercato immobiliare, nonchè di quello del commercio dei beni di prima necessità, per realizzarsi compiutamente e secondo giustizia, abbisognano anche di un tipo di stato nazional popolare dove l'economia e la finanza sono subordinate al potere politico.
2. Roosevelt, alle prese con le conseguenze della crisi del '29 cercò, ma solo propagandisticamente, di ispirarsi alla filosofia fascista dell'intervento dello Stato nell' economia, ma la sua opera fu poco più di una barzelletta e difatti non risolse nulla (ci volle l'intervento bellico per rilanciare l'economia americana), nè cambiò il sistema economico di produzione che rimase totalmente in mani private e gangsteriche. E questo per il semplice fatto che Roosevelt era un burattino nella mani dell'Alta finanza (ed ovviamente dell'ebraismo internazionale), ovvero proprio della componente sociale che aveva determinato le speculazioni finanziarie che portarono alla crisi del '29, la quale non aveva alcun interesse ad un vero sistema sociale.
3. Eccellente l'osservazione dell'autore, laddove scrive: «È sotto gli occhi di tutti (a parte di coloro che ne godono i privilegi) le ingiustizie e le disuguaglianze che consentono e alimentano una società basata su sistemi liberali in politica e liberisti in economia. Questi sistemi sostenitori di una libertà che si trasforma in anarchia dove solo il più svelto, il più spregiudicato, il più privo di scrupoli, il più prepotente, il più imbroglione, il più ricco prevale su tutti. E ancora una volta ricordiamo l'ammonimento di Benito Mussolini: «La corruzione non è NEL sistema, ma è DEL sistema», e possiamo aggiungere che ciò è ampiamente comprovato.»».
Quanto questo sia vero, lo si constata attorno a noi laddove, per esempio, la sanità, l'alimentazione, le comunicazioni, la gestione delle risorse energetiche e l'edilizia abitativa (ovvero gli elementi essenziali di una società) sono totalmente in mano private che ne fanno carne di porco. Mani private, a loro volta, subordinate al sistema usurocratico della finanza internazionale.
Un esempio, tra i tanti, ma emblematico: in tutto il paese sono spuntate come funghi le sale Bingo e le sale giochi, le scommesse on line, i video poker e il poker on line. Tutti sistemi spilla soldi, che fatturano miliardi, svuota tasche dei cittadini, in virtù dello sfruttamento delle debolezze umane, in modo tale che lo Stato, che un tempo, se c'era una posta in palio, vietava persino il gioco delle carte nelle osterie, oggi lascia distruggere finanziariamente intere famiglie, anzi ne è spesso persino cointeressato a queste speculazioni.
Maurizio Barozzi

la Nota di Giorgio Vitali

I vari aspetti del problema meritano di essere trattati. Intanto il sistema corporativo è stato comunque una realizzazione di stampo politico finalizzata a dimostrare che si POTEVA cambiare il sistema, che era "democratico" cioè a rappresentanza "borghese", dalla restaurazione ad oggi. per avere un'idea del mondo che si è protratto fino ad oggi, occorre leggere gli autori della restaurazione. (es. B. Constant) che nulla ha a che vedere col pensiero reazionario (De Maistre).
La Restaurazione è la società borghese che riesce a darsi un'organizzazione per la rappresentanza politica. In questo sistema di rappresentanza e di organizzazione del potere, l'Europa ha vissuto fino agli anni trenta del novecento. Beatamente, perchè NESSUNO immaginava che ci sarebbe potuto essere un altro sistema politico.
Quindi la rappresentanza per le categorie anzichè le ASTRATTE ideologie, poteva prestarsi a veicolare la transizione. Purtroppo c'è stata di mezzo la guerra che NON ha permesso l'evoluzione del sistema, ed ha costretto Mussolini ed i suoi più stretti collaboratori a stringere i tempi ed arrivare alla socializzazione della RSI. Ma già lo stesso termine di Repubblica Sociale, che ha rappresentato per oltre un secolo l'aspirazione rivoluzionaria di intere generazioni, costituisce elemento essenziale di riferimento (vedere Storia della Comune di Parigi).
Nell'evoluzione delle società le trasformazioni sono lentissime. Basti pensare all'esito della Rivoluzione Francese che, dopo anni di lotte cruentissime, ha prodotto Termidoro e subito dopo l'impero di Napoleone che nelle forme e nello sfarzo di epoche precedenti, con un sistema politico di riferimento che era quello dei termidoriani, è riuscito però ad esportare il principio cardine della rivoluzione. Detto tra noi, che sappiamo essere la conquista dei paesi islamici (Iraq ed Afghanistan-Pakistan) una forma violenta di COLONIALISMO, anche questa operazione bellica comporta necessariamente l'acquisizione da parte di quei popoli di alcuni concetti base della modernità (come ha già fatto l'India e soprattutto la Cina col comunismo) che li porterà alla sfida diretta nei confronti degli USA-GB colonizzatori. Per ritornare al corporativismo, tutto ciò che accade oggi dimostra che la rappresentanza per categorie è vista dal Sistema come fumo agli occhi. Basti notare le proposte di legge presenti ai parlamento e le tendenze espresse dai politici di tutte le tendenze. E questo per noi è sufficiente a capire che il ritorno alla rappresentanza per categorie è un passo obbligato.
Giorgio Vitali

http://fncrsi.altervista.org/Democrazia_del_lavoro.htm

Stato corporativo e socializzazione


Di Aldo Spera e Filippo Giannini 

 
NEL RICORDO DEL MANIFESTO DI VERONA UNA PROPOSTA PER IL XXI  SECOLO PER L'ITALIA E PER LA NUOVA EUROPA:PARTECIPAZIONE INTEGRALE DEL POPOLO AL POTERE IN UNO STATO ORGANICO 
17.10.2011 - No, non sono un democratico e non credo nella democrazia, non credo alla quella democrazia che ci fu imposta dagli eserciti stranieri. 
Credo, invece, nella Democrazia Organica o, come vogliamo chiamarla: Democrazia del Lavoro.
Terminammo il precedente articolo Stato Corporativo con l'impegno di tornare sull'argomento, cosa che ci stiamo proponendo di fare.
Ripetiamo di nuovo quanto ebbe a dire Benito Mussolini: <Il marcio non è NEL sistema, ma è DEL sistema>, crediamo che nessun lettore si può augurare che l'attuale sistema possa continuare a vivere. 
Che l'attuale sistema sia marcio lo è perché nato da un seme marcio e proclama la santità dell'attuale Democrazia (così i potenti la chiamano) proclama che il cittadino può avvalersi dell' alternanza, cioè concede che al termine di ogni legislatura il cittadino, non soddisfatto di come è stato governato, può passare l'autorità del governo all'opposizione. È una bidonata, cioè cambiare per far rimanere le cose come erano. In altre parole è come se un contadino, o chi per lui, ci invitasse a gustare le mele di un albero; prima gustiamo quelle mele che pendono dai rami di destra, poi se non sono di nostro gradimento ci invitasse a provare quelle di sinistra. Questa è la bidonata: rami di sinistra o di destra le mele saranno fetenti in ogni caso, perché l'albero è sempre quello. 
Atto pratico: abbiamo “gustato” il governo Berlusconi di centro-destra, e abbiamo constatato la sua incapacità; i democratici ci dicono: ora provate con il centro-sinistra. Sai che capolavoro: come si dice <Dalla padella alla brace!>. Perché il sistema è lo stesso e ci darà la solita fetenzia
Torniamo all'esempio dell'albero: non vogliamo più le mele, vogliamo, ad esempio, le pere, cioè pretendiamo di cambiare il sistema .
Premessa: i vincitori dell'ultima guerra, cioè quei vincitori di una guerra perduta, hanno concepito tre leggi liberticide (alla faccia della democrazia e della libertà ) con le quali ci è vietato di esprimere chiaramente chi siamo. Per indicare chi siamo, chiamiamoci: “Noi” , il lettore comprenderà perfettamente.
Per “Noi” l'organizzazione della società dipende, innanzitutto dalla politica ed è indispensabile che la politica controlli e diriga l'economia. Esattamente il contrario di come viene concepita la politica nel sistema vigente. Politica concepita e partorita dalla Resistenza e dai vincitori demoplutocratici del 1945.
Mussolini, sì, sempre lui, chi altri altrimenti? Concepì, avvalendosi dello Stato etico di Giovanni Gentile, uno Stato Corporativo che altro non era se non lo sviluppo dei Punti programmatici espressi il 19 marzo 1919 con la fondazione dei Fasci di Combattimento avvalorati da De Ambris e da D'Annunzio, autori della Carta di Libertà del Carnaro
Così, nel 1927, vide la luce la Carta del Lavoro, già ricordata nel precedente articolo, tutto ciò seguendo un progetto di collaborazione e solidarietà che superava la filosofia materialistica (rovinosa e fallimentare) della lotta di classe di profilo marxista. Questo progetto, forse oggi ancora più valido di allora in quanto il lavoro assumerebbe una valenza primaria, assegnando ai lavoratori e alle varie competenze il compito di eleggere le proprie rappresentanze di categoria destinate a legiferare in Parlamento.
E i partiti politici?
Per i danni che questi arrecano e che hanno arrecato per la corruzione di cui sono portatori, meriterebbero di essere gettati in una discarica a cielo chiuso. Naturalmente gli autori di queste note si rendono conto che per un trapasso come quello indicato è impossibile soprattutto perché per realizzare il nuovo sistema sarebbe necessario disporre di quanto ci viene negato: la possibilità di accedere a mezzi d'informazione adeguati. Altrimenti si rimane sul piano della fantasticheria e, addirittura, del vaneggiamento. Va aggiunto che “Noi” siamo divisi e rancorosamente spezzettati, grazie alle tante operazioni messe in atto da coloro che vogliono che tutto rimanga come è. 
Per “Noi” i concetti liberaloidi di destra, centro e sinistra rimangono completamete privi di senso.
Chi scrive queste note ritiene che fu un irrimediabile errore quello compiuto dal MSI definirsi di Destra, perché quelle idee non possono essere assolutamente di Destra:
Da un articolo di fondo scritto da un Segretario di partito, leggiamo: compagno
.
Sta nel dire talvolta cose giuste e magari sacrosante, ma pretende di sostenere sotto la bandiera rossa e all'insegna del comunismo>.  
Così l'articolo continua: . 
 L'articolista conclude: <Quando difende, per esempio, lo Stato sociale, quel poco che ne resta in Italia, lo sa o non lo sa, che difende lo Stato sociale per come lo realizzò in Italia nel Ventennio, il di lui odiatisimo Fascismo?>.
Confermo: Stato sociale voluto e attuato da Mussolini e da nessun altro! 
Stato sociale non completato proprio perché i compagni e i loro alleati liberalcapitalisti ne ostacolarono il pieno compimento, al punto che, pur di fare la guerra al fascismo, si affiancarono ai più potenti eserciti del mondo capitalista e imperialista. 
E i compagni ancora oggi si vantano di quella scelta, tanto che in una trasmissione televisiva Pinocchio (giusto un burattino dovevano scegliere) un compagno si esaltò affermando: . E i compagni in sala applaudirono. Che bravi!
Bernhar Shaw, lo ripeto e lo ripeterò ancora e ancora, nei primi anni Trenta profetizzò: . E così è stato!
Oggi, nel teatrino politichese italico, assistiamo alla consueta rissa per rubarsi il potere, così da dividere il bottino del povero popolo sovrano (sic!) e, di conseguenza, il concetto di corporativismo è stato faziosamente distorto: lo si è voluto spacciare per rivendicazioni di interessi particolari. 
Lo Stato Corporativo mirava, invece, ad una finalità diametralmente opposta e fu il primo tentativo, italiano, di una programmazione unificatrice, di un superamento degli interessi particolari che proprio il sistema dei partiti difende subdolamente. 
La Democrazia Corporativa, quella verso la quale l'Italia degli anni Venti e Trenta stava camminando, è una strada tutta italiana, ma preclusa ai grassatori. 
Era quella strada che avrebbe concesso, una volta ancora all'Italia di essere portatrice di una nuova civiltà: LA CIVILTA' DEL LAVORO! 
Per raggiungerla si doveva vincere la guerra contro l'oro, ma vinse l'oro!
È nostro dovere riprendere quel cammino interrotto dalla violenza delle armi nel 1945. Il programma è rivoluzionario? Certamente! Ma non c'è rivoluzione più grande e ambiziosa di quella intesa a cambiare un sistema con un altro. 
ED ORA UN PO' DI STORIA: REPUBBLICA-SOCIALIZZAZIONE.
Sono passati quasi settanta anni da quando il 14 novembre 1943, in Castelvecchio a Verona, si celebrò il congresso del Partito Fascista Repubblicano, con il proposito di fissare in un "Manifesto" le linee essenziali del nuovo Stato Repubblicano. Come la Carta del Lavoro, nata il 21 aprile del 1927, sarebbe divenuta legge dello Stato quindici anni dopo con la promulgazione dei Codici Civili, così il Manifesto lanciato a Castelvecchio, al di là di alcuni contenuti legati alla situazione del momento, doveva essere un abbozzo dei criteri sui quali costruire la futura Costituzione nazionale. Un preambolo lo definiva il punto 18, ma era di grande rilievo perché confermava il ripudio dello Stato agnostico, proprio delle democrazie parlamentari derivate dai principi del 1789.
Erano trascorsi poco più di due mesi dalla resa che aveva affondato l'Italia nello smarrimento mettendola alla completa mercé dei suoi nemici, ed i convenuti di Verona erano ancora con il cuore in tumulto e ansiosi di cancellare l'onta subita. Nobili e legittimi sentimenti davvero poco adatti alla pacata riflessione necessaria per concepire e studiare certi istituti. Ed infatti lo stesso Mussolini confidò a Bruno Spampanato: "A Verona non abbiamo visto dei costituenti, ma dei combattenti. Ma forse è meglio".
Alla fine, nel fervore del momento e nell'ansia dell'azione fu approvata per acclamazione l'ipotesi di lavoro, e fu un vero miracolo di consapevolezza e di concentrazione, tanto che, se da un canto può uscirne diminuito il valore sotto l'aspetto giuridico-tecnico, dall'altro ne è aumentato quello ideale e morale, perché, pur davanti alla materiale sconfitta incombente. per la preponderanza avversaria, quegli uomini vollero gridare al mondo le proprie idee perché a loro sopravvivessero. Fu una vampata di purissima fede per la quale ciascuno dei presenti non avrebbe esitato a bruciare la propria vita, ma nel contempo fu la conferma che l'idea che aveva trasfigurato l'Italia e accesa la speranza in Europa, aveva contenuti inequivocabili e profonde radici nell'animo di quanti in essa credevano.
Nel rievocare dopo quasi sette decenni quel giorno memorabile, non dimenticando che l'azione politica deve essere l'applicazione di una salda concezione dell'Uomo, della vita e dello Stato, ma deve procedere e svilupparsi per operare nella mutevole e complessa realtà come tutto ciò che è vivo, ci chiediamo se quegli assunti possano riproporsi oggi, e negli stessi termini. La risposta è che il Manifesto di Verona contiene proposizioni tutt'ora valide e pertanto, opportunamente modificato per renderlo idoneo al mutare dei tempi. Da esso possono trarsi buone basi per correggere l'attuale deriva negativa della situazione politica ed avviare la costruzione di un nuovo Stato, guidato realmente dal popolo e non dai grandi commessi, o commissari come in Europa li chiamano, o Ministri in Italia. In ogni caso tutti più attenti all'economia che non alla politica, alla quale quest'ultima, quella vera in aderenza al volere della plutocrazia internazionale, della quale costoro sono servitori più o meno coscienti.
Ed allora raccogliendo il testimone da coloro che ci hanno preceduto a Verona, e nel solco delle idee da loro espresse, noi vogliamo lanciare un nuovo "Manifesto" con il quale proporre tale Stato, condizione unica per riprendere quel cammino di civiltà del quale l'Italia in passato è stata maestra, da sola o insieme ad altre Nazioni dell'antica Europa. 
Uno Stato, che possiamo definire ad integrale partecipazione del popolo al potere, e che nell'ambito di un corretto vivere sociale consente ad ognuno di esercitare la propria libertà, e la possibilità reale di partecipare al potere, scevro da falsità, da ipocrisie, e da predomini dell'uomo sull'uomo. 
Così correggendo i danni prodotti da idee ormai ampiamente dimostratesi errate per non aver costruito la democrazia che si ripromettevano, ma delle oligarchie, e delle peggiori, perché formate da potentati economici attenti più al profitto che non ai destini dell'umanità. 
L'errore degli Stati moderni infatti, è stato determinato dall'essersi basati sul noto trinomio: "LIBERTÀ', UGUAGLIANZA, FRATERNITÀ" dal 1789. 
Però l'uguaglianza non esiste in natura, ed affermarla a base della organizzazione sociale è cosa estremamente deleteria, come nel volgere dei tempi ben si è dimostrato e tuttora dimostra, con la conseguenza che la libertà è solo nelle dichiarazioni, mentre al popolo ne resta molto poca, e la fraternità è di fatto sparita. 
Occorre invece e per quanto possibile, organizzare uno Stato nel quale nessuno possa artificiosamente impedire ad altri di tentare di concretizzare l'essenza dèi proprio vivere, della quale la propria quotidianità è l'armonica realizzazione, secondo le proprie capacità e volontà, quest'ultima effettivamente realizzata e non solo enunciata:
Riteniamo che per cambiare le cose, si debba considerare che, in quanto parte di un gruppo, l'interesse particolare di ciascun individuo, spirituale o materiale che sia, può trovare migliore e più continua soddisfazione se tanto avviene nel contempo per l'intero gruppo. 
Gruppo che diviene popolo quando di tanto prende coscienza, e Nazione quando si accorge dei legami di continuità esistenti fra il vivere di ognuno e quello comune del gruppo stesso, nella consapevolezza delle medesime radici e dell'essere "comunità di destino".  
Ciò vuol dire che quel che conta per garantire la libertà, non è l'uguaglianza, ma la socialità, altro grande valore indispensabile per la realizzazione della libertà stessa. Il suddetto trinomio allora si riassume in un unica parola: SOCIALITÀ, che con esclusione dell'uguaglianza gli altri due comprende, e nella considerazione della quale solo può parlarsi di effettiva sovranità del popolo, visto nelle sue diversità come nel suo insieme, richiedendo però ad ognuno il contemporaneo adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, cosicché dal gioco armonico delle diversità sia fatta sempre più vigorosa e più ricca la vita comune.
Ecco il Corporativismo , e con esso la Socializzazione, che soccorrono alla realizzazione di uno Stato nel quale non hanno voce dottrine teoriche e spesso utopistiche, ma realtà effettive, relative ad ogni attività umana intellettuale o materiale, ciascuna rappresentata in una comune assemblea istituzionale e raggruppata in una propria categoria.
Uno solo è il modo per combattere e vincere il capitalismo che subordina l'Uomo alle cose e travalica il campo economico trasformandosi in plutocrazia: eliminare ogni forma di parassitismo sociale e porre come finalità comune le priorità poste dalla realizzazione della libertà e dello sviluppo della Nazione, dando vita ad uno Stato che “Noi” chiamiamo ORGANICO
Uno Stato del quale ricevere la cittadinanza, possa dal forestiero essere considerato altissimo onore, come era un tempo il vivere con la legge romana. Sarà naturalmente necessario accantonare l'attuale Costituzione, e pur tenendo conto della nostra allergia per tali documenti ridondanti di belle parole poi inascoltate nei fatti e causa di eccessive e talvolta pruriginose staticità idonee per chi detiene il potere ma non per il popolo, sostituirla con un testo che contenga i principi fondamentali, le forme istituzionali ed il loro funzionamento.
Se i "18 punti" del "MANIFESTO DI VERONA" non pretendevano di essere più che un significativo "preambolo", lo schema del "MANIFESTO PER IL XXI SECOLO" che “Noi” proponiamo dovrà essere un aggiornamento di quel preambolo, lasciandone immutato lo spirito, proseguendone gli intenti e precisando che non si tratterà mai di pesanti macigni, ma di linee sempre modificabili, allorché sarà dato di tradurlo in diritto positivo o in qualunque momento in caso di successive necessità
Aggiungiamo altresì a scanso di equivoci da parte di chiunque, che intendiamo raggiungere il nostro scopo all'interno e nel rispetto delle leggi vigenti.
Un passo dopo l'altro, per l'Italia e l'Europa di domani.

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Commento


FD. - Sono fermamente convinto che il caso non esista, oggi ne ho avuto un'ennesima dimostrazione.
Stamattina ho pensato "vista la situazione nazionale-internazionale-finanziario devo andare a vedere cosa scrivono sul Corriere dei Caraibi" di cui in particolare ammiro profondamente due dei vostri giornalisti, Antonelli e Giannini. Quest'ultimo non finirò mai di ringraziare per avermi aiutato a trovare risposte a dubbi sull'incongruenza di molti fatti storici riportati su libri stampati su carta "alleata".

Oggi quindi leggo questo articolo, gustandomelo dall'inizio alla fine. Sempre stamattina pensavo proprio al denaro, che preso come elemento di valutazione del lavoro di un'uomo, in sostanza quando è un MEZZO, è un bene, ma che quando diventa FINE, quando non valuta più il lavoro ma la "capacità" di certe persone o di certi istituti, dediti a sfruttare soltanto le difficoltà o la stupidità altrui, quando l'importante non è produrre qualità ma vendere, senza nemmeno distinguere tra commercio di cose giuste o ingiuste, morali o immorali, quando diventa ... "alta finanza", allora è veramente un male, una gabbia dorata che abbiamo inconsciamente costruito noi stessi, convinti a costruirla da tanti specchietti per allodole messi in punti strategici, gabbia che sta per chiudersi e imprigionarci tutti...
Potrei ancora aggiungere che ieri valutavo la mia infelicità lavorativa mentre il "portare il mio contributo di conoscenze e capacità all'azienda" è diventato un semplice prostituirsi per non perdere un posto di lavoro ottenuto con tanta difficoltà. Ho un disperato bisogno di Socialità, come intesa nell'articolo. Ma per concludere "i casi" di questi giorni, pochi minuti dopo aver iniziato a leggere questo articolo, mi arriva un messaggio assolutamente inaspettato dall'ultima persona che pensavo potesse scrivermi, ma il cui contenuto "fa scopa" con il contenuto di questo articolo. Non me ne vogliate se faccio "pubblicità" alla pagina di un altro giornale online: http://www.stampalibera.com/?p=19606
All' anno 1933 c'è un netto collegamento alle tesi di Giannini, e l'intero documento è un netto collegamento al vostro riferimento al 1789 ed alle forse occulte che ci amministrano...
No, non credo che sia un caso, davvero.
Saluti
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