sabato 18 febbraio 2012

A cosa serve la crisi finanziaria



Fonte: http://www.informarmy.com * Link

Prospettive e soluzioni.

1) Premessa. 2) L’evoluzione della crisi economica. 3) La sospensione della corrente elettrica. 4) La dittatura prossima ventura. 5) Il possibile scenario futuro. 6) Soluzioni. 7) Conclusioni finali.

1) Premessa.

Nei nostri precedenti articoli (1 e 2) avevamo delineato le ragioni della crisi finanziaria.
Tali ragioni però erano solo parziali. In realtà c’è una ragione piu’ profonda alla crisi che andremo a esporre in questo articolo, e tale ragione è assolutamente identica a quella che ha portato alla precedente crisi del 1929 in America.

Per esporre tale ragione procederò per gradi.
E’ da alcuni anni che sento parlare di una catastrofe che si abbatterà sull’Europa, ma solo da qualche tempo ho iniziato a sentire voci specifiche sul tipo di crisi che ci aspetta l’anno prossimo: crollo totale dell’economia, dittatura, e sospensione della corrente elettrica per settimane in tutta Europa.
Queste voci sono vere o no?
Difficile dirlo.
Certamente però i segnali sono inquietanti.
Da alcune persone, vicine ad ambienti massonici e militari, sentivo parlare di una crisi spaventosa, e dell’interruzione della corrente per settimane o mesi. Ho conosciuto persone che stanno già provvedendo alla crisi acquistando terreni in montagna per costruirci case autosufficienti.
Parlando con alcuni contadini ho scoperto che molte persone danno questa crisi prossima ventura per certa. Alcuni, con somma naturalezza, hanno detto: “Sì lo so che sta per venire una crisi senza precedenti, per questo non vendo la terra anche se economicamente ci rimetto”.

Un grosso imprenditore agricolo questa estate mi ha detto: “Sto impiantando nuove coltivazioni per prepararmi alla crisi del prossimo anno, in cui dovremo essere autosufficienti”.

La cosa più inquietante è stata quella di scoprire un gruppo di persone che ha organizzato già per ottobre una fuga in Argentina per salvarsi; e ancora più inquietante è stato quando mi hanno offerto di unirmi al gruppo, offrendo a me, a Jericho Sunfire e a un altro mio amico, il biglietto e il soggiorno gratuito. Il motivo per cui hanno offerto viaggio e soggiorno a me e ai miei amici non l’ho capito, ma la cosa mi ha ricordato la storia raccontami da Solange, di Giuseppe Cambareri (consigliere di Mussolini, massone e spia inglese) che nel 1948 in vista di una imminente fine del mondo ha portato un gruppo di imprenditori in Brasile ripulendoli da tutti i loro averi e lasciandoli in mutande.

In questi mesi ho cercato di capire cosa ci fosse di vero in queste voci, specie perché non mi quadrava come si conciliasse una crisi economica con, addirittura, una sospensione della corrente elettrica per settimane o mesi.
Mi spiego: che provocheranno una crisi economica è un dato di fatto, e tranne in Islanda nessuna popolazione ha reagito, essendo oggi i vari popoli della terra troppo sottomessi e inconsapevoli per avere una qualsiasi forma di reazione e capire dove sta il problema; sospendere la corrente per creare il caos l’hanno già fatto, in varie parti del mondo, con motivi pretestuosi, e nessuno ha detto nulla; ma provocare entrambi i disastri, su scala planetaria, mi è sempre parsa una cosa troppo inverosimile, più che altro perché a quel punto la popolazione avrebbe capito il raggiro.
Quindi mi domandavo se dietro tutte queste voci non ci fosse un allarmismo esagerato, magari creato ad arte per diffondere il panico.

Mi sono domandato altresì, da bravo paranoico complottista, se qualcuno non volesse addirittura che io e altri portavoce del mondo del cosiddetto complottismo facessimo articoli su una terribile crisi, facendoci pervenire delle false notizie, al fine poi di sputtanare tutto il lavoro della cosiddetta controinformazione.

Eppure queste due voci “catastrofe economica” e “sospensione della corrente elettrica” continuano a girare.
Allora mi sono preso la briga di osservare con più attenzione i quotidiani.
Esaminiamo le due questioni separatamente e poi tracciamo una ipotesi di conclusione.

2) L’evoluzione della crisi economica.

Partiamo da un dato di fatto.
La crisi economica è solo iniziata.
Questo l’hanno detto da anni molti economisti, e lo si capisce chiaramente da una serie di indicatori.

1) Un sistema finanziario che si regge su una moneta creata dal nulla, come è quella attuale, è destinato a crollare prima o poi. Il sistema monetario occidentale, non legato all’oro dal 1944, è una immensa truffa, una bolla di sapone basata sul nulla. L’intera economia cioè si basa su un bene (il denaro) che viene usato solo perché la gente non sa che il suo valore intrinseco è pari a zero. Siccome però le banche e gli stati sanno e hanno sempre saputo che la moneta non vale nulla, è chiaro che tale sistema serve unicamente a dare un’immensa fregatura alla popolazione (quello che Guzzanti chiama “il cetriolo globale”).

2) Dopo le già note vicende di Grecia e Portogallo, meno noto è il fatto che negli USA di recente è fallito (la notizia da noi è stata data a luglio) lo stato del Minnesota. “Shut down” c’è scritto sulle porte degli uffici pubblici. 24.000 dipendenti pubblici senza stipendi. Chiuse scuole, biblioteche, uffici pubblici che rilasciano certificati, ecc. Ovviamente le notizie filtrate in Europa sono poche e frammentarie, e i media si guardano bene dall’approfondire le ragioni, le conseguenze pratiche, e discutere le soluzioni, della crisi. E’ molto più importante discutere del numero di donne che frequentavano casa Berlusconi, se il premier prenda o no il Viagra, ecc. Ogni tanto, per variare, le pagine dei giornali vengono riempite dall’interessantissimo dibattito sulla battuta di Berlusconi sul nome del nuovo partito “Forza Gnocca” (intere pagine di giornali ho letto sui commenti dei vari schieramenti politici a questa problematica).

3) In Italia alcune notizie sono circolate poco. E pochi sanno che le varie casse professionali, come la cassa forense, la cassa del notariato, la cassa commercialisti, ecc., sono sull’orlo del fallimento perché, proprio pochi giorni prima del fallimento della Lehman Brothers, hanno acquistato un immenso pacchetto azionario proprio di questa banca; del resto la gran parte del patrimonio delle Casse è investita in titoli di Stato e obbligazioni varie, il che significa che presto salteranno per aria tutte. La maggior parte delle casse sono state di fatto commissariate, ma della cosa non si è accorto nessuno, perché non l’hanno chiamato commissariamento ma “istituzione di una commissione parlamentare di controllo”, ovvero una autorità di vigilanza sulla gestione finanziaria, che in genere è il preludio del fallimento. Per la cassa avvocati l’unico provvedimento di rilievo che si è avuto è stato quello di un aumento delle tasse per gli avvocati, che ora devono versare il 14 per cento alla cassa, mentre il cliente ne versa l’8 anziché il 4. In alcuni casi si è scoperto che alcuni investimenti erano stati effettuati in isole del Pacifico come le Cayman, ma ovviamente la cosa è passata quasi sotto silenzio.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/06/17/le-casse-sullorlo-del-crac-medici-architetti.html

4) La cosa più inquietante, poi, è che ogni volta che la BCE e i governi hanno varato delle misure anticrisi, tali misure si sono tradotte in due sostanziali vie: a) maggiori aiuti alle banche (soluzione geniale quanto voler risolvere il problema della mafia dando uno stipendio fisso ai mafiosi); b) aumentando le tasse, come ad esempio il recente aumento dell’IVA al 21 per cento.

Pare chiaro che questi e altri segnali in tal senso siano abbastanza univoci: la crisi si espanderà in tutta Europa, salvando solo la Svizzera e l’Inghilterra (quest’ultima infatti non a caso ha mantenuto la sua moneta, pur avendo il 17 per cento di quote nella BCE).

Soprattutto però, che la crisi ci sarà, lo ha detto di recente il ministro Tremonti. Lo ha detto chiaramente: ci sarà una crisi finanziaria peggiore di quella del 1929.
A questo punto le fonti devono considerarsi più che autorevoli.
“Verrà una crisi peggiore di quella del 1929”, detto da parte di un economista che peraltro è uno dei pochi che ha cercato fino ad oggi di parlare con una certa chiarezza, e che è senz’altro addentro ai meccanismi del sistema, significa fare un’affermazione che, a comprenderne il significato, è una specie di bomba.
Del resto, è sufficiente analizzare le cause che hanno portato alla crisi del 1929 in America, per capire che sta per abbattersi un fenomeno analogo oggi in Europa; tale crisi infatti fu provocata da una serie di fattori, che sono gli stessi dell’economia attuale: inflazione galoppante, indebitamento degli stati, politica bancaria tesa all’indebitamento dei privati, troppe speculazioni di natura esclusivamente finanziaria.
Tra la crisi del ’29 e quella prossima ventura, però, c’è una differenza di fondo: le varie monete dell’epoca erano comunque legate all’oro, cioé erano ancorate a beni reali, e quindi in una certa misura avevano un certo valore intrinseco; le monete di oggi sono carta straccia, e in alcuni casi non possono neanche definirsi “carta straccia”, in quanto la moneta è stata sostituita dalla cifra virtuale che compare su un computer o una tessera bancomat; tutto il patrimonio di una persona è composto esclusivamente da una cifra scritta su un pc, e infatti basta un clic per mandarlo in fumo.
Alla luce di tutte queste considerazioni, è assolutamente certo che la crisi deve ancora arrivare, dunque, e che sarà terribile.

3) La sospensione della corrente elettrica.

La cosa che mi ha più impensierito è questa storia della sospensione della corrente elettrica.
Ci sarà o no?
Sono mesi che osservo e cerco di capire.
Vediamo cosa ho potuto constatare.

1) Di recente c’è stata una sospensione della corrente elettrica in Belgio per diverse ore. Cause sconosciute.

2) Pochi giorni prima del Belgio era toccato alla California: 5 milioni di persone sono rimaste al buio per giorni. Anche qui le cause sono sconosciute e i media non hanno riportato alcuna notizia sulle conseguenze del black out. Silenzio tombale su un evento che pure meritava qualche riga in più.

3) A questo punto sono andato a rivedere le notizie relative al black out del 2004 in Italia. A quel tempo, andò via la corrente in tutta Italia per circa 12 ore. I giornali ci raccontarono che il fatto fu dovuto ad un albero che cadde su una linea dell’alta tensione in Svizzera. In questi anni ho parlato con persone che lavorano all’Enel e mi hanno tutte confermato che tale notizia era una balla clamorosa, perché una spiegazione di questo tipo è impossibile. Incuriosito maggiormente allora sono andato a leggermi la relazione tecnica della commissione di inchiesta istituita a suo tempo dal parlamento per indagare le cause del balck out. Il risultato è che i periti nominati non ci hanno capito un cazzo, finendo per concludere che erano necessari altri mesi per poter approfondire la questione. In conclusione: né i periti nominati, né il governo, né il parlamento, almeno ufficialmente, sanno perché ci fu il black out.

Insomma, si può ragionevolmente concludere che questi black out altro non siano che prove generali del black out futuro.

Dunque, leggendo le notizie relative ai black out, in effetti sembra di poter concludere che stiano facendo delle prove generali da qualche anno a questa parte per un futuro black out generale.

Ora la domanda è: quale scusa troveranno?
Mi pare infatti inverosimile che blocchino la corrente ovunque in Europa e America e poi ci raccontino che è stato un albero che è caduto su un traliccio.
Quindi ho pensato, o la notizia è falsa e viene diffusa solo per ingenerare terrore, oppure è vera, ma devo capire quale scusa troveranno.

La risposta mi è giunta inaspettata guardando un video di Swami Kriyananda – un leader spirituale della comunità Ananda, che si rifà agli insegnamenti di Paramahansa Yogananda – il quale ha parlato di una sospensione dell’energia elettrica per tre settimane, in conseguenza di una tempesta solare che ci sarà nel 2012. La cosa che mi ha colpito è la precisione e la sicurezza con cui indicava le modalità e la durata di questo evento, come se fosse informato con molta precisione.

A questo punto faccio un ulteriore controllo. In effetti pare che sia prevista una tempesta solare proprio per il 2012. Ce ne fu una alla fine dell’800, ma ovviamente non ebbe gli esiti disastrosi che potrebbe avere questa tempesta, in un’era in cui tutto funziona in base all’elettricità.
Ecco quindi il possibile colpo di genio dei nostri governanti. La sospensione dell’energia elettrica ci sarà e la colpa sarà addossata alla tempesta solare.

4) La dittatura prossima ventura.

Infine, la domanda che mi pongo è: ci sarà una dittatura?
Quando parlo con colleghi, “esperti” di diritto, o con gente comune, tutti ripetono a memoria la stessa manfrina: no, non è possibile che venga una dittatura, oggi siamo nell’Europa, ci sono le democrazie, la gente ha capito.
Questa risposta mi fa capire che l’indottrinamento portato avanti dai media e della letteratura ufficiale ha avuto perfettamente successo su tutti, persone colte e ignoranti.
Infatti la demenziale risposta non tiene conto del fatto che noi, di fatto, siamo già in una dittatura (infatti sono anni che non possiamo scegliere i nostri governanti e che destra e sinistra perseguono le stesse politiche alla faccia della volontà popolare) e che l’UE è già una dittatura (infatti la gente non conosce neanche il nome dei componenti delle istituzioni europee e il contenuto delle leggi che emanano; mentre la BCE è fuori dal controllo di qualunque stato e può imporre la sua politica monetaria come vuole).
Inoltre, come accade sempre, da millenni, la gente perde la memoria di quel che è successo in passato, e quindi la storia tende a ripetersi.
Infatti, per capire lo scenario che ci aspetta, non occorre essere né geni ne veggenti.
Basta guardare invece cosa è successo dopo il 1929 e vedere quale sarà il probabile scenario che ci aspetta dal 2013 in poi.
Bene. Cosa è successo dopo il 1929? Abbiamo in Italia il fascismo, in Germania il nazismo, e dopo la seconda guerra mondiale l’America ci ha “liberato”, facendo sì che la nostra politica sia stata sempre asservita supinamente a quella USA.
C’è da aspettarsi quindi che verrà una dittatura europea.
Ovviamente questa dittatura non si chiamerà “dittatura”. Non verrà un Hitler, un Mussolini, o un altro singolo soggetto, a dichiarare il partito unico e la guerra agli altri popoli per avere un impero.
Verrà invece un governo tecnico, di larghe intese, costituito da membri tecnici o dalle migliori menti della sinistra e della destra, i quali detteranno alcune soluzioni “tecniche” per risolvere la crisi (limitazioni delle varie libertà, giustizia sommaria, confische di beni, ecc.) e che muoveranno guerra solamente agli stati canaglia per portare la democrazia a colpi di milioni di morti e distruggendo intere civiltà.
Peraltro, il black out elettrico potrebbe essere in effetti la molla che farà scattare la scusa per un intervento militare.
Le leggi necessarie ci sono già: infatti è pronta la nuova superpolizia europea, Eurogendford, di cui i notiziari si sono guardati dall’informare; una superpolizia che sarà immune da responsabilità civili e penali, con poteri superiori a quelli dei servizi segreti nazionali, e che avrà diritto di vita e di morte (soprattutto di morte) sui cittadini scomodi.

5) Il possibile scenario futuro.

A questo punto lo scenario mi appare chiaro. Ci sarà la crisi, e per giunta sarà uno scenario apocalittico, perché si sommerà alla sospensione dell’energia elettrica in buona parte del mondo, cui seguirà un giro di vite dittatoriale.
La sospensione – o meglio le catastrofi cui porterà – non sarà però dovuta alla tempesta solare, come vorranno farci credere, e come la gente più credulona sarà disposta a pensare.
Sarà voluta dal sistema, perché sarebbe possibile informare la gente già fin da ora su come è possibile affrontare una simile catastrofe, mentre invece colpevolmente tacciono tutti.
Qualcuno obietta che non bisogna creare il panico tra la popolazione, e in questo trova la giustificazione al silenzio dei media.
Ma in realtà non si tratta di creare il panico.
Si tratta semplicemente di informare, senza creare allarmismi, e preparare le persone all’evento che probabilmente ci sarà.
Se poi tale evento non si verificherà, per un errore di previsione, per un miracolo, o semplicemente perché l’informazione è falsa, sarà tanto meglio per tutti.

6) Soluzioni.

E’ possibile prepararsi alla crisi in questo modo:

Non investire in prodotti finanziari, ma in beni reali: terreni, case, eventualmente oggetti di utilità (utensili, candele, ecc.).

Rivedere la propria cultura alimentare. E’ possibile alimentarsi, e bene, spendendo pochissimo e con poche cose al giorno se si conoscono le regole base dell’alimentazione (che non sono quelle ufficiali che, al contrario, sono false). In tal senso consiglio il libro di Arnold Ehret, “Il sistema di guarigione della dieta senza muco”.

Prepararsi a vivere in campagna. Nelle grandi città ovviamente la vita sarà più difficile. Non a caso negli ultimi decenni la politica dissennata dell’UE (con le sovvenzioni alle terre incolte, con l’introduzione di alcuni semi e la proibizione di altri, ecc.) ha distrutto l’agricoltura, costringendo contadini, agricoltori, pecorai, ad abbandonare le compagne, a non produrre più nulla, oppure li ha costretti ad un tipo di attività in cui si riesce a malapena a raggiungere il pareggio del bilancio quando va bene;

Il baratto. Nelle piccole comunità sarebbe necessario proporre sempre più insistentemente nuove forme di baratto. L’avvocato dà consulenze e servizi gratuiti; il falegname, il fabbro e gli artigiani lavoreranno gratuitamente; il medico curerà gratuitamente; chi ha la terra distribuirà i prodotti a tutti; chi non sa fare nulla imparerà ad aiutare le persone impegnate in lavori manuali o nella coltivazione della terra; ecc.

Recuperare la scienza delle erbe e delle piante. La quasi totalità delle piante che noi consideriamo inutili e che rappresentano “erbaccia”, sono invece commestibili e, sapute scegliere, rappresentano un ottimo alimento (senz’altro migliore di quello del McDonald’s) e molte hanno virtù medicinali, o servono a scopi vari come fabbricare saponi e altri prodotti utili per la quotidianità.

Se saremo pronti al caos, ce la caveremo con un po’ di fame, senza morire, e con un po’ di freddo. Se non saremo pronti e il crack ci sorprenderà, per milioni di persone, specie quelli che vivono nelle grandi città, potrebbe veramente essere un grande problema.
Per quelli che invece vivono in campagna, oppure in piccoli paesi, in fondo, potrebbe essere l’occasione per farsi qualche settimana di vacanza.

La dittatura che verrà potrà preoccupare solo alcune categorie. I pochi politici scomodi potrebbero essere eliminati. Gli intellettuali, i giornalisti e gli artisti che hanno denunciato il sistema potrebbero essere perseguitati; in realtà lo sono anche oggi, sia pure in forma indiretta, perché ogni intellettuale non allineato perde i lavori che fa, viene emarginato, come Barnard, Randazzo, e altri, quando non addirittura ucciso, come Pasolini, Rino Gaetano, Stefano Anelli, Mauro De Mauro, Ilaria Alpi, Graziella De Palo, Giancarlo Siani, Tobagi, D’Avanzo, ecc.
Ma per la maggior parte della gente, specie quella che vive nelle campagne e nei paesi, non ci saranno grossi problemi. Solo qualche auto di lusso in meno, e qualche soldo in meno sul conto corrente, ma tutto il resto rimarrà uguale. Cito una mia amica che vive in campagna, e che aveva fiutato la crisi anni fa, rendendosi conto che la politica comunitaria che dava fondi agli agricoltori per tenere le terre incolte era il preludio di un disastro planetario: “In cima a un monte, o in mezzo a un bosco, che ci sia una dittatura o una democrazia non fa una gran differenza”.

Per molte persone potrebbe essere addirittura l’occasione per rivedere i valori su cui hanno fondato la loro vita fin qui, e rimodellarla su parametri di riferimento diversi, e maggiormente ancorati a modelli di riferimento spiritualmente più elevati.
La crisi finanziaria, infatti, è stata resa possibile da un sistema di vita improntato al perseguimento di beni illusori e – la dimostrazione è nei fatti che stiamo vivendo – completamente effimeri.
Le élites finanziarie al potere hanno creato una popolazione, in Occidente, il cui unico fine era accumulare denaro, case, auto.
Molte persone hanno ucciso, si sono fatte corrompere, hanno venduto l’anima e la serenità per poter avere un’auto da 100.000 euro anziché da 10.000, una casa da 1 milione di euro anziché da 100.000, e soprattutto quella che, alla luce della crisi che sta per venire, si rivelerà una delle cose più inutili del mondo: un conto corrente ove la cifra che compaia sullo schermo sia il più possibile seguita da zeri.

7) Conclusioni finali.

Riassumendo. La crisi finanziaria attuale, con i disastri prossimi venturi, servirà a tre cose:

1) Far acquisire beni reali alle banche, in cambio della cessione di beni solo virtuali, come il denaro. Lo abbiamo spiegato nel nostro primo articolo sulla crisi finanziaria (http://paolofranceschetti.blogspot.com/2008/10/cosa-serve-la-crisi-finanziaria-e-chi.html)

2) Creare nuovi poveri e assoggettare ulteriormente la popolazione al potere delle élites finanziarie, per evitare che evolvano materialmente ma soprattutto spiritualmente (su cui v. il nostro articolo “A cosa serve la crisi finanziaria, parte 2”: http://paolofranceschetti.blogspot.com/2009/08/cosa-serve-la-crisi-finanziaria-parte-2.html);

3) Instaurare una dittatura mascherata da finto governo di emergenza, facendo perire le persone più deboli e accelerare la creazione del New World Order.

E a coloro che sostengono che non è possibile, che oggi siamo in democrazia, che i nostri governanti non potranno mai provocare la morte di milioni di europei, è sufficiente ricordare che il Trattato di Lisbona è stato firmato dai nostri governanti; che i milioni di morti che abbiamo avuto in Vietnam, Corea, e oggi Iraq, Afghanistan, e che avremo in futuro nella inevitabile guerra all’Iran, e all’Islam, li hanno voluti i nostri Bertinotti, D’Alema, Fini, Gasparri, Di Pietro, Veltroni, Berlusconi, Pannella, Bonino. E per questa gente, un iracheno vale quanto un napoletano, un torinese, o un sardo. Meno della carne da macello, perché questa almeno serve a mangiare e dal macellaio ha un valore; noi, per loro siamo solo delle rotture di coglioni inutili (come sostanzialmente sostiene Marco Della Luna nel libro “Oligarchia per popoli superflui”).

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giovedì 9 febbraio 2012

LA COSTITUZIONE ITALIANA NON E’ ANTIFASCISTA



Non è affatto vero, come spesso si sente affermare dai vari media, che l'attuale Costituzione italiana sia caratterizzata dall'antifascismo come scopo o valore.
Nei 139 articoli che formano il dettato costituzionale non ce n'è uno, infatti, che tratti di fascismo e/o antifascismo.
Per rintracciare il vocabolo "fascista" all'interno della Costituzione occorre andare alla XII° norma transitoria o finale che, nell'animo dei costituenti proprio in quanto non-articolo costituzionale - bensì norma transitoria - avrebbe dovuto esaurirsi in non più di un quinquennio. Sempre i c.d. "padri costituenti" ebbero l'accortezza di numerare diversamente le norme con numeri romani, rispetto ai veri e propri articoli che furono distinti con numeri arabi, giusto perché non si venissero a creare equivoci o mescolanze fra le norme transitorie e gli articoli costituzionali propriamente detti.
Certo, la XII° norma stabiliva transitoriamente e in parziale ( e non costante) deroga all'art. 48 della Costituzione, il divieto di ricostituzione del passato Pnf, legando specificatamente ciò alla limitazione, per non oltre un quinquennio, del diritto di voto attivo e passivo nei confronti degli esponenti dell'ex regime fascista. Fra l'altro, mentre i "padri costituenti" trattavano ancora di questa materia, nasceva ufficialmente, e quindi legalmente, il Msi che nel 1948 partecipò regolarmente alle elezioni politiche ottenendo fra l'altro diversi parlamentari e tutto questo senza particolari obiezioni giuridico-legali da parte delle allora vigenti autorità costituite.
Se all'epoca ci fosse stata veramente la volontà di dare una qualsivoglia valenza antifascista alla nascente Costituzione, i soliti "padri costituenti" avrebbero certamente provveduto con un apposito articolo e non certo tramite una norma transitoria; norma transitoria che non avrebbe comunque potuto confliggere eternamente ( e nemmeno per vari decenni) con il già richiamato art. 48 dedicato ai diritti politici di tutti gli italiani, nessuno escluso. Se questo ancora non bastasse, vi è poi un altro aspetto costituzionale che dimostra a priori l'infondatezza del presunto assioma di un antifascismo sancito in eterno dalla nostra Costituzione.
Essendo prevista la revisione di quasi tutti gli articoli costituzionali, sia tramite referendum promosso da 500 mila elettori oppure con voto di maggioranza assoluta da parte delle Camere ( 50% + 1 dei parlamentari eletti) si potrebbe in ogni momento, e solo manovrando i predetti strumenti costituzionali, ricreare tale e quale storicamente è stata a suo tempo perfino la RSI.
Fra l'altro, proprio nella nostra Costituzione vi sono alcuni articoli, in particolare il 3° comma dell'art. 38 (personalità giuridica del sindacato) e l'art. 46 (diritto dei lavoratori a collaborare nella gestione delle aziende in cui essi operano) che, per quanto sviliti e finora del tutto disattesi, richiamano pienamente la legislazione sociale che fu appunto della RSI.
Quanto sopra esposto deriva evidentemente dal fatto che la nostra attuale Costituzione è una Costituzione Repubblicana e non già antifascista.
Infatti, l'unico limite imposto alla revisione costituzionale è solo ed unicamente la forma repubblicana (art. 139) e questa forma istituzionale è l'unico aspetto che non può essere messo in discussione da alcuno indipendentemente dal fatto che qualcuno possa rappresentare finanche la più totalizzante volontà popolare o politica.
Sarebbe quindi ben più corretto affermare che la nostra Costituzione è fermamente antimonarchica e tuttavia, ciò nonostante, sono stati liberamente autorizzati a costituirsi nell'Italia di questa Costituzione così fermamente repubblicana, vari gruppi, partiti politici e associazioni apertamente e dichiaratamente monarchici (PNM; PMP, UMI ecc.) e questi ovviamente tendevano, al contrario di quelli più o meno fascisteggianti, ad attentare di fatto alla Costituzione Repubblicana col solo riproporre, neppure troppo velatamente, la restaurazione dell'istituto monarchico.

Franco Morini
http://www.italiasociale.org/lettere/lettere300908-1.html


ISTANZA DI MESSA IN STATO D'ACCUSA(Art.90, comma I°, ipotesi 2^, comma 2° Costituz.)
SALVATORE MACCA CONTRO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, ON. GIORGIO NAPOLITANO

... "per chiedere l'abrogazione della XII disposiz. transitoria della Costituzione, là dove la stessa, al comma 1, letteralmente dispone che "E' vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascita." La collocazione del divieto da parte del legislatore del tempo, dimostra, né poteva essere diversamente, se non altro perché l'Italia era, ed è, definita, nell'art.1, comma I°, della Costituzione, "una repubblica democratica", e perché, all'art.49, sin da allora, disponeva che "tutti i cittadini ( tutti, e dunque anche quelli di fede fascista!) hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", dimostra, si diceva, che il divieto era, e doveva essere, temporaneo."
http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_FGiannini_080915_Impeachment.htm

mercoledì 8 febbraio 2012

Socializzazione - OGGI - DOPO IL 25 APRILE 1945


di Manlio Sargenti

Stranamente, la socializzazione delle imprese, che gli antifascisti hanno di volta in volta considerata un trucco del regime per ingannare i lavoratori, un assurdo economico e giuridico, una irrealizzabile utopia, venne fatta oggetto dell'attenzione del governo del CLNAI fin dalla mattina del 25 aprile, subito dopo la proclamazione dell'insurrezione.
E così venne emanata immediatamente, fra i primi provvedimenti urgenti, la disposizione che la aboliva.

Strano, se era solo un inganno propagandistico o un'utopia, che vi fosse tanta fretta di abolirla,
strano che i partiti della sinistra non avessero considerato l'ipotesi di usarla almeno come mezzo di scambio con il padronato.
Perché, come abbiamo visto,
gli industriali ed i finanzieri italiani avevano fatto di tutto per impedire l'emanazione di quella legge e delle relative norme di applicazione.
Soprattutto si erano rivolti al “tedesco invasore” premendo sui responsabili del complesso militare – industriale tedesco che, dopo l'8 settembre '43, utilizzava le loro industrie, i loro tecnici ed i loro operai per il proprio sforzo bellico.
Eppure...
eppure non tutto di quelle idee perì con il crollo del fascismo.
E, stranamente,
alcune di quelle idee sul lavoro, il capitale e i loro rapporti, sul significato spirituale del lavoro come anche del possesso di capitali o di proprietà in genere, se la loro gestione viene vissuta come un dovere verso la comunità e nel rispetto degli interessi generali, le ritroviamo proprio nel testo del documento fondamentale della Repubblica Italiana, nella Costituzione del 1948 che porta in calce le firme del Presidente della Repubblica Enrico De Nicola, del Presidente dell'Assemblea Costituente Umberto Terracini, del Presidente del Consiglio dei ministri Alcide De Gasperi e del Guardasigilli Grassi.
E persino il concetto di una sede in cui le categorie del lavoro e della produzione potessero confrontarsi tra loro e con le forze politiche, alla luce del sole e non cogli inciuci sotto banco, era predisposta dall'articolo 99.

E per chi non ricordasse quei dettati costituzionali che quasi mai hanno trovato attuazione nelle leggi, ve li riproponiamo.


Articolo 1 L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
...omissis...

Articolo 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Articolo 35 La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero.

Articolo 41 L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Articolo 42 La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti, a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurare la funzione sociale e di renderla accessibile a lutti. La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.La legge stabilisce le norme e i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

Articolo 43 A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.

Articolo 44 Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione
secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane.

Articolo 45 La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini dì speculazione privala. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.

Articolo 46 Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.

Articolo 99 Il Consiglio Nazionale dell'economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. E' organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie i secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge.Ha iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.


Per chi è interessato a conoscere la socializzazione del lavoro e dell'economia, nemica del capitale speculativo, cioè i capitalisti di oggi, può apprenderla aprendo i seguenti link:

Simbiosi fra Capitalismo e Lavoro
Nella Repubblica Sociale Italiana
http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_FGiannini_080301_Simbiosi.htm

Ripeto: Lavoratore, sei stato truffato ! QUESTO ARTICOLO E' DEDICATO A QUEI LAVORATORI CHE PERDERANNO IL LAVORO

http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_FGiannini_100417_Ripeto-Lavoratore-sei-stato-truffato.htm

La socializzazione spiegata praticamente:
socializzazione - Renzaglia un'impresa per tutti.
http://pocobello.blogspot.com/2009/07/unimpresa-per-tutti-socializzazione.html

Quello che tutti i partiti di destra e di sinistra servi del "banchieri" non ti hanno mai fatto conoscere.
FASCISMO E ANTIFASCISMO PER UNA NUOVA COSTITUZIONE
http://www.unitiperlitalia.it/pagina.asp?p=Attivita&IdAttivita=180

mercoledì 1 febbraio 2012

IL MITO DELLA RESISTENZA


di Maurizio Barozzi


Queste mie brevi osservazioni storiche non vogliono essere un insulto a quanti, come antifascisti, lottarono e magari perdettero la vita durante la guerra civile in Italia 1943 – ’45, ma vogliono essere delle osservazioni e delle puntualizzazioni storiche alla luce della escursione e interpretazione di quegli avvenimenti.
Trattasi quindi di semplici valutazioni storiche, pur sempre opinabili, ma fatte alla luce di quanto è oggi acquisibile attraverso testimonianze e documentazioni.
Puntualizzazioni che, del resto, prima o poi, saranno inevitabilmente registrate dalla storiografia futura, quella lontana dagli interessi e dalle passioni dei nostri tempi.
Si dà ora il caso che, nonostante ci siano indubbiamente stati dei morti nel campo antifascista, deceduti in sporadiche operazioni di combattimento, ma più che altro fucilati a seguito di arresti o rappresaglie, non si può storicamente avallare l’attestazione di quello che si è voluto far passare come un vero e proprio “mito” di una resistenza del popolo italiano al nazi-fascismo.
Senza contare poi che, nella contabilizzazione dei caduti, quelli di parte antifascista sono decisamente minoritari rispetto a quelli di parte fascista, molti dei quali caduti nel corso dei combattimenti contro gli Alleati invasori o assassinati con tecniche terroristiche, in ottemperanza alle direttive che venivano da Radio Londra e da Mosca, o ancora, vigliaccamente trucidati a guerra finita durante le “radiose giornate”.
“Mito”: nella sua accezione e per quel che qui ci riguarda, dovrebbe essere il racconto delle gesta di dei ed eroi leggendari con cui si spiegano simbolicamente le origini del mondo, di un popolo, di valori culturali, ecc. Nel linguaggio corrente, immagine o leggenda fascinosa creatasi intorno a un personaggio, un fatto, una situazione.
Ora, seppur è indubbio che ci fu una parte minoritaria della popolazione che si riconosceva nei partiti ciellenisti e in qualche modo aveva in odio i tedeschi ed essendo antifascista, era avversa alla Repubblica Sociale Italiana, ed è altresì anche vero che una parte di costoro si organizzarono clandestinamente (partigiani), la Storia non può considerare solo le intenzioni e le azioni superficiali o minimali, ma pretende di registrare fatti concreti e avvenimenti significativi che abbiano lasciato una traccia nelle cronache del tempo.
E nel periodo considerato, da parte antifascista, queste azioni di guerra, concrete e significative, sono così minimali e sporadiche da non poter di certo essere elevate ad un mito di una resistenza o lotta di popolo, tanto più che, mentre la stragrande maggioranza della popolazione non partecipò affatto, neppure sotto l’aspetto ideale a questa “resistenza”, un altra parte ancorché minoritaria, ma ben più numerosa e significativa di quella antifascista, si riconobbe e sostenne la RSI di Mussolini.
Comunque sia, e per fare un esempio, il fatto che il 25 aprile in Milano, alle 9 del mattino, alcuni dirigenti del CLNAI (Marazza, Arpesani, Pertini, Sereni, Valiani) si riunirono clandestinamente nella biblioteca del Collegio dei Salesiani per dichiarare l’insurrezione a Milano e nel resto del Nord Italia, non vuol dire che costoro possano trovare un posto di rilievo nella Storia o che poi ci sia stata una vera insurrezione con tanto di “liberazione” della città (che infatti non ci fu!).
Tante testimonianze, memoriali, diari, articoli, sono stati scritti dal dopoguerra ad oggi, da presunti partecipanti alla Resistenza, raccontando, ricamando, ingigantendo e magnificando quei giorni e quelle gesta, ma la Storia non si lascia suggestionare dai ricordi e dalle ricostruzioni a tavolino, perchè esige il riscontro di cronache effettive, non di intenzioni, riunioni, articoli, volantini o altri lavori sotto traccia.
E neppure può dare rilievo a pompose sigle quali CVL (Corpo volontari della libertà) o CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), se poi queste sigle erano più che altro sulla carta, perchè i loro partecipanti, pochi o tanti che fossero, si guardavano bene dal mostrarsi alla luce del sole, fino a quando le località in cui operavano non erano state sgombrate dal nemico. A cose fatte poi, chiunque poteva vantare, arricchire e condire le sue “eroiche” gesta, consistenti in un tramare da congiurati, nel redigere un articolo o un volantino, nel trasportare ordini o armi, per poi rientrare tranquilli in qualche anonimo rifugio sicuro.
Quindi, se una rondine non fa primavera, altrettanto può dirsi di alcuni sporadici scontri e rare azioni militari che non possono creare un mito attestante una Resistenza del popolo italiano ai tedeschi ed ai fascisti.
A Milano il 25 aprile, ristoranti e negozi erano aperti regolarmente. A metà giornata si udirono delle sirene che dovevano costituire il segnale di uno sciopero generale, fase di inizio dell’insurrezione antifascista. I tram presero a rientrare nei depositi, mentre negli uffici molti se ne andarono a casa. Da alcune fabbriche dislocate in periferia giunsero dei colpi di pistola. Qualche sporadico incidente e nient’altro, tutto qui. Tranquilli e indisturbati i tedeschi, che del resto avevano oramai in tasca un accordo di resa con gli Alleati, stipulato all’insaputa della Rsi, se ne stavano per conto loro, mentre Mussolini in Prefettura a Corso Monforte circolava liberamente e le milizie e unità fasciste erano padroni della situazione.
Anche considerando il famoso "Incontro all'Arcivescovado", dove verso le 16 Mussolini si recò nella speranza di conseguire un indolore passaggio dei poteri, tra una repubblica che incalzata dalle divisioni Alleate si ritirava in armi verso la Valtellina in attesa degli ultimi sviluppi della situazione e le subentranti autorità cielleniste, che inevitabilmente avrebbero dovuto colmare il vuoto di potere, storici seri hanno sorriso al pensiero che, se Mussolini avesse veramente accettato la resa che in quella sede gli venne assurdamente proposta, i ciellenisti non erano neppure in grado di riceverla questa resa, ovvero di occupare i palazzi governativi, garantire l’ordine pubblico e provvedere alla consegna di migliaia di militi fascisti, per mancanza di uomini ed avrebbero quindi dovuto chiedere l’impiego delle stesse forze e polizie della Rsi.
Solo quando i fascisti di Pavolini, furono andati via da Milano ovvero dopo le 5 del mattino del 26 aprile, il CLNAI potè far occupare la Prefettura, sede evacuata la sera precedente da Mussolini e il suo governo, ma lo dovette fare la Guardia di Finanza passata ufficialmente e al momento propizio, dalla parte della Resistenza!
E stiamo parlando di episodi del 25 e 26 aprile, quando secondo la letteratura resistenziale doveva essere in corso la “liberazione” delle città del Nord.
Ovviamente poi, tra il 27 e il 28 aprile, in tutta sicurezza, in paesi e città oramai sgombri di fascisti e con i tedeschi ritiratisi, i banchetti di arruolamento di "partigiani dell'ultim'ora" si riempirono di iscrizioni (spesso tornate poi utili per una pensioncina o un riconoscimento futuro). Solo allora si videro per strada gruppi di partigiani armati di tutto punto che la fecero da padroni, fino a quando le amministrazioni Alleate provvidero a farsi riconsegnare le armi che gli avevano fornito.
E, sempre ovviamente, si scatenarono i massacri indiscriminati degli sconfitti (sconfitti dalle FF.AA. Alleate, si intende) che ebbero la sconsideratezza di fidarsi della parola di chi gli proponeva la resa e deposero le armi.
Se si ha la bontà di leggere le cronache del tempo e di confrontarle con una ampia letteratura non “impegnata” politicamente, ovvero quella narrativa dedita a raccontare fatti e situazioni di vita quotidiana dell’epoca, solo marginalmente riferibili a situazioni politiche e militari, ci si renderà perfettamente conto che la popolazione, nel suo genere, fu in quegli anni, più che altro estranea ad ogni vero impegno politico in un campo o nell’altro. Il desiderio del popolo era quello che la guerra, con le sue restrizioni, bombardamenti, minacce e privazioni, finisse al più presto.
Ed in questa speranza la gente era ovviamente più incline a desiderare un arrivo degli Alleati, rispetto ai tedeschi, ma non per partito preso, anzi i tedeschi erano tra gli eserciti più rispettosi verso i civili (anche se in alcuni casi avevano perpetrato, con teutonica e irragionevole violenza, delle sanguinose rappresaglie), ma solo perchè il popolino vedeva nell’arrivo degli Alleati, di cui si intuiva facilmente che sarebbero risultati vincitori, la fine della guerra. Le feste e gli applausi che una parte della popolazione, stanca e affamata, ma bisogna dire anche poco dignitosa, riservava alle truppe Alleate che entravano nei paesi e nelle città non può essere scambiata come una partecipazione alla lotta contro i fascisti e i tedeschi, perchè questa partecipazione non c’è mai stata.
I fascisti, pur potendo contare su un apporto di popolo non maggioritario, ma alquanto consistente alla loro Repubblica Sociale (circa 800 mila adesioni, sebbene molte lo furono, diciamo per “ufficio”, in quanto vi erano anche persone che lavoravano in strutture e uffici ubicati nel territorio sotto la giurisdizione repubblicana), erano una forza significativa e che poteva contare su numerose partecipazioni volontarie, in particolare di giovani, a reparti operativi in guerra.
Ovviamente, con l’approssimarsi della fine e l’arrivo delle truppe Alleate, che restrinsero la parte di territorio repubblicano sempre più al Nord, i fascisti finirono per trovarsi alquanto isolati, rispetto alla popolazione, che desiderava la fine della guerra e ne avvertiva tutta la pericolosità nel mantenervi relazioni e contatti. Nonostante questo, però, ancora a metà dicembre del 1944, Mussolini nella sua uscita a Milano dove tenne un memorabile discorso al teatro Lirico ed altri brevi discorsi in varie zone e sedi di partito o reparti in armi, venne letteralmente accolto da una vasta e genuina manifestazione di affetto da parte dei milanesi. E quelle manifestazioni di piazza, senza alcuna precauzione poliziesca che Mussolini aveva decisamente rifiutato, minacciando altrimenti di tornarsene a Gargnano, non ebbero il benché minimo disturbo da parte di quella Resistenza di cui tanto si parla.
Viceversa, la stessa contabilità di parte antifascista, delle forze partigiane (escludendo quelli dell’ultim’ora, anzi dell’ora dopo, che a guerra finita si misero un fazzoletto rosso o tricolore al collo), per tutto il territorio nazionale, non superava qualche decina di migliaia di unità, mettendoci dentro un po’ di tutto.
Del fenomeno terroristico, che causò innumerevoli lutti, storicamente parlando non c’è molto da dire, visto che si trattava non di una partecipazione popolare, ma di sparuti gruppi, GAP e SAP, che nelle stesse grandi metropoli oscillavano tra i 20 e i 100 elementi al massimo i quali, oltretutto, in totale clandestinità compivano imprese “mordi e fuggi”, sparando proditoriamente alle spalle, dileguandosi immediatamente e senza portare alcuna divisa o segno distintivo.
Tutto questo è quanto si deduce dalle cronache e dalle documentazioni storiche e dai racconti di chi ebbe a vivere quegli eventi al di fuori da ogni fazione.
E questo nonostante che la lettura dei giornali degli ultimi giorni di guerra e di quelli immediatamente successivi, ci mostrano invece cronache e articoli talmente fantasiosi, faziosi e assurdi che nessun serio storico può prenderli seriamente in considerazione.
Si immagini che l’Avanti!, in una sua edizione straordinaria, a proposito della cattura di Mussolini, ebbe la spudoratezza di affermare che questa cattura era avvenuta mentre il “Duce con la sua quadrata mascella stava divorando una grossa bistecca”. Ovvia, non solo la fola, ma anche la insinuazione finalizzata a sobillare gli animi di una popolazione che viveva in tempi di fame nera.
Il mito storiografico della resistenza, ebbe i suoi prodromi a guerra finita, dietro la necessità, da parte dei nuovi governanti italiani, portati al potere dalle truppe Alleate, di attestare una sia pur minima partecipazione alla “lotta contro i tedeschi”, e questo nel tentativo di strappare qualche riconoscimento al tavolo della pace.
Più avanti questo mito lo si iniziò a trasporre in letteratura, più o meno a metà degli anni ’50, in particolare quando Roberto Battaglia, storico di matrice azionista, diede anima, forma, corpo e sostanza storiografica a uomini, episodi e avvenimenti politici e di lotta che, sostanzialmente, erano stati militarmente parlando del tutto marginali, con il suo voluminoso: "Storia della Resistenza italiana" (Einaudi).
Ma nella pratica possiamo dire che il “mito” fu infilato a viva forza nella nostra storiografia, verso la fine degli anni ’60, sostenuto dalle varie celebrazioni, cerimonie e innumerevoli ricorrenze che gli si sono volute conferire, potendo contare su un tacito connubio tra comunisti e democristiani tra i quali, i primi si caricavano oneri, vittime e onori di quelle vicende, ed i secondi si accontentavano di una loro partecipazione.
In realtà, se uno storico serio, come abbiamo precedentemente accennato, si prende la briga di voler accertare la consistenza di questo “mito”, si accorgerà facilmente che, ancor meno del Risorgimento, non ci fu alcuna opposizione militare della popolazione verso i tedeschi e la RSI.
Anche il mito del Risorgimento, infatti, venne per lo più costruito a posteriori, attraverso una agiografia di uomini, fatti e avvenimenti, che spesso non si erano svolti come si è poi voluto attestare. Ma nel Risorgimento, almeno in alcune zone, si era avuta una certa partecipazione popolare, soprattutto da parte di ampi strati della borghesia.
Nella Resistenza, viceversa, questa partecipazione popolare non c’è mai stata, se non nelle invenzioni della letteratura resistenziale.
Del resto che il fenomeno partigiano non abbia fornito significativi apporti alla sconfitta dei tedeschi e del fascismo, si trova negli stessi atti degli Alleati che non vollero mai riconoscere ai “partigiani” la qualifica di combattenti.
Per gli Alleati, infatti, non aveva senso dare la qualifica di “combattenti” alle bande partigiane che, prive di espliciti segni distintivi, mai impegnarono seriamente il nemico in combattimenti.
Nè Churchill, nè Eisenhower intesero mai riconoscere o avallare una presunta “Resistenza” in Italia. Questa è una realtà storica, che nessuna celebrazione di Stato, romanzo letterario o fiction filmica potrà mai cambiare.
Gli stessi Alleati inoltre, obtorto collo, dovettero riconoscere – e lo riconobbero! - che l’unica attività militare degli italiani fu quella della Repubblica Sociale Italiana, ai cui combattenti venne riconosciuta questa qualifica (ripetiamo: negata invece ai partigiani!).
Nessuna agiografia storica, costruita a tavolino, e nessuna esagerazione di episodi, riportati nelle pubblicazioni resistenziali, o attestati da qualsivoglia Istituto storico della Resistenza, tendente a “trasformare” i desideri e le poche azioni degli antifascisti del tempo, in vere e proprie epiche battaglie, mai avvenute, può cambiare la Storia.
Come non la possono cambiare le tante fantasiose invenzioni, quali per esempio le mai esistite, nei termini così come sono stati raccontati in letteratura e nelle finzioni filmiche, “5 giornate di Napoli”!
Della esigua, anche se minacciosa, attività terroristica dei Gap e delle Sap, abbiamo già detto, ma ci sarebbe anche da aggiungere che mai, i responsabili di questi atti terroristici, ebbero a presentarsi per evitare le rappresaglie di guerra, da loro stessi provocate, sui civili. Il gesto, nobile, di Salvo D’Acquisto del 23 settembre 1943 deve addebitarsi all’ambito della RSI, appena costituitasi, non certo alla cosiddetta Resistenza.
Neppure può essere considerata una realtà militare e ancor meno una partecipazione popolare la massa dei renitenti alla leva (figurarsi, erano fuggiti proprio per non combattere!), frammisti a sbandati, prigionieri evasi, e qualche idealista, che si rifugiarono sulle montagne, ove rimasero pressoché inoperosi. Costoro furono poi inquadrati in bande da ufficiali del governo del Sud e da elementi comunisti, e si limitarono a sporadiche imboscate sulle strade, mantenendosi con il taglieggiamento dei contadini.
Quando queste fantomatiche formazioni, infoltitesi solo in prossimità della oramai sicura fine della guerra, giunsero il 27 aprile 1945, in una Milano evacuata dai fascisti, non poterono far altro che sfilare in parata per le strade cittadine mostrando le loro belle divise nuove fiammanti, che già di per se stesse, facevano intuire la mancanza di precedenti veri scontri e tremende battaglie. Alcune di queste Divisioni, tra quelle dell’Oltrepò pavese, fornirono la dozzina di fucilatori che si recarono la mattina del 28 aprile, senza ostacoli militari di sorta, a Como e Dongo per fucilare i membri della Rsi oramai prigionieri.
Altre divisioni, come quelle di Moscatelli e della Valsesia, giunsero a Milano il pomeriggio del 28 aprile cimentandosi in parate e comizi.
Non ci si faccia infine ingannare dai pomposi numeri con i quali venivano arbitrariamente nomate le famose Divisioni Garibaldi, poste al comando di Luigi Longo, tra le quale assurse alle cronache la 153° Divisione Garibaldi “Luigi Clerici” (quella che catturò il Duce, o per più esattamente dire, prese in consegna Mussolini, così gentilmente donatogli dai tedeschi), perchè trattasi di nuclei, con numerazioni di fantasia, costituiti da poche decine di partigiani che i rastrellamenti tedeschi o fascisti costringevano alla macchia ed alla quasi totale inattività bellica. A loro memoria va spesso il fatto che ebbero alcuni fucilati, in quanto catturati durante i rastrellamenti, ma questi morti, spesso dignitosi, non possono dar corpo al mito di una resistenza.
Solo una falsa filmografia e la retorica resistenziale ha voluto moltiplicare, come i pani e i pesci, la consistenza di questi reparti, e alcuni rari casi di importanti attentati o incursioni compiuti dai rifugiati sulle montagne.
I partigiani alla macchia, infatti, scesero verso le città del Nord solo dopo l’occupazione Alleata di Bologna del 21 aprile 1945 che mostrò la oramai evidente rinuncia dei tedeschi a combattere visto che in Svizzera stavano per concordare la resa delle loro armate in Italia, quella resa che, una volta concordata, li vide, già dal 26 aprile 1945 ritirarsi indisturbati nei loro acquartieramenti.
Le stesse fonti cielleniste, per esempio, affermano che a Como e addirittura il 27 aprile!, i componenti del CLN erano in tutto 50 (date le fonti, bisognerebbe anche calare questo numero) e per giunta prudentemente clandestini!
Sola la dabbenaggine e in qualche caso la collusione, forse più che altro “ideale”, con l’Oss americano, da parte di alcuni comandanti, rese possibile la dissoluzione dei fascisti che, giunti in armi in circa 4, 5 mila indisturbati da Milano, finirono per liquefarsi come neve al sole, di fronte ad un nemico letteralmente inesistente, e praticamente lasciarono isolato Mussolini in quel di Menaggio, il paesino lacustre ubicato una trentina di chilometri più avanti.
Ma direte, tutte quelle foto di parate di formazioni partigiane o di gruppi partigiani armati di tutto punto e con l’espressione seria e intenta a scrutare mappe per una imminente azione di lotta? Non dimostrano forse una partecipazione popolare alla Resistenza?
Lasciamo stare, stendiamo un velo pietoso, perchè qualunque occhio allenato si accorge immediatamente che in molti casi trattasi di foto costruite a “tavolino” in posa filmica, spesso inoltre lo stesso abbigliamento e i fazzoletti mostrati in parata, dimostrano che furono distintivi utilizzati a cose fatte e anzi ci sono addirittura anche casi di foto di fascisti in armi, spacciati per partigiani.
Reali furono invece le foto dei morti e dei combattenti fascisti che per esempio, in quel di Firenze, si immolarono in una disperata resistenza e spararono come franchi tiratori sugli Alleati entrati in città e sui partigiani improvvisamente apparsi al loro seguito.
Dunque possiamo concludere che mentre il popolo italiano, nella sua maggioranza è risultato alquanto agnostico e indifferente rispetto allo scontro politico e militare in atto, c’è sicuramente stata una parte molto minoritaria della popolazione che ha condiviso gli ideali antifascisti, mentre un altra parte, neppure tanto minoritaria della popolazione, comunque più consistente e significativa della precedente, si è riconosciuta nella RSI.
Che inoltre un esiguo numero di questi antifascisti ha praticato una lotta armata contro i tedeschi e i fascisti, attraverso azioni più che altro svoltasi in clandestinità, e tra i quali gli elementi comunisti, erano decisamente preponderanti, mentre altri hanno più che altro svolto azioni e lavorio politico, a tavolino o di limitata portata.
Rispetto a questi le federazioni fasciste, le Brigate Nere e tanti altri reparti, furono decisamente e sproporzionatamente superiori come numero e come qualità e consistenza delle azioni militari svolte, mentre la stessa RSI potè contare su forze armate al comando di Rodolfo Graziani, che neppure possono essere paragonate, come consistenza e qualità, alle forze armate del governo badogliano del Sud.
Il mito della Resistenza del popolo italiano al nazifascismo, quindi, è un falso storico e la storiografia futura lo spazzerà via senza alcuna difficoltà.

ARTICOLO RINASCITA

Vi allego il mio articolo odierno, circa il “mito” della Resistenza pubblicato da Rinascita
Ps. c’era molto altro da dire su questo argomento , fornire riferimenti precisi, ecc., ma lo spazio su Rinascita, max 5 fogli formato A4 non lo consentiva.