domenica 27 novembre 2011

NELLA CRISI ODIERNA DEL DEBITO, LA GERMANIA HA IL RUOLO DEGLI USA NEL 1931


DI FABIAN LINDNER


La storia tedesca ci mostra che dettare il declino economico ad altre nazioni porta solo guai nel futuro
Una nazione ha davanti a sé un abisso economico e politico: il governo è sull’orlo della bancarotta e persegue feroci politiche di austerità; i dipendenti pubblici subiscono enormi tagli allo stipendi e le tasse stanno drasticamente aumentando; l’economia langue e i tassi di disoccupazione esplodono; la gente si combatte nelle strade mentre le banche collassano e i capitali internazionali lasciano il paese. Grecia nel 2011? No, Germania nel 1931.

Il capo del governo non è Lucas Papademos, ma Heinrich Brüning. I tagli alla spese stabiliti per decreto governativo dal "cancelliere affamatore", ignorando il parlamento mentre il PIL scende senza limiti. Due anni dopo Hitler prese il potere, otto anni più tardi iniziò la Seconda Guerra Mondiale. La situazione odierna è ancora distante, ma i paralleli economici sono spaventosi. Come nei paesi oggi in crisi, il problema fondamentale della Germania nel 1931 era il debito estero. Gli Stati Uniti erano il maggiore creditore della Germania, i debiti tedeschi erano denominati in dollari. Dalla metà degli anni ’20, il governo aveva preso a prestito enormi sommi all’estero per versare i pagamenti di guerra a Francia e Gran Bretagna. Il credito estero fu quello che finanziò anche i ruggenti anni ’20 in Germania, il boom economico successivo all’iperinflazione del 1923. come Spagna, Irlanda e Grecia ai giorni nostri, la ripresa tedesca degli anni ’20 fu causata da una bolla creditizia. La bolla esplose assieme al crollo dei mercati finanziari statunitensi nel 1929. gli investitori e le banche degli USA subirono un duro colpo, persero fiducia e ridussero i propri rischi, specialmente gli investimenti in titoli europei. I flussi creditizi verso Germania, Austria e Ungheria subirono una brusca interruzione. Gli investitori statunitensi non volevano Reichsmark – la divisa tedesca – ma solo dollari, una moneta che la Reichsbank non poteva stampare. Il ritiro dei dollari dalla Germania – specialmente dai depositi bancari tedeschi – portò al rapido esaurimento delle riserve di moneta della Reichsbank. Per incassare dollari, la Germania doveva mutare il proprio enorme deficit delle partite correnti in un attivo. Ma come nelle crisi odierne, la Germania era intrappolata in un sistema monetario con tassi fissi di cambio, il gold standard, e non poteva svalutare la sua divisa. Comunque, anche dopo l’abbandono del gold standard, il cancelliere Brüning e i suoi consiglieri economici ebbero timore degli effetti inflazionistici di una svalutazione e una replica dell’iperinflazione del 1923. Senza liquidità in dollari provenienti dall’estero, l’unico modo a disposizione del governo per mutare il segno del bilancio era una feroce deflazione dei costi e degli stipendi. In solo due anni Brüning tagliò la spesa pubblica del 30%. Il cancelliere alzò le tasse, i tagli alle retribuzioni e alla spesa sociale di fronte alla disoccupazione e alla povertà sempre più in crescita. Il PIL reale diminuì dell’8% nel 1931 e del 13% l’anno successivo, la disoccupazione aumentò del 30% e i soldi continuavano a spillare al di fuori del paese. Le partite correnti passarono da un’enorme deficit a un piccolo attivo. Ma non c’erano abbastanza dollari a disposizione sui mercati mondiali. Nel 1930 il Congresso aveva introdotto lo Smoot-Hawley Tariff Act per tenere le importazioni lontane dal paese. Le nazioni con debiti in dollari furono tagliate fuori dai mercati statunitensi e non poterono incassare i soldi sufficienti per pagare il proprio debito. La situazione non migliorò quando il presidente Hoover propose una moratorio di un anno per tutto il debito estero della Germania. La moratoria vide l’opposizione sia della Francia – che pretendeva i pagamenti di risarcimento tedeschi – che del Congresso. Quando il Congresso alla fine approvò la moratoria nel dicembre 1931, era ormai troppo tardi. Nell’estate del 1931 le banche tedesche iniziarono a cadere, causando sia una stretta creditizia che cospicui pacchetti di aiuto pubblico per salvare le maggiori banche. Le banche dovettero chiudere e il governo fece default sul suo debito. La moratoria di Hoover e una politica di espansione fiscale sotto il successore di Brüning, von Papen, giunsero troppo tardi: i fallimenti e la disoccupazione continuarono a crescere e i nazionalsocialisti guadagnarono terreno politico. I paralleli con l’odierna situazione economica sono terrificanti: Grecia, Irlanda e Portogallo devono perseguire feroci politiche di austerità sotto la pressione dei paesi creditori e dei mercati finanziari per poter portare le partite correnti dal deficit all’attivo; la disoccupazione greca rimane al 18%, quella in Irlanda al 14% e in Portogallo al 12%, quella spagnola è addirittura del 22%. E quelli che potrebbero aiutare non fanno abbastanza: la Germania e i banchieri centrali tedeschi richiedono una drastica austerità e offrono solo rimasugli e un aiuto insufficiente in cambio: anche in questo caso, troppo poco e troppo tardi. La Germania avrebbe avuto molto da guadagnare nel 1931 se gli Stati Uniti, e anche la Francia, avessero fornito la liquidità necessaria alle banche tedesche e al governo. Forse la radicalizzazione politica si poteva evitare. Ma gli Stati Uniti diventarono isolazionisti. Non volevano essere coinvolti dal macello degli affari europei. Oggi la Germania riveste il ruolo degli USA. Sia il parlamento che il governo esitano a fornire l’aiuto necessario per i paesi in crisi: con l’EFSF, la Germania vorrebbe garantire fino a 211 miliardi di euro in prestiti alle nazioni in difficoltà. Non è abbastanza. Le garanzie fornite nel 2008 al sistema bancario tedesco furono di 480 miliardi di euro. La Germania ancora persegue il suo attivo delle partite correnti. Queste sono, per definizione, i passivi di altre nazioni. Per questo impediscono a queste nazioni di incassare i soldi necessari al pagamento del debito. Per di più, la Germania si oppone con rigore ai crediti di liquidità forniti dalla BCE. Gli economisti tedeschi e i banchieri centrali giustificano la passività della BCE con la minaccia dell’inflazione. Ma confondono le lezioni storiche dell’iperinflazione tedesca del 1923 e della sua deflazione nel 1931 con la crisi dell’occupazione. Questi errori di giudizio hanno le sue ripercussioni: la reputazione della Germania in tutt’Europa è già in declino, le tensioni politiche nei paesi in crisi che vedono tassi record di disoccupazione stanno aumentando con vigore e una sempre più probabile rottura dell’eurozona minaccerebbe l’economia tedesca, specialmente le banche e le esportazioni. Gli Stati Uniti appresero il duro percorso da prendere per assicurare la stabilità economia mondiale. La seconda guerra mondiale fu una delle conseguenze della crisi degli anni ’30 che poteva essere impedita. Dopo aver fallito nella stabilizzazione del sistema economico mondiale all’inizio degli anni ‘30, nel 1945 gli Stati Uniti avevano imparato che solo la cooperazione economica poteva portare a un mondo in pace e prospero. Grazie al Piano e alla riapertura dei suoi mercati per le esportazioni europee, consentirono all’Europa di ricostruire un’economia a pezzi. Nel frattempo, gli esportatori statunitensi trassero profitto dalla fame dell’Europa per gli investimenti e per i beni di consumo. Fino ai primi anni ’70 gli Stati Uniti hanno pilotato il commercio internazionale e il sistema monetario – quello di Bretton Woods –, garantendo così prosperità, il libero mercato con equità sociale e i prerequisiti per la socialdemocrazia. Sia l’opinione pubblica tedesca che i politici dovrebbero imparare dalla storia. La solidarietà con i paesi in crisi è nel loro interesse a lungo termine. Il governo tedesco dovrebbe smettere di abusare del proprio potere per dettare il declino economico alle altre nazioni. L’alternativa è la stagnazione economica e un aumento delle tensioni tra i paesi europei. Il verdetto rimane ancora valido: quelli che non riescono a imparare dalla storia sono destinati a ripeterla. **********************************************

Fonte: In today's debt crisis, Germany is the US of 1931 24.11.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

Tratto da: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=9414

venerdì 25 novembre 2011

Nella gabbia di Pound la verità sulla democrazia americana

di

Un uomo che fece dei maltrattamenti subiti un preciso motivo di resistenza culturale, da cui scaturirono le sue espressioni più celebri

Ezra Pound La notte tra il 15 e 16 novembre 1945, all’uscita del campo di concentramento del Disciplinary Training Camp di Pisa, una jeep scoperta americana trasportava un anziano e malconcio prigioniero ammanettato. Indebolito e stordito dai molti mesi di carcere duro, rinchiuso in una gabbia all’aperto, esposto al sole e alla pioggia, il vecchio era atteso a Roma da un aereo speciale che, dopo trenta ore di volo e un paio di scali, giunse a Washington. Qui l’aspettavano un processo per alto tradimento, il rischio della condanna a morte, la diffamazione, infine lunghi anni di internamento nel manicomio criminale di St. Elisabeth. Il primo anno lo passò segregato in completo isolamento, in una cella senza finestre, senza contatti con l’esterno. Del resto, sono conosciuti i sistemi carcerari di quel grande Paese. Pound verrà liberato soltanto nel 1958, scosso, ma per nulla distrutto da un’esperienza allucinante: una foto famosa lo ritrae, appena sbarcato a Venezia, nell’atto di fare un sorridente saluto romano davanti ai fotografi.

Ezra Pound, Canti pisani. Edizione con testo a fronte Il trattamento riservato a Ezra Pound dai suoi concittadini americani è noto. Per aver parlato durante la guerra dai microfoni di Radio Roma contro la guerra, contro quella guerra, gestita dagli usurocrati e fatta pagare ai popoli, Pound passò un’interminabile via crucis, che avrebbe fiaccato molti caratteri meno robusti del suo. Anzi, egli fece dei maltrattamenti subiti un preciso motivo di resistenza culturale, e proprio dai periodi più bui scaturirono alcune tra le pagine più celebri e sbalorditive della sua enigmatica, caleidoscopica vena poetica. Leggendo la testimonianza di Piero Sanavio La gabbia di Pound (Fazi Editore), veniamo di nuovo a contatto con una vicenda esemplare di quella lotta che si svolse nel Novecento, culminata nella Seconda guerra mondiale, e che non fu solo una questione di accaparramento delle risorse del pianeta, ma fu lotta politica, ideologica, soprattutto culturale e di civiltà. Pound è una delle più alte espressioni del fatto che, dal 1939 al 1945, furono in gioco i fondamenti stessi della visione del mondo europea, e che non si trattò affatto di un regolamento di conti tra differenti imperialismi, ma tra opposte maniere di concepire la vita e i rapporti politici e sociali in una moderna società.

Piero Sanavio, La gabbia di Pound Il libro di Sanavio – che conobbe il poeta, lo visitò più volte al manicomio di Washington e in seguito anche a Parigi – è una sorta di diario dei contatti con una delle personalità più inclassificabili e geniali del secolo scorso. Purtroppo, l’autore – che ci tiene a dirci che fu attratto, fin da giovane studioso, dalla poetica poundiana, ma per nulla dalle sue inclinazioni politiche – sottopone il suo interessante resoconto a una serie di suoi personali giudizi, di cui il lettore interessato a Pound farebbe anche a meno. Venuti a conoscenza che Sanavio considera quello fascista “un governo criminale” e Mussolini “insopportabilmente italiano”, siamo più tranquilli e ci possiamo volgere alla vicenda di Pound. Il quale aveva idee non omologate e del tutto indipendenti, e questo proprio a differenza di Sanavio, che si mostra provincialmente innamorato dell’America e del sistema liberale, e compreso quello liberticida dei Roosevelt e dei Truman.

Ezra Pound, I Cantos Pound ammirava Mussolini – e ammirò anche Hitler, e a chiare lettere – per una politica sociale che, bene o male, intendeva sottrarre il lavoro alle grinfie della speculazione finanziaria, che invece negli Stati Uniti costituiva il vero potere, allora esattamente come oggi. Dare al lavoratore la giusta paga, la dignità, la certezza di vivere in un sistema organico, in un ordine commisurato all’uomo, semplice e giusto, liberato dalle programmate alterazioni monetarie che arricchiscono gli speculatori, e che conducono alla rovina i popoli. Questo il Fascismo di Pound. E questo fu anche il Fascismo di Mussolini, quando, soprattutto dagli anni trenta, comprese che la questione del secolo era la lotta allo strozzinaggio liberista, prima e più ancora che al comunismo.

Finquando il Fascismo non parve che un caso locale di banale ordine borghese, di messa a posto dei sindacati socialcomunisti, non mancarono, a Londra come a New York, parole d’elogio per la soluzione italiana. Ma in seguito, quando lo stesso Fascismo assunse le dimensioni di una rivoluzione europea che investiva i rapporti economici internazionali, tale da minacciare le consolidate posizioni del liberalismo mondiale, le cose presero un’altra piega. Allora, contro il tentativo fascista di organizzare i popoli partendo dal lavoro e proteggendolo dalla speculazione, l’America e la sua succursale anglo-francese si dettero a brigare per lunghi anni. E, al momento buono, seppero cogliere l’occasione di politica internazionale che volevano, per passare direttamente all’eliminazione fisica del contendente: nulla di cambiato, come si vede, nei comportamenti liberali, dal 1939 fino ad oggi.

Ezra Pound Quando, in Oro e lavoro, Pound scrisse che “questa guerra non fu un capriccio di Mussolini, e nemmeno di Hitler. Questa guerra è un capitolo della lunga tragedia sanguinaria che s’iniziò colla fondazione della Banca d’Inghilterra nel lontano 1694”, metteva il dito su una piaga liberista particolarmente sensibile. Quando poi, aggiungeva che “dopo l’assassinio del Presidente Lincoln nessun tentativo serio contro l’usurocrazia venne fatto sino alla formazione dell’Asse Berlino-Roma”, dovette apparire chiaro che Pound si era fatto dei potenti nemici a casa propria.

The Cantos of Ezra Pound L’affermazione che “non i mercanti di cannoni ma i trafficanti del danaro stesso hanno creata questa guerra, hanno create le guerre a serie, da secoli, a piacer loro, per creare debiti, per poi sfruttarne l’interesse”, presupponeva di aver saputo gettare lo sguardo al di là della retorica propagandistica delle “grandi democrazie”, ben addentro al marcio verminaio che ne regola i comportamenti politici, a far data per lo meno – calcolava Pound – dal momento in cui, dopo la Gran Bretagna nel secolo XVII, il secolo della fondazione liberale, anche gli Stati Uniti erano caduti preda della finanza internazionale, durante la guerra civile tra Nord e Sud. La genialità di Pound, oltre i suoi meriti di poeta “dantesco”, universale, consiste proprio in questo suo eccezionale intuito nella comprensione degli eventi contemporanei. Un intuito che, non di rado, è stato anche irriso, compatito, prendendo il poeta per un visionario, un povero fissato, ossessionato da bizzarre manìe: la teoria monetaria di Gesell, la lotta al monopolio, l’usura… Nulla di più facile che farne un pazzo. Oppure, come fanno gli esponenti della “sinistra” europea illuminata, quelli, per intenderci, che amano l’introvabile America buona e libertaria: nulla di più facile che farne un semplice stravagante, un genio che non capiva nulla di politica, uno che per ingenuità si mise a braccetto di una banda di criminali. Questo è il lavoro sporco dei progressisti alle prese con la grande cultura fascista internazionale, che si tratti di Heidegger o di Pirandello, di Hamsun o di Mishima: separare con l’ascia del pregiudizio gli uomini di cultura dalle loro convinzioni ideologiche, farne dei fantocci inanimati, degli alienati dal proprio mondo e dalle proprie idee. In fondo, il giudizio di un Sanavio su Pound, nonostante una scontata ammirazione per lo scrittore o il personaggio, non si dimostra lontano da quello espresso dal governo liberale americano: un alienato, appunto, un “diverso”. Quindi, secondo la logica della “democrazia” puritana, un pazzo.

* * *

Una vita da profeta
Nato il 30 ottobre 1885 in Idaho (USA), dopo gli studi Ezra Pound si trasferisce nel 1908 in Europa, da lui già conosciuta in svariati viaggi. A Venezia pubblica i suoi primi versi, A lume spento, e si stabilisce a Londra, dove rimarrà fino al 1920. Di cultura enciclopedica ed eclettica, attratto dalla letteratura provenzale e stilnovista come da quella confuciana, a Londra promuove la nascita di due tra i movimenti letterari d’avanguardia più importanti del tempo, l’imagismo e il vorticismo, in cui si fondevano astrattismo fotografico, futurismo, neo-orfismo e cubismo. In questo periodo, tra gli altri, conobbe e frequentò Joyce, Eliot, W.Lewis, W.B.Yeats, di cui condivise l’interesse per i gli aspetti esoterici della tradizione culturale europea. Dopo numerosi viaggi e soggiorni anche in Italia, nel 1920 si trasferisce a Parigi con la moglie Dorothy e nel 1924 a Rapallo. Lavora ai primi Cantos, collabora a riviste e giornali stranieri e italiani, tiene conferenze in varie città, scrive poesie, saggi, persino musica e uno sceneggiato, Le fiamme nere. Il 30 gennaio 1933 è ricevuto da Mussolini, nel 1934 scrive Jefferson e/o Mussolini: si fa più intenso il suo interesse per la politica sociale fascista. Nel 1939, dopo l’ultimo viaggio negli USA, inizia la collaborazione al “Meridiano di Roma” di Interlandi, nel 1941 quella a Radio Roma, nel 1943 a “Il popolo di Alessandria”. Aderisce alla RSI: nel 1944 scrive alcuni pamphlet contro il sistema guerrafondaio americano: L’America, Roosevelt e le cause della guerra presente e Oro e lavoro. Arrestato il 3 maggio 1945, è rinchiuso nella gabbia del campo di concentramento di Pisa, dove scrive i Canti pisani. Internato in manicomio a Washington, vi rimane dodici anni. Nel 1958 si trasferisce nei pressi di Merano dalla figlia e in seguito, dopo vari soggiorni e ricoveri a Rapallo e a Genova, si reca infine a Venezia, dove muore il 1° novembre 1972.

Tratto da Linea dell’8 maggio 2005.

giovedì 17 novembre 2011

É macelleria sociale


É macelleria sociale: Lavoro, previdenza, contratti, Statuto dei lavoratori… Sparano sulla croce rossa nel nome del mercato

di Pino Biamonte

Sono persino riusciti a ricompattare il fronte sindacale, sempre più disorientato e sulla difensiva. I Signori del denaro che guidano l'Europa delle banche e dell'usura hanno sferrato un altro durissimo colpo all'Italia e al popolo italiano (lavoratori, pensionati, precari, disoccupati...)

Già da tempo nel novero dei Paesi PIGS, dei "maiali", l'Italia è ora bersaglio privilegiato degli speculatori e dei seminatori di povertà e decrescita sociale.

Le nuove misure adottate dal governo italiano, racchiuse nella famosa letterina inviata a Bruxelles, parlano di resa senza condizioni ai diktat dei soliti noti (Bce, Commissione Europea, Fmi).

Senza un briciolo di pudore governo e pseudo opposizione fanno a gara per conquistare il primo posto tra i più zelanti camerieri al servizio dell'eurocrazia.

E non riescono a vedere al li là del loro naso, ignorando del tutto gli esempi islandese e argentino.

Patetiche, stucchevoli e demagogiche le dichiarazioni di un Bersani, di un Di Pietro (guarda caso, ora anche lui parla di "macelleria sociale", proponendo però le stesse ricette liberiste dei suoi sodali e avversari) e persino di un rottamatore come Renzi, fan di Marchionne e di Confindustria, dimostratosi più realista del re per il suo turbo liberismo degno di un Pietro Ichino, il giuslavorista parlamentare del PD gran predicatore dell'ordine dei precarizzatori.

Un'opposizione (?!) che ha bacchettato il cavaliere per lo scarso entusiasmo dimostrato nell'affondare il bisturi, secondo i desiderata di Bruxelles.

Come se non bastassero le già pesantissime misure che si abbatteranno, in aggiunta ai precedenti "rimedi" lacrime, sudore e sangue, su lavoratori e pensionati.

Misure draconiane che hanno l'obiettivo di modificare il diritto del lavoro, rendendolo più funzionale alle necessità delle imprese, e che riporteranno il mondo del lavoro e le conquiste sociali indietro di almeno 40 anni: maggiore flessibilità, ulteriore accelerazione della precarizzazione del rapporto di lavoro, licenziamenti più agevoli in barba allo stesso Statuto del Lavoratori e all'articolo 18 che consentiva il licenziamento solo per giusta causa o giustificato motivo.

Una strada obbligata per gli ossequienti servitori della finanza internazionale, d'altro canto già tracciata nella manovra finanziaria di luglio scorso dal ministro del lavoro (si fa per dire) Sacconi, che, con l'articolo 8, ha servito alle aziende, su di un piatto d'argento, la possibilità di derogare dalla contrattazione nazionale.

Ora l'impegno italiano, messo nero su bianco, nei confronti dei tecnocrati di Bruxelles e Francoforte prevede l'introduzione della libertà di licenziamento nel caso di difficoltà economiche delle imprese (banche comprese), nel nome della concorrenza dei mercati.

Ridicolo è il raffronto con quello cinese, dove i diritti dei lavoratori sono una vera e propria chimera e lo sfruttamento a livello schiavistico della mano d'opera fa sì che il c.d. costo del lavoro risulti ad esempio otto volte inferiore a quello italiano.

La competizione con le aziende straniere, secondo le logiche perverse dell'ideologia mondialista, deve dunque essere completamente libera da "lacci e lacciuoli". Tradotto dal politichese e dalla lingua degli economisti(ci) ciò significa che il "mercato del lavoro" deve prevedere la pratica dell'assunzione e del licenziamento ad libitum. Punto e basta.

Così mentre la crisi mondiale, provocata dalla finanza speculativa anglo-americana, la si vuol far pagare ai popoli europei, privilegiando la finanza stessa e l'impresa a scapito del lavoro, in Italia si sta concretizzando il disegno, varato già a partire dalla famigerata crociera sul Britannia del 1992, di vendere gli ultimi scampoli del demanio dello Stato e del patrimonio pubblico nazionale (Eni, Enel, Finmeccanica).

L'operazione sarà forse portata a termine dai tre moschettieri della Goldman & Sachs, Monti-Letta-Draghi? Ai posteri la sentenza.


Tratto da: http://www.italiasociale.net/economia11/economia11-11-10.html

L’11 NOVEMBRE 2011 HO SENTITO PARLARE BENITO MUSSOLINI



di Filippo Giannini

Sì, Signori, l’11 novembre 2011, Benito Mussolini ha parlato, anche se per pochi attimi, nella trasmissione televisiva L’ultima parola.

Per meglio spiegarci si rende necessario tutta una serie di premesse.

Premessa 1);
andiamo indietro nel tempo e precisamente agli anni 1944-1945. Il medico tedesco George Zachariae, che aveva in cura Mussolini, ha lasciato scritto (Mussolini si confessa, pag. 192): “Con l’8 settembre si è perduto qualcosa di molto prezioso: che l’Italia faticherà duramente a riconquistare: l’onore nazionale e il rispetto che sino ad ieri essa aveva in tutto il mondo.

Un popolo senza rispetto e senza onore diventa un giocattolo nelle spire degli interessi politici dei vincitori.

Non sarà difficile all’ipocrisia del tradizionalismo britannico trovare dei pretesti con cui mascherare i suoi sentimenti di vendetta e tutto sarà fatto nel nome della democrazia, delle giustizia e della libertà: un paravento dietro il quale si nascondono gli interessi del più sudicio capitalismo, venga questo da Londra o da New York o da Mosca.

Il popolo italiano vivrà un periodo amarissimo, che vedrà scardinati e travolti tutti i principi dell’onestà e della morale.. Probabilmente nei paesi vinti si provvederà immediatamente a imporre una così detta costituzione democratica: ne seguiranno liti parlamentari, scandali politici e turpitudini morali senza fine, da cui ci si potrà attendere di tutto eccetto che qualcosa di buono e di costruttivo”.

C’è qualcosa di errato che il dottor George Zachariae, ripetiamo: nel lontano 1944-45, non abbia previsto e denunciato? Attendiamo risposte.

Premessa 2);
Ricordiamo che il 2 giugno 1992 approdò a Civitavecchia il panfilo Britannia, affittato da una lobby angloamericana; a bordo era un forte gruppo (detti: gli invisibili) di alti finanzieri, di capitalisti e di maneggioni vari. Presero graziosamente posto anche Mario Draghi e Giulio Tremonti. Di cosa trattò questa bella gente? Giulietto Chiesa (così avrebbe parlato il Duce) nella trasmissione televisiva sopra indicata, accusa la finanza mondiale di voler mettere le mani sui residui beni dell’Unione europea. Si chiede Giulietto Chiesa: da cosa è rappresentato il debito pubblico di quasi 2 mila milioni? Esso è rappresentato dal rifinanziamento bancario. Ora arriva un altro rappresentante dell’alta finanza per ricapitalizzare le banche, già a suo tempo ricapitalizzate. Questo debito non va pagato, perché illegale e iniquo. Soprattutto è stato frutto della più grande truffa mai prima messa in atto dal reddito da signoraggio.

In altre parole le banche centrali si sono impossessate, truffaldinamente, di un reddito che appartiene ai cittadini.

Ecco, allora, spiegato il perché dell’astronomico debito pubblico messo a nostro carico, ecco perché, nel lontano 1936 Benito Mussolini mise a punto la legge bancaria, legge che poneva lo Stato a controllo dell’arroganza delle banche.

A tutto questo marciume, c’è una soluzione?

Premessa 3);
Così parlò il Duce (e siamo, lo ripetiamo di nuovo, nel 1944-45). Al centro del pensiero di tutte le azioni politiche di Mussolini era il nuovo ordine sociale dell’Italia. “Io sono entrato come socialista nella vita politica e come tale la lascerò”. Così si confidò con il dottor Georg Zachariae (Vol. cit. pag. 149): “Mi formai inoltre il convincimento che un socialismo attuato secondo i concetti di Marx non avrebbe mai consentito di liberare effettivamente gli operai dalla loro schiavitù sociale. Malgrado ciò, dedicandovi molti degli anni più belli della mia vita, ho tentato con le parole, con gli scritti e con l’azione di pervenire alla migliore realizzazione dell’idea socialista. Allorché soggiornai in Svizzera, quale rifugiato politico, frequentai per un certo tempo l’ambiente di Lenin ed ebbi modo e possibilità di rendermi conto che, ad eccezione di Lenin stesso che indubbiamente era un uomo di straordinaria intelligenza, tutti gli altri non erano che dei chiacchieroni e degli stupidi. Ero ormai decisamente convinto che per poter mettere in pratica il vero socialismo, si dovevano gettare solide fondamenta nella coscienza degli uomini. Io stesso sentivo maturare in me, di anno in anno, la certezza che proprio l’idea della lotta di classe fosse sbagliata, ossia quel vecchiume di metodi frusti e di idee sballate. Noi vediamo ora nell’Unione Sovietica l’esperimento più grandioso e significativo della messa in pratica del marxismo puro. Quali sono gli effetti pratici? Non un progresso sociale della classe alla quale il marxismo avrebbe dovuto recare forza, decoro e prosperità, ma la decadenza totale delle masse, una decadenza morale e materiale della peggior specie. Oggi possiamo constatare con orrore la miseria delle masse, quindi dobbiamo dedurre che questa forma di socialismo, malgrado tutte le promesse, non potrà mai portare a quel successo che i veri socialisti auspicavano.

Se il socialismo deve essere realizzato, esso presuppone che i suoi attuatori non lo abbiano concepito soltanto come idea, ma è necessario che essi siano passati attraverso una dura scuola, capace di innalzare gli uomini, anziché abbassarli. Ė sbagliato sostenere che il socialismo, come generalmente si afferma, voglia arrivare a una stupida uguaglianza di valori, di capacità, di meriti. Il socialismo può essere tradotto in pratica soltanto quando gli uomini migliori e di carattere più forte di un popolo, anziché venire allontanati o soppressi, come è stato fatto in Russia, siano educati al servizio delle nuove idee affinché possano adoperare tutte le loro forze e la loro intelligenza non solo a proprio vantaggio, ma al servizio della comunità. Primo nostro dovere è dunque quello di trovare il mezzo di formare un nucleo-base di uomini superiori che sappiano con puro disinteresse mettersi al servizio della comunità, e soltanto allora potremo incominciare ad assolvere il compito di dare al mondo un nuovo ordine sociale. Se si dà uno sguardo profondo agli avvenimenti che causarono il lento processo di inquinamento e di decadimento, si vedrà che la colpa non è delle dittature, ma del così detto ordine democratico. Perciò io ho tentato di far rinascere nel fascismo le antiche virtù del popolo romano e cioè: la dedizione alla comunità, la fedeltà, il coraggio, lo spirito di sacrificio, sperando di poter ricostruire su di esse il nuovo impero. Non ho perseguito queste idee e queste mete per cupidigia di potere o per sete di conquista, né tanto meno per farmi un nome nella storia; lo scopo delle conquiste fasciste era soltanto quello di raggiungere una prima meta, da cui poter trarre i mezzi per la creazione di un nuovo ordine sociale.

Non è forse vero che le forze lavoratrici nei parlamenti democratici non sono in grado di cambiare questo stato di cose che anche nei paesi più ricchi e progrediti l’operaio deve ancora pregare ed implorare, senza avere il diritto di partecipare agli utili prodotti dal suo lavoro? Tutto ciò deve e può essere cambiato con altri ordinamenti. Lo Stato non ha il compito di adoperare la sua forza per mantenere il privilegio del capitale privato o del capitale dello Stato. Alla socializzazione sono adatte soltanto quelle aziende e quegli impianti che servono a tutti i cittadini e che debbono essere in ugual misura a disposizione di tutti. Fanno parte di queste le ferrovie, le poste, la radio, le società di navigazione, le linee aeree ed altre aziende industriali che possono svilupparsi soltanto nel libero gioco delle energie cooperanti e nell’ordine naturale di forti richieste; dovranno invece continuare col sistema attuale buona parte delle piccole e medie aziende.

Se dovrò scomparire dalla scena prima che le mie idee socialiste possano avere piena attuazione sono convinto che, sia pure dopo altri errori, il nuovo ordine del mondo sarà creato nel senso da me indicato. Si dica quel che si vuole, le mie idee sono le sole che tengono conto degli interessi e delle necessità delle grandi masse lavoratrici e perciò esse saranno vittoriose, malgrado tutti gli ostacoli. Allora, e solo allora, il mondo cambierà aspetto”.

Premessa 4);
I media mondiali ci hanno propinato da decenni la visione di Mussolini affacciato al balcone di Palazzo Venezia quel 10 giugno 1940, con le mani ai fianchi dichiarare quella guerra, non voluta e disperatamente cercata di evitare, affacciato, abbiamo scritto, con fare truce, ma mai ci hanno ricordato quanto ebbe a dire in quella occasione per giustificare quella tragica necessità.

Mussolini fra l’altro attestò: “Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che in ogni tempo hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano (…)”.

Il perché di quella guerra lo scrive lo storico Rutilio Sermonti (L’Italia del XX Secolo):

“Le democrazie plutocratiche volevano un generale conflitto europeo, quale unica risorsa per liberarsi della Germania – formidabile concorrente economico – e soprattutto dell’Italia. Questo è necessario comprendere se si aspira ad evidenziare la realtà storica: soprattutto dell’Italia”. Disponiamo di un’ampia documentazione per attestare che condividiamo quanto scritto da Rutilio Sermonti, e il perché lo abbiamo visto dagli avvenimenti accaduti dal dopoguerra ad oggi: la conquista da parte dei paesi demoplutocratici dei beni dell’intero globo, giusto i dettami della così detta Dottrina Monroe, concepita nel 1823.

Premessa 5);
Ė superfluo indicare quali siano le finalità delle Bilderberg e della Goldman Sachs. E queste finalità, giusto quanto scrisse Sermonti si potevano ottenere con la sconfitta dei fascismi, cosa avvenuta nel 1945.

Premessa 6);
I lettori della nostra generazione ricorderanno il personaggio Mandrake, il grande mago che con il potere delle sue mani compiva dei veri e propri miracoli, quindi passiamo alla

Conclusione 7);
Vorremmo essere in errore, ma ci sembra che il nostro Presidente, Giorgio Napolitano, abbia compiuto un miracolo che sarebbe riuscito solo a Mandrake. Ha trasformato uno studioso della finanza in politico, e ci riferiamo alla botta da maestro, avvenuta in questi giorni su Mario Monti. Speriamo di essere in errore, ma la cosa ci puzza ‘nu pocariello. Vediamo: Mario Monti ha studiato in una Università americana, ha lavorato per la Bilderberg e, successivamente è stato Consigliere alla Goldman Sahcs. Qualcuno attestò che pensar male è peccato, ma a volte ci si indovina. Loukas Papademos da poche ore eletto anche lui Capo del Governo dell’altro Paese inguaiato, la Grecia, come si dice, inguaiato, dalle voraci bocche d’oltre oceano. Aggiungiamo che il salto effettuato dall’altro grande della finanza, Mario Draghi, il quale (che strano) anche lui ha studiato al Massachusset Institute, tutti personaggi, chiamiamoli americani. Non lo nascondiamo e lo ripetiamo: la cosa ci puzza ‘nu pocariello. Se così fosse abbiamo, che fortuna, i governi dei banchieri.

L’abbiamo scritto ripetutamente e nel tempo, di economia non siamo delle volpi, allora come soluzione suggeriremmo, almeno come primo passo, l’immediata uscita dall’Euro e il ripristino della Lira, così da riappropriarci della sovranità monetaria.

Conclusione 8);
a sbugiardare il Direttore di Rai/1 (Minzolini?) che, affacciatosi al video il 14 novembre 2011 ebbe a dire che l’Italia non chiude il bilancio in attivo da oltre cento anni. Menzogna!

Riportiamo quanto ha scritto il Professor Antonio Pantano: “L’attivo di bilancio si raggiunse nel 1924 e 1925 e, per 20,9 miliardi di lire nel 1944/45, addirittura durante la guerra, grazie alla Repubblica Sociale Italiana, che ebbe Ministro delle Finanze il prof. Domenico Pellegrini Giampietro, il quale commissariò, ponendola a TOTALE dipendenza dello Stato, la Banca d’Italia”.

Il Professor Pantano conclude: “ATTIVO di bilancio riconosciuto e certificato anche sulla stampa italiana il 25 agosto 1945 dalla Commissione Ispettiva del Senato U.S.A., presieduta dal Senatore Winkersham”.

Osserviamo e chiudiamo: il Senatore Winkersham fu inviato in Italia dal governo americano per studiare e capire come fosse stato possibile un miracolo del genere.

Rispondiamo: allora c’era un certo Benito Mussolini e, riconosciamolo, quel po’ po’ di studioso che era Domenico Pellegrini Giampietro. Oggi al loro posto siedono i vermetti furbetti…

domenica 13 novembre 2011

LA COSTITUZIONE ITALIANA NON E’ ANTIFASCISTA



Non è affatto vero, come spesso si sente affermare dai vari media, che l'attuale Costituzione italiana sia caratterizzata dall'antifascismo come scopo o valore.
Nei 139 articoli che formano il dettato costituzionale non ce n'è uno, infatti, che tratti di fascismo e/o antifascismo.
Per rintracciare il vocabolo "fascista" all'interno della Costituzione occorre andare alla XII° norma transitoria o finale che, nell'animo dei costituenti proprio in quanto non-articolo costituzionale - bensì norma transitoria - avrebbe dovuto esaurirsi in non più di un quinquennio. Sempre i c.d. "padri costituenti" ebbero l'accortezza di numerare diversamente le norme con numeri romani, rispetto ai veri e propri articoli che furono distinti con numeri arabi, giusto perché non si venissero a creare equivoci o mescolanze fra le norme transitorie e gli articoli costituzionali propriamente detti.
Certo, la XII° norma stabiliva transitoriamente e in parziale ( e non costante) deroga all'art. 48 della Costituzione, il divieto di ricostituzione del passato Pnf, legando specificatamente ciò alla limitazione, per non oltre un quinquennio, del diritto di voto attivo e passivo nei confronti degli esponenti dell'ex regime fascista. Fra l'altro, mentre i "padri costituenti" trattavano ancora di questa materia, nasceva ufficialmente, e quindi legalmente, il Msi che nel 1948 partecipò regolarmente alle elezioni politiche ottenendo fra l'altro diversi parlamentari e tutto questo senza particolari obiezioni giuridico-legali da parte delle allora vigenti autorità costituite.
Se all'epoca ci fosse stata veramente la volontà di dare una qualsivoglia valenza antifascista alla nascente Costituzione, i soliti "padri costituenti" avrebbero certamente provveduto con un apposito articolo e non certo tramite una norma transitoria; norma transitoria che non avrebbe comunque potuto confliggere eternamente ( e nemmeno per vari decenni) con il già richiamato art. 48 dedicato ai diritti politici di tutti gli italiani, nessuno escluso. Se questo ancora non bastasse, vi è poi un altro aspetto costituzionale che dimostra a priori l'infondatezza del presunto assioma di un antifascismo sancito in eterno dalla nostra Costituzione.
Essendo prevista la revisione di quasi tutti gli articoli costituzionali, sia tramite referendum promosso da 500 mila elettori oppure con voto di maggioranza assoluta da parte delle Camere ( 50% + 1 dei parlamentari eletti) si potrebbe in ogni momento, e solo manovrando i predetti strumenti costituzionali, ricreare tale e quale storicamente è stata a suo tempo perfino la RSI.
Fra l'altro, proprio nella nostra Costituzione vi sono alcuni articoli, in particolare il 3° comma dell'art. 38 (personalità giuridica del sindacato) e l'art. 46 (diritto dei lavoratori a collaborare nella gestione delle aziende in cui essi operano) che, per quanto sviliti e finora del tutto disattesi, richiamano pienamente la legislazione sociale che fu appunto della RSI.
Quanto sopra esposto deriva evidentemente dal fatto che la nostra attuale Costituzione è una Costituzione Repubblicana e non già antifascista.
Infatti, l'unico limite imposto alla revisione costituzionale è solo ed unicamente la forma repubblicana (art. 139) e questa forma istituzionale è l'unico aspetto che non può essere messo in discussione da alcuno indipendentemente dal fatto che qualcuno possa rappresentare finanche la più totalizzante volontà popolare o politica.
Sarebbe quindi ben più corretto affermare che la nostra Costituzione è fermamente antimonarchica e tuttavia, ciò nonostante, sono stati liberamente autorizzati a costituirsi nell'Italia di questa Costituzione così fermamente repubblicana, vari gruppi, partiti politici e associazioni apertamente e dichiaratamente monarchici (PNM; PMP, UMI ecc.) e questi ovviamente tendevano, al contrario di quelli più o meno fascisteggianti, ad attentare di fatto alla Costituzione Repubblicana col solo riproporre, neppure troppo velatamente, la restaurazione dell'istituto monarchico.

Franco Morini
http://www.italiasociale.org/lettere/lettere300908-1

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ISTANZA DI MESSA IN STATO D'ACCUSA(Art.90, comma I°, ipotesi 2^, comma 2° Costituz.)
SALVATORE MACCA CONTRO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, ON. GIORGIO NAPOLITANO

... "per chiedere l'abrogazione della XII disposiz. transitoria della Costituzione, là dove la stessa, al comma 1, letteralmente dispone che "E' vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascita." La collocazione del divieto da parte del legislatore del tempo, dimostra, né poteva essere diversamente, se non altro perché l'Italia era, ed è, definita, nell'art.1, comma I°, della Costituzione, "una repubblica democratica", e perché, all'art.49, sin da allora, disponeva che "tutti i cittadini ( tutti, e dunque anche quelli di fede fascista!) hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", dimostra, si diceva, che il divieto era, e doveva essere, temporaneo."
http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_FGiannini_080915_Impeachment.htm


Per chi è interessato a conoscere la socializzazione del lavoro e dell'economia, nemica del capitale speculativo, cioè i capitalisti di oggi, può apprenderla aprendo i seguenti link:

Simbiosi fra Capitalismo e Lavoro
Nella Repubblica Sociale Italiana
http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_FGiannini_080301_Simbiosi.htm

Ripeto: Lavoratore, sei stato truffato ! QUESTO ARTICOLO E' DEDICATO A QUEI LAVORATORI CHE PERDERANNO IL LAVORO

http://www.corrierecaraibi.com/FIRME_FGiannini_100417_Ripeto-Lavoratore-sei-stato-truffato.htm

La socializzazione spiegata praticamente:
socializzazione - Renzaglia un'impresa per tutti.
http://pocobello.blogspot.com/2009/07/unimpresa-per-tutti-socializzazione.html

Quello che tutti i partiti di destra e di sinistra servi del "banchieri" non ti hanno mai fatto conoscere.

http://pocobello.blogspot.com/2010/01/fascismo-e-antifascismo-per-una-nuova.html

venerdì 11 novembre 2011

Il patto tra Stato e Mafia,il ruolo dell'elite finanziaria anglo-americana, tangentopoli, le privattizzazioni del '92,il complotto sul Britannia



Titolo completo: L'Italia dopo il D.P.R. 350 del 27 giugno 1985
Il patto tra Stato e Mafia,il ruolo dell'elite finanziaria anglo-americana, tangentopoli, le privattizzazioni del '92,il complotto sul Britannia e le uccisioni dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Era il 1992, all'improvviso un'intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant'anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava.
Cos'era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla corruzione del sistema politico erano reali?

Mentre l'attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese.
Con l'uragano di "Tangentopoli" gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l'Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d'Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata "privatizzazione".

Il 1992 fu un anno di allarme e di segretezza. L'allora Ministro degli Interni Vincenzo Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme a tutti i prefetti, temendo una serie di attacchi contro la democrazia italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano eventi come l'uccisione di politici o il rapimento del presidente della Repubblica. Gli attacchi ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò degli eventi previsti dal Ministro degli Interni. L'attacco alla democrazia fu assai più nascosto e destabilizzante.

Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali.
Falcone aveva anche scoperto che alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano affiliati ad alcune logge massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche diversi mafiosi, ad esempio Giovanni Lo Cascio.
La pista delle logge correva parallela a quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a risultati certi, se Falcone non fosse stato ucciso.

Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro. La gente intuiva che le istituzioni non lo avevano protetto. Ciò emerse anche durante il suo funerale, quando gli agenti di polizia si posizionarono davanti alle bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno gridò: "Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi avvicinate a queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri morti, solo noi abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il dovere di vergognarvi".
Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in modo da spaventarlo e fargli accettare passivamente il "nuovo corso" degli eventi, lo si vedrà anche dagli attentati del 1993.

Gli attentati del 1993 ebbero caratteristiche assai simili agli attentati terroristici degli anni della "strategia della tensione", e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il paese, per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un'autobomba esplode in via Fauro a Roma, nel quartiere Parioli. Il 27 maggio un'altra autobomba esplode in via dei Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte tra il 27 e il 28 luglio, ancora un'autobomba esplode in via Palestro a Milano, uccidendo cinque persone. I responsabili non furono mai identificati, e si disse che la mafia volesse "colpire le opere d'arte nazionali", ma non era mai accaduto nulla di simile. I familiari delle vittime e il giudice Giuseppe Soresina saranno concordi nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle "menti più fini dei mafiosi".[1]

Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che avrebbe messo le mani sull'economia italiana, e costretto il paese alla completa sottomissione politica e finanziaria.
Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi come una minaccia: "la mafia punterà su obiettivi sempre più eccellenti e la lotta si farà sempre più cruenta, la mafia vuole destabilizzare lo stato e piegarlo ai propri voleri",Borsellino lamentava regole e leggi che non permettevano una vera lotta contro la mafia. Egli osservava: "non si può affrontare la potenza mafiosa quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi strumenti processuali adatti ad un paese che non è l’Italia e certamente non la Sicilia. Il nuovo codice, nel suo aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato nelle mani di chi lo deve usare. Ogni volta, ad esempio, si deve ricominciare da capo e dimostrare che Cosa Nostra esiste".[2]

I metodi statali di sabotaggio della lotta contro la mafia sono stati denunciati da numerosi esponenti della magistratura. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il Presidente del tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: "Qui è molto peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm".[3]
Anche il Pubblico Ministero di Palermo, Roberto Scarpinato, nel giugno del 1992 disse: "Su un piatto della bilancia c’ è la vita, sull’altro piatto ci deve essere qualcosa che valga il rischio della vita, non vedo in questo pacchetto un impegno straordinario da parte dello Stato, ad esempio non vedo nulla di straordinario sulla caccia e la cattura dei grandi latitanti".[4]
Nello stesso anno, il senatore Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della questura di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo.[5]

Che gli assassini di capaci non fossero tutti italiani, molti lo sospettavano.
Il Ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò: "Cerco legami tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o la mafia colombiana".[6] Lo stesso presidente del consiglio Amato, durante una visita a Monaco, disse: "Falcone è stato ucciso a Palermo ma probabilmente l’omicidio è stato deciso altrove".
Probabilmente, le tecniche d'indagine di Falcone non piacevano ai personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell'anno. Quel considerare la lotta alla mafia soprattutto un dovere morale e culturale, quel coinvolgere le persone nel candore dell'onestà e dell'assenza di compromessi, gli erano valsi la persecuzione e i metodi di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e statunitensi. Tali metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare apparire il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un complice della mafia. Antonino Caponnetto dichiarò al giornale La Repubblica: "Non si può negare che c’è stata una campagna (contro Falcone), cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha delegittimato.Non c’è nulla di più pericoloso per un magistrato che lotta contro la mafia che l’essere isolato".[7]

L'omicidio di due simboli dello Stato così importanti come Falcone e Borsellino significava qualcosa di nuovo.
Erano state toccate le corde dell'élite di potere internazionale, e questi omicidi brutali lo testimoniavano.
Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, Procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati: "Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura... Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi... è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove".[8]

Infatti, quell'anno gli italiani capirono che c'era qualcosa di nuovo, e scesero in piazza contro la mafia. Si formarono due fronti: la gente comune contro la mafia, e le istituzioni, che si stavano sottomettendo all'élite che coordina le mafie internazionali.
Quell'anno l'élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la lotta efficace contro la mafia, ma voleva rendere l'Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe dominato attraverso il potere finanziario.

Come segnalò il presidente del Senato Giovanni Spadolini, c'era in atto un'operazione su larga scala per distruggere la democrazia italiana: "Il fine della criminalità mafiosa sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della stagione degli anni di piombo: travolgere lo stato democratico nel nostro paese. L’obiettivo è sempre lo stesso: delegittimare lo Stato, rompere il circuito di fiducia tra cittadini e potere democratico…se poi noi scorgiamo – e ne abbiamo il diritto – qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia più terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di dodici-undici anni fa? Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come la P2 sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona".[9]

Anche Tina Anselmi aveva capito i legami fra mafia e finanza internazionale: "Bisogna stare attenti, molto attenti... Ho parlato del vecchio piano di rinascita democratica di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione... Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale ed internazionale. Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesi dell’est... Stanno già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi… Quegli investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche".[10]

Anni dopo, l'ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: "Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leaders dei partiti di governo".
Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c'erano alcuni appartenenti all'élite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers).

In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d'Italia, ecome far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell'Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell'Iri Riccardo Galli.
Gli intrighi decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c'erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani.
La stampa martellava su "Mani pulite", facendo intendere che da quell'evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.
Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di unpersonaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell'Italia. Infatti, Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers.

Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in Società per Azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l'élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare.
L'inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che, come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell'élite.
L'incarico di far crollare l'economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane.
Soros ebbe l'incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall'élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli hedge funds per far crollare la lira. A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.

Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull'Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d'Italia. C'erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild.
Ma anche numerosi altri membri dell'élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d'Italia.
La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest'ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira.
Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l'Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell'Europa e dell'Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa.

In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul Financial Times, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira.
L'accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani.
La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà:

Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell'economia produttiva e l'esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l'Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico.[11]

Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell'ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un'inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L'attacco speculativo di Soros, gli aveva permesso di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire.
Per contrastare l'attacco, l'allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di lire.
Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d'Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.
Spiegano il Presidente e il segretario generale del "Movimento Internazionale per i Diritti Civili - Solidarietà", durante l'esposto contro Soros:

È stata... annotata nel 1992 l 'esistenza... di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell'apparato della Banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria "Goldman Sachs & co." come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig. Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della "Albertini e co. SIM" di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del "Quantum Fund" di Soros.
III. L'attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto epreparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht "Britannia" della regina Elisabetta II d'Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell'industria di stato italiana. A seguito dell'attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell'economia nazionale e dell'occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all'incontro del Britannia avevano già ottenuto l'autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L'agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l'intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione.[12]

I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l'allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l'allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all'allora capo del governo Giuliano Amato e al Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori.
Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la "necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo", pur sapendo che l'Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni.
Gli attacchi all'economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico- finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell'élite. Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il Presidente del Consiglio Lamberto Dini disse:

I mercati valutari e le borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo... è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell'unificazione monetaria.[13]

Il giorno dopo, il governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio, riferiva che l'Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché "se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco".
Le nostre autorità denunciavano il potere dell'élite internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi.
Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell'élite anglo-americana.

Il Movimento Solidarietà fu l'unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo dell'economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato.[14]
Il 6 novembre 1993, l 'allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi scrisse una lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare "le procedure relative al delitto previsto all'art. 501 del codice penale ("Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio"), considerato nell'ipotesi delle aggravanti in esso contenute". Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende.

Anche negli anni successivi avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate Trenitalia.
Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del gas e dell'elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300.
Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una S.p.a. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio.

Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva "risanare il bilancio pubblico", ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).
Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani.

Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell'élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l'acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell'ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%.
Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del Gruppo Bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank.
Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche dell'élite, la Chase Manhattan e la Lehman Brothers, si fecero avanti per attuare un'opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan, l'Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L'Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno.

Il titolo, che durante l'opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro.
Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla J. P. Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit).

Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita.
La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti.
La Telecom , come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all'interno società con sede alle isole Cayman, che, com'è noto, sono un paradiso fiscale.

Gli speculatori finanziari basano la loro attività sull'esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema.
Mettere un'azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com'è emerso negli ultimi anni.

Anche per le altre privatizzazioni, Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc., si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere.
La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l'onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti.
I Benetton hanno incassato un bel po' di denaro grazie alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, Ministro delle Infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell'Unione Europea e alla politica del Presidente del Consiglio.

Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati.
La società Trenitalia è stata portata sull'orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad esempio, non c'è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l 'amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla commissione Lavori Pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. Nell'ottobre del 2006, il Ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un'azienda privatizzata ridotta allo sfacelo.

Dietro tutto questo c'era l'élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild ecc.) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell'economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il controllo di altre società o banche.
Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. E' simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: "Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom".[15]
Numerose aziende di imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie ("Bond") con un alto margine di rischio. La Parmalat emise Bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative, e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.

Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l'agenzia di rating, Standard & Poor's, si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti.
I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale S.p.a. (società della famiglia Tanzi), Citigroup, Inc. (società finanziaria americana), Buconero LLC (società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), Deloitte & Touche SpA (società di revisione contabile), Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant Thornton S.p.a. (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo Parmalat S.p.a.).

La Cirio era gestita dalla Cragnotti & Partners. I "Partners" non erano altro che una serie di banche nazionali e internazionali. La Cirio emise Bond per circa 1.125 milioni di Euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza.
Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all'élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero.
Agli italiani venne dato il contentino di "Mani Pulite", che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere.

A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia.
Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come "autorevoli" (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana.
I nostri governi operano nell'interesse di questa élite, e non in quello del paese.



[1] http://www.reti-invisibili.net/georgofili/
[2] La Repubblica , 27 maggio 1992.
[3] La Repubblica , 28 maggio 1992.
[4] La Repubblica , 10 giugno 1992.
[5] La Repubblica , 23 giugno 1992.
[6] La Repubblica , 23 giugno 1992.
[7] La Repubblica , 25 giugno 1992.
[8] La Repubblica , 27 maggio 1992.
[9] La Repubblica , 11 agosto 1992.
[10] L'Unità, 12 agosto 1992.
[11] Solidarietà, anno IV n. 1, febbraio 1996.
[12] Esposto della Magistratura contro George Soros presentato dal Movimento Solidarietà al Procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995.
[13] Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica , Rivista N. 4 gennaio-aprile 1996.
[14] Solidarietà, anno 1, n. 1, ottobre 1993.
[15] La Repubblica , 5 settembre 1999.
Antonella Randazzo

Antonella Randazzo ha scritto Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa, 1870-1943, (Kaos Edizioni, 2006); La Nuova Democrazia. Illusioni di civiltà nell'era dell'egemonia Usa (Zambon Editore 2007) e Dittature.


Qualche osservazione su alcuni magistrati è importante....


“La vicenda di Ayala, che appare ben poco indagata, si inserisce dentro il disegno di distruzione del patrimonio pubblico italiano messa in atto dopo l’emanazione del D.P.R. 350 del 27 giugno 1985 e proseguita con i “contatti” riservati tra pezzi dello stato (?) e mafia per giungere al 2 giugno 1992, giorno della grande svendita portata a termine dall’accordo stipulato a Civitavecchia sul panfilo Britannia ancorato al largo.
Risulta curiosa la elezione di Ayala nella lista del partito repubblicano che contrasta fortemente con le posizioni politiche che il medesimo aveva espresso precedentemente ma che potrebbe avere “spiegazione esoterica” anche in considerazione che venne dato il via ai governi tecnici (Amato Ciampi) e che, incredibilmente (!!!) alla carica di ministro per il commercio estero (in un momento di smobilitazione delle grandi aziende nazionali) venne messo il giudice Vitalone !
Tutto quanto sopra è una piccola parte di quanto emerge da una attenta rilettura delle cronache dell’epoca che sarà oggetto di un libro intitolato “Avalanche Mission”, nome del progetto di re-infiltrazione della mafia in Italia costruito intorno alla figura di Salvatore Lucania e di alcuni altri meno noti, condotto dal MI5 inglese che aveva il compito di comporre le alleanze, distribuire i territorio e stabilire le connessioni con i parlamentari italiani. Alcuni di questi sono stati degli “utili idioti” che probabilmente non erano in grado di comprendere quanto stava accadendo. Fu indubbiamente la stagione d’oro per molti magistrati (Di Pietro, Ayala, Vitalone, ma non bisogna scordare Violante eletto in commissione antimafia proprio nel 1992 per “ascoltare” il pentito preparato negli USA all’interno del progetto Avalanche Mission.………….........Buscetta, al quale la A.E.I. Aveva fornito la conoscenza di tutto quanto avrebbe poi raccontato !!
Il magistrato Geraci, che con Falcone lo ascoltò per primo, il 2 ottobre 1984 dichiarava: “Buscetta ha cominciato a parlare senza interruzione. Con compostezza, chiarezza e controllo di se stesso. Direi con grande serietà. Si comportava da delatore come si comportava da mafioso, cioè con coerenza e senso dell' onore. Non da traditore, ma da chi denuncia coloro che hanno tradito “
Ciò che Buscetta ha detto è ormai noto.
Sul perchè abbia deciso di parlare circolano svariate ipotesi. Non è strano che un boss di così alto livello rompa la proverbiale omertà mafiosa?
Geraci, al proposito disse: “A mio giudizio le componenti che hanno indotto Buscetta ad infrangere le regole sono due: da una parte, il desiderio di vendetta verso coloro che gli hanno sterminato la famiglia; dall' altra, un ripensamento !!!!!! “ Oppure un progetto ben studiato per “indirizzare” gli inquirenti italiani nella direzione sbagliata ?

I riscontri a tutte le numerosissime vicende che dal 1933 hanno preso il nome di “Avalanche Mission” sono di una verosimiglianza che crea apprensione; credo che Paolo Borsellino conoscesse bene queste cose a differenza di Falcone che, per differente impostazione culturale, poteva anche essere propenso a considerarle fantasiose !! >>
Pubblicato da ORAS a 07:35
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4 commenti:

Cittadini contro Mastella ha detto...
A proposito di governi tecnici(Amato, Ciampi)anche il colpo di stato che chiamiamo trattato di Lisbona e' stato scritto proprio da Giuliano Amato...ed e' tutto a vantaggio delle multinazionali (e quindi a svantaggio dei cittadini).
Anche la creazione dell'euro in fin dei conti e' stato un bel regalo alla finanza.
E c'e sempre Prodi dietro...
Quanto a Buscetta, sono arciconvinta che indottrinato da A.E.I. ha incominciato a parlare, su commissione,per "indirizzare" male gli inquirenti.
28 settembre 2010 07:41

Cittadini contro Mastella ha detto...
Altro fatto strano: prima di dare il famoso "papello" alla procura titolare dell'inchiesta Ciancimino jr (il figlio di Vito, all'epoca nel 92,sindaco di Palermo) fa un salto nella redazione de “L'Espresso” e ne lascia una copia. Ora sinceramente non mi sembra una grande prassi quella di lasciare un documento così prezioso prima a un giornale, e poi alla procura. Tanto più che quel documento si è scoperto falso. Il blog censurati.it è andato in procura per farsi rilasciare il memoriale di Vito Ciancimino, dichiarazioni rilasciate in procura nel 1993 dal padre di Ciancimino. Un altro blog di Splinder, il Segugio, si è messo a ricontrollare le parole uguali nel memoriale a quelle uguali nella lettera consegnata da Ciancimino: il risultato è sorprendente!
Ciancimino junior ha consegnato dunque un “papello” che, guardando il confronto, sembra totalmente falso. Questa vicenda fa sorgere vari interrogativi su questa presunta trattativa. Innanzitutto, il papello esiste veramente? Perché Ciancimino si è svegliato dopo 17 anni e ne ha consegnato uno falso? Perché lo porta prima a “L'Espresso” e poi in procura? Costava tanto controllare la grafia di Vito Ciancimino che era su atti pubblici? Com'è che è stato un blog a controllarlo?

Proprio perchè ci fu la trattativa tra mafia e stato, è legittimo chiedersi: ma allora, chi volle la morte di Borsellino? Borsellino stava scomodo allo Stato, alla Mafia o a entrambi?

Complimenti, ottimo lavoro!
R.Carpentieri
28 settembre 2010 07:43

Cittadini contro Mastella ha detto...
E perchè il dott. Salvatore Borsellino sembra non prestare la dovuta attenzione su “Avalanche Mission”, "nome del progetto di re-infiltrazione della mafia in Italia costruito intorno alla figura di Salvatore Lucania e di alcuni altri meno noti, condotto dal MI5 inglese che aveva il compito di comporre le alleanze, distribuire i territorio e stabilire le connessioni con i parlamentari italiani", progetto che sicuramente il giudice Paolo Borsellino aveva "fiutato" nella sua grande perspicacia e rara intelligenza?
28 settembre 2010 07:52

Cittadini contro Mastella ha detto...
Dodici foto del leader dell'IdV con Mori, Contrada e esponenti dei servizi segreti potrebbero fare luce sui rapporti da sempre ventilati fra Di Pietro e poteri statunitensi. Infatti da molto tempo di parlava di una "manina d'oltreoceano" (come l'ha chiamata Cirino Pomicino) dietro "mani pulite" in Italia, voluta per consentire più facilmente la privatizzazione di grandi aziende che la "prima Repubblica" (per esempio Craxi) manteneva pubbliche, e che subito dopo il 1992, in pochi anni, sono state completamente privatizzate e svendute facendo ingrassare i finanzieri e distruggendo il servizio pubblico (Enel, IRI, Telecom, ecc...); negli stessi anni infatti in Italia avvengono strane manovre sulla lira, pilotate dall'americano Soros, e dopo pochi anni (1996) l'Italia parteciperà senza l'avvallo dell'Onu (!!!) alla guerra contro la Serbia, solo per volontà degli Stati Uniti.

Quindi il cambio di governo sembrava essere necessario.
Che si siano trovate finalmente maggiori conferme?

Di Pietro intanto mette le mani avanti e denuncia un complotto nei suoi confronti.
"In arrivo dossier al veleno mi accusano di essere un agente Cia."

La notizia:
Di Pietro : pronto un dossier contro di me, mi accusano di essere al soldo della Cia - Corriere della Sera
http://www.corriere.it/politica/10_gennaio_15/di-pietro-dossier_e8941136-01d6-11df-866a-00144f02aabe.shtml

Di Pietro: "In arrivo dossier al veleno mi accusano di essere un agente Cia" - Repubblica.it
http://www.repubblica.it/politica/2010/01/15/news/di_pietro_dossier_e_veleni-1957905/

Tratto da: http://inuovisaraceni.blogspot.com/2010/09/litalia-dopo-il-dpr-350-del-27-giugno.html